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Soil

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Soil
(n. 1 di 11)

di Atsushi Kaneko


bimestrale
brossura con sovraccoperta
208 pag. b/n
(prime 4 tavole a colori)

euro 6,50


Planet Manga / Panini Comics


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“Che vuol dire che non ci capite niente?!…
Non percepite l’angoscia che prende tutti?!…
Dev’essere eliminata subito!”
(Soil)

 

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Soil
in inglese è il terreno, ma come verbo significa anche sporcare, insudiciare: entrambe le definizioni si adattano perfettamente a questo intrigante manga.
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E’ su un terreno in mezzo a una specie di bucolico nulla che sorge la cittadina di Soil New Town, nella quale regna l’assoluta simmetria, tutte le case sono uguali tra loro e i fiori piantati davanti all’ingresso devono sempre essere perfettamente freschi e curati. Una felice utopia, un incubo distopico o forse un terribile connubio tra le due?…
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Dopo essere stati costretti a lasciare la vettura di servizio in mezzo alla strada per colpa di un traliccio della corrente misteriosamente crollato la notte precedente, con una lunga camminata, immersi nel proprio sudore a causa di un insolito, torrido clima tutt’altro che autunnale, l’agente investigatrice Onoda e il sergente Yokoi arrivano finalmente alle porte di Soil.
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L’investigatrice Onoda, continuamente vessata dagli insulti rozzi e maschilisti del sergente Yokoi, nasconde rabbia e timidezza dietro due spesse lenti che ne nascondono parzialmente il viso. Ha ventinove anni, un forte senso del dovere e il desiderio di comprendere i meccanismi dei crimini sui quali è chiamata ad indagare.
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Il sergente Yokoi ha il capo coperto da un vistoso parrucchino, è ossessionato dalle sue proprie puzze (annusa ossessivamente qualsiasi parte raggiungibile del proprio corpo, dai piedi all’interno delle orecchie…) e pare intriso di un cinismo razionale volto unicamente a risolvere i “casi” il più in fretta possibile.
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Il traliccio misteriosamente crollato di cui sopra ha provocato un blackout nella città di Soil New Town, durante il quale è scomparsa la famiglia Suzushiro, formata da mamma, papà, sorridentissima figlia e un criceto.
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Ma se tutto fosse semplicemente riconducibile a questo abbozzo non staremmo nemmeno qui a parlarne…
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Ho intravisto in rete qualche paragone tra questo Soil di Atsushi Kaneko e l’indimenticata/abile serie televisiva Twin Peaks, ma francamente al di là del fatto che, così come in TP anche in Soil nulla è come appare, non ci ho visto questa gran similitudine. Almeno, fino ad ora, ossia al primo di undici volumi che francamente non vedo l’ora di poter leggere tutti quanti uno di seguito all’altro!
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(Tra parentesi: credo che tutt* noi leggiamo fumetti perché vogliamo immergerci in storie nelle quali, per la maggior parte di esse almeno, nulla è come sembra, non è vero?)
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Soil
rientra in quel novero di storie speciali, che non lasciano indifferenti (anzi!), il cui coinvolgimento e relativa tensione sono garantiti immediatamente sin dall’inizio della lettura, sin da quelle prime tavole a colori, cosmiche e mute, e via via nelle successive prime tavole in bianco e nero, ancora mute e permeate di violenza che certamente acquisteranno un senso ad un certo punto della storia.
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Curiosità, coinvolgimento e tensione non scemano mai, anzi la fine del primo volumetto lascia un’incredibile, sbavante curiosità, desiderio di sapere come proseguirà e come andrà a finire la vicenda.
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Dunque l’investigatrice Onoda e il sergente Yokoi, insieme alla polizia locale, devono indagare sulla scomparsa della sorridentissima e perfetta famiglia Suzushiro, scomparsa letteralmente nel nulla la notte del blackout. La famiglia Suzushiro ci viene mostrata, oltre che nell’inquietante copertina, attraverso qualche fotografia e dei rari flashback: quei sorrisi a trentasei denti non possono essere davvero così felici some sembrano voler a tutti i costi dimostrare. La famigliola deve avere qualche segretuccio. D’altronde nessuno è senza segreti, giusto? E pare proprio che lì a Soil New Town i segreti abbondino.

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Una grossa colonna di sale viene trovata nella camera della figlia dei Suzushiro, ma questa non è che la prima di numerose e incredibili stranezze – e soprese - che permeano Soil e che ci fanno sprofondare sempre più in una melma invischiante piena di mistero, ambiguità, pericolo.

Il punto forte del manga, di questo primo riuscitissimo numero, è proprio questo pesante coinvolgimento dovuto a continui colpi di scena che ingarbugliano sempre più il fitto mistero che circonda la cittadina di Soil New Town e contemporaneamente rendono dannatamente interessante lo svolgimento della storia.
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La fanghiglia di marciume che pare sollevarsi ad ogni passo e ad ogni passo ricoprirci sempre di più ad un certo punto dovrà cessare o ci ricoprirà interamente; ma chissà qual è l’intenzione dell’autrice? Forse intende davvero farci sprofondare nel dubbio!
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La scrittura di questo thriller venato di soprannaturale (quest’ultimo non è garantito: magari ce l’ho visto soltanto io, quindi non contateci troppo…) è ansiogena e perfettamente sincronizzata nel tempo, flashback compresi. Le varie parti che si vanno continuamente ad aggiungere al puzzle lungi dal dare un’impressione di “troppa roba da gestire”, aumentano, invece, il grado di interesse.
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Ad un certo punto abbiamo una marea di personaggi che interagiscono tra di essi e ognuno/a di loro è molto ben caratterizzato, riconoscibile e, in qualche modo, misterioso. Sarà interessante vedere come verranno gestiti i vari segreti che impregnano non solo la strana cittadina di Soil, ma ognuno dei personaggi che recitano in questa sorprendente commedia nera. E chi o cosa muove i fili di questa sciarada.
L’autore dovrà dimostrare grandi capacità per riuscire a gestire la complessità della storia per ben undici numeri.
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Il mio grado di interesse è altissimo e ammetto che nonostante altre opere di Atsushi Kaneko siano state già pubblicate in Italia [vedi QUI] per me il sensei era fino ad ora un perfetto sconosciuto. Se il livello della sua scrittura è questo, colmerò quanto prima questa mia imperdonabile lacuna, garantito.
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I temi di Soil non sono originalissimi (il luogo “utopico” che nasconde invece un’ambigua distopia non è certo un’invenzione di Kaneko), ma sono sviluppati e trattati con una maestria di scrittura che rendono la lettura un’esperienza davvero intensa e divertente. E’ anche il caso di sottolineare che le tematiche e il linguaggio del manga ne fanno un’opera da non lasciare in mano a persone giovanissime.
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Altra cosa, fondamentale, che mi ha colpito di Soil e che a una prima, veloce sfogliata in fumetteria mi ha fatto decidere senza tema per l’immediato acquisto (e immediata lettura: passando “davanti” alle ormai pericolanti torri di “materiale arretrato” che mi guatano minacciose da ogni angolo della stanza…) è stato lo stile di disegno, che ho trovato senza mezzi termini ottimo.
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Rari i vuoti, tavole e vignette sono ricchissime, quasi “all’europea” mi verrebbe da dire (e a questo proposito certe vignette mi hanno addirittura ricordato certi “valvolinici” autori italiani…), viene meno quella sorta di “cultura del vuoto” che vediamo in così tanti manga: niente “teste parlanti”, ma sfondi curatissimi e ampia varietà di inquadrature.
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Il segno è preciso, pulito e talvolta ha un taglio che potrebbe ricordare certo underground, decisamente fuori da quello standard “giapponese” che siamo abituati a vedere (e che di per sé non è una fotografia del reale in quanto il fumetto Giapponese ha miriadi di “stili”!).
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Sporadicamente vengono utilizzati retini, principalmente per i cieli e in alcuni casi per “staccare” i piani, ma per il resto l’autore continua nella sua particolare “linea chiara”: rarissime le ombre (ad esempio nelle situazioni notturne, per accentuare la drammaticità).
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I personaggi sono ottimamente caratterizzati anche dal punto di vista grafico.
Nonostante il segno precipuo dell’autore, non stereotipato, non seriale, le ambientazioni, i personaggi, il modo di muoversi in scena sono molto “realistici”: non ci sono volti in super-deformed, le prospettive sono perfette e così le ambientazioni. Non c’è un solo momento in cui il segno sia, o dia l’impressione, di essere “tirato via” (mi si scusi l’alto linguaggio tecnico…). E il tutto resta molto, grazie al cielo, fumettistico.
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Infine, se volete leggere una recensione articolata e molto più sensata consiglio vivissimamente di andare QUI.
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Ricci d’amare

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Ricci_damare_coverRicci d’amare

di
A. Romagnoli, N. Tonelli,
G. Valletta, E. Menini,
B. Concordia, A. Gentili,
F. Barbera
feat.A. Baronciani
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one shot

vol. brossurato cm 10,5x15, 192 pag. b/n su carta rosa, stampa in offset

euro 7 - richiedibile QUI 

Incubo alla balena

 

Leggere Ricci d’amare, oltre alle numerose e intense emozioni provate, è stato come ritrovare vecchi/e amici/che. Fuor di retorica e senza piaggerie: sono sinceramente affezionato alle autrici e agli autori del collettivo Incubo alla balena, questa è la loro terza autoproduzione che leggo e che mi entra nel cuore dandomi una grande soddisfazione estetica, fumettistica ed emotiva. Quello che mi aspetto e che sempre spero da un volume a fumetti, Ricci d’amare me lo regala raddoppiato.

Delle autoproduzioni del collettivo ne ho già parlato con affetto QUI  e QUI, scritti che – non certo per loro merito – vi invito a leggere per farvi una prima idea di cosa ci si può aspettare da una produzione Incubo alla balena.

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Siccome il volume di cui vado a parlare non si trova esposto in bella vista ad ogni edicola nazionale, ma è necessario richiederlo agli indirizzi linkati accanto al titolo lì in alto, l’intenzione dichiarata di questo scritto è quella di convincere a fare quella piccola “fatica”, quel minimo sforzo (per altro ottimamente ripagato) che consiste nel procurarsi un volume a fumetti che non si trova in edicola o in fumetteria.

Ogni uscita del collettivo Incubo alla balena è sempre stata contrassegnata da una specifica tematica: l’incubo la prima uscita, la rabbia la seconda, mentre in questo terzo, di nuovo splendido volume – o meglio fanzine, come la chiamano le autrici/gli autori - si parla e si racconta d’amore.

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Sette storie d’amore, inframezzate dalle belle tavole di Alessandro Baronciani, presentatore non-neutro e autore egli stesso di una “storia tra le storie”, la cui protagonista è una ragazza che potrebbe rappresentare ognuna/o di noi che leggiamo, con ospite d’onore un certo Ratigher

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La prima storia della fanzine, senza titolo, è di Alessandra Romagnoli[1].
Grazie ai suoi suggestivi e bellissimi disegni “a carboncino” ci si ritrova immediatamente in un’atmosfera non completamente definita, “nebbiosa” in un certo senso, certamente magica e romantica. E straziante.

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Chiunque al mondo, senza esclusione, può identificarsi coi dubbi e i sentimenti della protagonista, o di uno/a qualsiasi dei personaggi della storia. Personaggi che non si limitano alle persone, perché Romagnoli con i suoi disegni sceglie di far parlare ogni oggetto, ogni elemento della natura che compare nelle sue tavole. Inquadrature, particolari, volti, alberi e, sì, persone, non hanno bisogno di molte parole per farci entrare in uno stato d’animo che sta a metà tra un’estrema malinconia e una specie di distacco, come un osservare dall’alto per subito reimmergersi in un’atmosfera di coinvolgimento. Magia, come ho già detto e un finale che apre infinite possibilità per altre infinite storie che starà a noi decidere se vivere o meno. Le parole-chiave della storia di Alessandra Romagnoli, per quello che mi riguarda, sono atmosfera, e ricordo.
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La seconda storia, intitolata Week-End, è opera di Niccolò Tonelli. Una storia ambientata in estate, anche se di spiagge ed ombrelloni non ne vediamo l’ombra. Una storia d’amore tra improvvisi turni di lavoro, amori dichiarati e/o solo immaginati, con due punti di vista che si alternano e, anche, si contraddicono. Quotidianità e sogno. E’ una storia un po’ a spirale e dalle molteplici interpretazioni. Non sono così tutte le storie d’amore?

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I disegni di Tonelli sono duri e graffiati, definiti in ogni loro linea, semplici da un certo punto di vista, cartooneschi, non per questo meno espressivi. La sua scelta è nella maggior parte dei casi quella della splash-page, forse anche per questo i disegni e i personaggi sono così penetranti.
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Il titolo della terza storia, quella di Gianluca Valletta, è Niente. Storia breve non tanto per il numero di pagine di cui è composta, quanto per la secchezza, la durezza e la velocità di cui è permeata. Pare che finisca in un attimo, ma nelle dodici tavole di Niente c’è molto, invece.

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Uomo e corvo e una donna in lontananza, un ricordo di donna che è però ancora una presenza importante che fa dire all’uomo, e poi al corvo, frasi dure che alternano colpe e dolori e ricordi d’amore. Il corvo è un simbolo molto potente, così come lo è il segno di Valletta.
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Mareaè la storia, la quarta del volume, di Elisa Menini.
Lei, che potrebbe sembrare la protagonista di un manga con quegli occhioni grandi e lo chignon, è una ragazza decisa e dinamica e ha un sorriso che conquista; lui ha una maglietta dei Devo (cosa, questa, che me lo rende immediatamente simpatico) e molta voglia di accontentare, o assecondare, lei. Una giornata estiva – di nuovo: l’estate… – e voglia di andare a pesca.

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Amore e pesci, una dolcezza struggente di fondo, il mare ingannevole, qualche lacrima, una ferita (non grave!), insieme in scooter e una delle dichiarazioni d’amore più originali.
I disegni di Menini mi ricordano un po’ certi manga, non solo per la presenza massiccia di retino (digitale, suppongo) ma per l’espressività dei personaggi a metà tra realismo e cartoonesco. Mi sono molto piaciuti e la storia mi ha intenerito moltissimo. Anche se sono contrario alla pesca :)
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E’ poi la volta di He di Beatrice Concordia, autrice che già mi aveva tanto colpito nei precedenti volumi de L’Incubo alla balena.
Tanti disegni, o meglio tanto disegno, e tante parole per un racconto tra donne in cui ci sono un amore mancato e un amore presente e probabilmente rivalutato. Certe volte, così ho capito/interpretato io, l’amore non è necessariamente un fuoco che divampa di passione sfrenata, ma può essere altro. Meno intenso? Chi lo sa. Come si misura il grado di intensità di un amore?
Cos’è una “occasione mancata”? La storia, bella, intensa e divertente, mi ha fatto pensare anche più di quanto avrei voluto.

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Mi affascinano incredibilmente i disegni di Concordia con quel tratteggio a un tempo delicatissimo e potente, realistico, espressivo e contemporaneamente simbolico, pieno di particolari e dettagli che mi fanno scorrere lo sguardo più e più e più volte su ogni tavola, ogni vignetta. La prima vignetta è una semplice tazza di tè con una teiera accanto: beh, mi ci sono perso dentro per interi minuti! Il suo fitto tratteggio rende la realtà come fosse ovattata e circondata da una ragnatela sottilissima e impalpabile, ma la sua storia è così terribilmente… reale e comprensibile, straordinaria pur nella sua “normalità”. (L’ho scritto così, su due piedi…).
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La penultima storia è di Annamaria Gentili e si chiama Non preoccuparti.
E’ una storia che mi ha colpito molto. (Ok, oramai l’avrete capito che tutte le storie contenute in Ricci d’amare mi hanno colpito molto). E’, questa, la storia di un amore che si rompe o meglio che si blocca sul nascere, è la storia di un’indecisione e di un cuore strappato (e poi restituito) e di solidarietà amicale.

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E’ romantica e triste e crudele, ma anche così comune – e proprio per questo così ficcante e, in un certo senso, disturbante. Le ragioni di lui e di lei sono messe a nudo e non c’è tifo per l’una o l’altra parte anche perché la quantità di sofferenza è probabilmente equamente distribuita. O forse no, in amore non c’è mai nulla di “equamente distribuito”. La tristezza è palpabile e il finale è aperto, ognun* di noi lo immaginerà come più gli/le piace. I disegni di Gentili sono deliziosamente fumettistici, nel senso migliore del termine ovviamente; molto simbolici e con dei volti incredibilmente espressivi e la sua costruzione della tavola si differenzia da quella delle altre autrici e degli altri autori presenti sul volume: sceglie infatti spezzettamenti d’immagini e inquadrature mai banali, anche su dettagli apparentemente poco importanti, ma invece fondamentali per l’equilibrio, delicato, della storia.

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Chiude il volume la storia di Flavia Barbera che si intitola Lo Scimmiotto – Ricordi di Rachele. Devo essere onesto: sin dalla prima uscita di Incubo alla balena mi sono sentito in qualche modo legato a Flavia, in sintonia. Adoro il tratto che ha scelto di usare in Incubo alla balena e in La rabbia del canarino e non faccio eccezione per questo Ricci d’amare: il suo tratto è così potente, sfacciatamente “underground”, espressivo e libero che proprio non posso fare a meno di amarlo.

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Trovo il tratto di Barbera– sempre, ma forse maggiormente su questo lavoro - sontuoso e sensuale, straordinariamente comunicativo e, per quanto mi riguarda, emozionante. Non vedo l’ora di poterla leggere su una distanza un po’ più lunga (o anche molto più lunga) perché mi piace davvero il suo stile.

Lo Scimmiottoè una storia d’amore, certo, e di sesso. Lo Scimmiotto è, forse, un simbolo del sesso come gioia ed espressione, godimento, piacere. Questo non necessariamente elimina la componente romantica, che c’entra? Sesso opposto ad una concezione sessuofobica e colpevolizzante della vita. Ci ho visto troppo?…
Il giovane Scimmiotto incontra la giovane Rachele, passano dieci anni e ciò che resta sono i ricordi ed essi non sono solo “sentimentali”, ma anche e soprattutto carnali. Il tempo passa, certo, ma restiamo donne e uomini di carne e sangue (e peli) grazie al cielo, e la carne è importante come l’anima (l’una perlomeno sappiamo per certo che esiste!). I disegni di Barbera, la costruzione della tavola, lo storytelling, mutano con l’avanzare della storia: l’autrice sperimenta segni diversi, anche molto diversi tra loro, il tutto all’insegna di una palpabile libertà espressiva che si preoccupa di narrare e comunicare in modo personale e, di nuovo, libero. Vero Fumetto, un mare di emozioni. (E grazie Flavia, grazie a te!). 
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Infine: su Alessandro Baronciani cosa si può dire se non che disegnasse anche la lista della spesa sarebbe comunque un’emozione leggerlo? Baronciani, come accennavo poco sopra, è narratore partecipato alle storie, i suoi intermezzi legano le storie l’una all’altra dando loro una continuità narrativa che va al di là dell’essere tutte nello stesso volume. La ragazza legge, ascolta, giudica, si emoziona, e noi con lei. E col suo Ratigher
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Con questo volume si entra in un mondo e in un modo di fare fumetto diverso, autentico, profondamente emozionale ed emozionante e si godere di un piacere che non si trova facilmente ad ogni angolo. Se ragionassimo a stellette saremmo a cinque su cinque.
Buona lettura!

Orlando Furioso

 

Flavia_Barbera

Capitan Marvel Omnibus

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Capitan_Marvel_Omnibus_coverCapitan Marvel Omnibus

di  Lee, Thomas,
Colan, Drake, Heck, Ayers, Friedrich, Springer, Colletta, Goodwin, Kane,
Adkins, Boring, Wolfman, Sutton, Conway

contiene storie edite in USA dal Dicembre 1967 al Novembre 1972

cartonato con sovracc.
colore, 530 pagine

euro 55

Panini Comics

“Dai lontani recessi dello spazio è giunta un’astronave con il compito di studiare il pianeta Terra in segreto!
Un membro del suo equipaggio alieno travestito da terrestre deve testare le difese del nostro mondo… da solo!”

(Capitan Marvel n. 6 – Ottobre 1968)

Ho conosciuto Capitan Marvel moltissimi anni fa, precisamente alla fine di ottobre del 1971: il capitano della flotta interstellare Kree divenne il comprimario della testata dei Fantastici Quattro, con il numero 15. L’albo, così come tutti gli altri fumetti della Marvel, erano editi in Italia dalla mitica Editoriale Corno, direzione editoriale di Luciano Secchi e con la cura editoriale e le traduzioni affidate per la maggior parte a Maria Grazia Perini, colei al quale questo blog è dedicato.

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Non mi piaceva Capitan Marvel, non mi piacevano quei disegni così pieni di ombre, scuri, cupi, disegni nei quali in molti volti non si vedevano gli occhi, tutto quel nero… e i volti e i corpi dei personaggi erano così diversi da quelli di Jack Kirby! Le linee di questo “decano” Gene Colan (all’epoca non avevo la minima idea di cosa significasse “decano”…) erano meno definite, più sfumate di quelle del Re, i volti dei protagonisti e delle protagoniste erano così… adulti!
Il salto dalle – da un certo punto di vista – “scanzonate” avventure dei Fantastici Quattro a quelle così “serie” di Capitan Marvel non era indolore: per me era come passare da un fumetto (i FQ) pensato e creato per me e per i ragazzini come me, ad uno (Cap Marvel) creato e pensato per gli adulti e dunque di più difficile comprensione. Ok, lo ammetto: spesso l’ultima parte dell’albo, quella con Cap Marvel, non la leggevo proprio…

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Le mie impressioni di ragazzino erano ingenue, ma avevano un fondo di verità: nello stesso albo venivano infatti proposte due tipi di storie un po’ differenti tra loro e temporalmente “distanti” (nei fumetti quattro anni possono essere un’eternità…); le storie di Capitan Marvel erano realmente un po’ più cupe e “adulte” e i disegni del “decano” Gene Colan– che di lì a pochissimo tempo sarebbe sarebbe diventato uno dei miei disegnatori preferiti (e lo è tutt’ora) – erano davvero diversi rispetto a quelli del Re Jack Kirby.

Ci volle quindi qualche anno perché potessi apprezzare in pieno le storie di Capitan Marvel, personaggio dalla vita editoriale frammentaria, ma non per questo meno ricca, ed estremamente variegata, che ha avuto molte incarnazioni e del quale si sono occupati molti autori.
E finalmente esce l’Omnibus delle sue prime avventure…

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COSA CONTIENE CAPITAN MARVEL OMNIBUS

La base di partenza della storia, cominciata da Stan Lee e affidata già dal secondo numero a un giovane Roy Thomas– figura destinata a diventare di primissimo piano all’interno della Marvel– forse non è il massimo dell’originalità, ma è drammatica e coinvolgente.

Mar-Vell, questo il vero nome del protagonista, è l’aitante capitano di una delle flotte imperiali Kree, popolo imperialista altamente tecnologizzato che domina su un’immensa galassia. La missione di Mar-Vellè pericolosa: gli umani sono riusciti a sconfiggere la potente Sentinella Galattica 459 (un gigantesco robot semi-senziente), che i Kree avevano piazzato sulla Terra secoli addietro.
Il Capitano deve verificare come un popolo debole come quello terrestre abbia potuto sconfiggere la potente Sentinella ed eventualmente punirlo.
Ma in realtà la sua missione è manipolata dal perfido colonnello Yon-Rogg, “innamorato” della bellissima dottoressa Una, fidanzata di Mar-Vell.
Il malvagio Yon-Rogg spera di provocare, senza risultarne ufficialmente il colpevole, la morte di Mar-Vell e quindi di conquistare il cuore di Una. Quest’ultima e Mar-Vell sono però al corrente dei veri piani di Yon-Rogg

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Le prime avventure del “più grande dei nuovi supereroi” (così lo strillo di copertina del numero di Marvel Super Heroes n. 12 del Dicembre 1967 su cui compare la prima storia di Capitan Marvel) sono quindi incentrati, oltre che sulle violentissima battaglie di Mar-Vell, ribattezzatosi nel frattempo Capitan Marvel e diventato subito un eroe per i terrestri, su questa drammatica contraddizione tra il vero scopo di Mar-Vell (punire i terrestri) e la sua sempre maggiore affezione al nostro pianeta con la conseguente, tragica solitudine dell’eroe.

Oltre a questo c’è la tragedia degli amanti crudelmente separati dalle malvagie macchinazioni di Yon-Rogg. Ci sono cioè tutte le premesse per la costruzione di avventure appassionanti e ricche, per l’epoca, di sfumature psicologiche.

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L’assioma di base della Marvel di Lee e Kirbyè rispettato: supereroi con superproblemi.
Ossia la metafora di una crescente potenza ostacolata dai problemi e dagli ostacoli che il mondo e la propria interiorità pone di fronte ai supereroi, definiti come non solo come “superumani”, ma anche come “più umani degli umani stessi”. Sentire di poter dominare il mondo, ma non riuscire a ottenere quanto si ha di più caro. Ossia… l’adolescenza!

“Per gli abitanti della Terra– pensa un disperato Mar-Vell nella prima vignetta della sua sesta avventura – il nome di Capitan Marvel è quello di un eroe! Ma solo io […] conosco la sconvolgente verità… che un giorno potrebbe essere mia la mano a dare il segnale d’attacco contro questo mondo ignaro… che potrebbe essere la mia voce a decretare la sua totale distruzione! [Capitan Marvel Omnibus, pag. 110]

Come ogni supereroe che si rispetti a maggior ragione se alieno, anche Mar-Vell si premunisce di fornirsi di un’identità fittizia ed ecco che, senza il suo elmetto e il costume bianco e verde, diventa il dottor Walter Lawson, esperto in missilistica e reclutato nella base del Capo alle dipendenze del bonario generale Bridges e nella quale lavora come responsabile della sicurezza Carol Danvers (quest’ultima rivestirà una certa importanza nel Marvel Universe negli anni a venire…).

[Una nota personale sul costume: a differenza di quanto scrive Roy Thomas nell’introduzione al volumone, io ho sempre trovato il costume di Capitan Marvel uno dei più fichi dell’intero panorama supereroistico!]

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A proposito di Carol Danvers: è l’unica persona ad avere fortissimi sospetti sulla segreta identità terrestre di Mar-Vell, quel “dottor Lawson” che il suo intuito le dice non essere chi dichiara di essere. 
Il “triangolo” che si viene a formare tra Mar-Vell, Una e l’intraprendente Carol Danvers permette agli autori di sfruttare un altro cliché abusato, ma evidentemente irrinunciabile e gradito a lettori e lettrici dell’epoca, ossia quello della ragazza che s’innamora dell’eroe in maschera ignorando che sotto quella stessa maschera si trova la persona che ella più detesta al mondo, proprio come Peter Parker/Spider-Man e Gwen Stacy, Hal Jordan/Lanterna Verde e Carol Ferris e i precursori di tutto ciò: Clark Kent/Superman e Lois Lane.

L’introspezione psicologica cui accennavo è differente da quella che possiamo trovare nei fumetti moderni: in Capitan Marvel si tratta di un sottotesto usato per aumentare parossisticamente la drammaticità, ma che è presente in misura molto minore delle violente e onnipresenti scazzottate.
Nei primi numeri del fumetto assistiamo a una formula ripetitiva, per quanto efficacissima all’epoca: il combattimento tra il Capitano e il nemico di turno, e meglio ancora se tra i due, oltre alle botte, si frappongono dei fraintendimenti, vedi ad esempio la battaglia con Sub-Mariner o con l’orrendo e tragico Metazoide di “oltrecortina” (cortina di ferro: siamo pur sempre in piena Guerra Fredda).

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Interessante, e un po’ inquietante, l’incontro col primo super-villain già noto: Quasimodo, un computer vivente creato dal Pensatore Pazzo, un abituale nemico dei Fantastici Quattro perché nella storia – datata Novembre 1968 - si parla di un “collegamento in rete di più computer”, si parla cioè di… Internet!

“Aspetta pazzo! Abbiamo usato una rete di computer lontani collegati tra loro! Questa è solo una frazione della rete!”
”E tu li collegherai di nuovo… così potrò assorbire tutte le loro emissioni energetiche!”

Le prime avventure del Capitano sembrano collocarsi al di fuori, o ad un limite estremo dell’Universo Marvel più conosciuto, in quanto ad eccezione del breve e violento incontro con Namor il Sub-Mariner, nei primi numeri della serie non s’incontrano altri supereroi della Casa delle Idee.
Questa situazione in realtà è una caratteristica comune ai nuovi personaggi che la Marvel lancia continuamente sul mercato negli Anni 60 e 70: lo stesso iniziale “distacco” dal resto del popolatissimo universo Marvel, così come accadde per Thor, Ant-Man, Ghost Rider ecc. ecc.
E così come accade agli altri personaggi, anche il nostro Capitano ad un certo punto comincia ad interagire con gli altri character di proprietà dell’editore newyorchese fino a diventare parte integrante della Continuity, meccanismo irrinunciabile per ogni universo narrativo supereroistico che si rispetti.

Ciò va di pari passo con un frenetico alternarsi di autori che di volta in volta prendono le redini della testata.

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Le storie di Roy Thomas e Gene Colan durano sei splendidi numeri; quindi il timone passa allo sceneggiatore Arnold Drake e ai disegni di un Don Heck in ottima forma. I due mantengono le storie sul binario originario, con forzutissimi nemici, sempre dalle fattezze mostruose e i piani del Colonnello Yon-Rogg sempre più malvagi, così come viene mantenuta quella leggera e gradevole componente da “spy story”.

Gli autori si susseguono com’è tradizione Marvel e così per un paio di numeri troviamo alle matite un Dick Ayers un po’ legnoso e non particolarmente ispirato. Anche Tom Sutton niente male fa parte del club dei disegnatori di Capitan Marvel

Ma è con Gary Friedrich ai testi e Frank Springer ai disegni che il nostro eroe entra in un vero e proprio “trip” a-la Dottor Strange, con splash-page roboanti zeppe di colori accesi, forme astratte e scenari cosmici e “mistici”.
Qualche grosso buco di sceneggiatura  non impedisce di godere di uno dei cicli più fuori di testa dell’intera produzione Marvel di quegli anni.
Ammiriamo Rad-Nam, la città natale del Capitano, raffigurata con una fantasia ingenua e lontana anni luce da quelle che diventeranno in seguito le più seriose e drammatiche raffigurazioni della mitologia e degli scenari Kree.
Per chi come il sottoscritto ama il fumetto “vintage” questo Omnibus offre emozioni e divertimenti impagabili!

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Arriviamo al 1969 e grazie all’arrivo di Archie Goodwin ai testi e il ritorno di un Don Heck sempre più in forma e a suo agio assistiamo alla comparsa dell’Intelligenza Suprema, figura che ancor oggi a venticinque anni di distanza ha un ruolo importante tra le grandi “Entità” Marvel.
C’è anche un epocale cambio di costume che dall’originario bianco e verde passa a una bellissima e aderentissima tuta che – con gioia di Roy Thomas che lo dichiara nell’introduzione – contiene i colori primari rosso e blu, con un piccolo tocco di giallo. Eccolo qui sotto.

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…e proprio Roy Thomas torna a scrivere le gesta di Mar-Vell coadiuvato da un meraviglioso Gil Kane ai disegni. Le storie prendono subito un respiro più moderno e dinamico. Dialoghi e didascalie entrano di prepotenza nei Seventies e inizia quel lungo ciclo nel quale Mar-Vell sarà legato al giovane Rick Jones, ex amico di Hulk, ex “spalla” di Capitan America ed ex “quasi-Vendicatore”, benché sprovvisto di poteri.

Con una trovata narrativa a metà tra il geniale e il… beh, e il meno-geniale, diciamo, Capitan Marvel e Rick Jones si troveranno a dover condividere una sorta di doppia identità. Quando l’uno è sulla Terra, l’altro è confinato in una forma semi-ectoplasmatica in una Zona Negativa e viceversa. Per invertire il processo, far cioè riapparire sulla Terra chi è temporaneamente nella Zona Negativa, è necessario sbattere con forza i polsi ai quali ci sono due potentissimi quanto misteriosi braccialetti alieni impossibili da rimuovere, chiamati nega-bande. I due comunicano tra loro a livello telepatico e possono vedersi reciprocamente come degli “spettri”.

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“E’ successo qualcosa quando ci siamo… scambiati gli atomi! Una specie di… fusione! E adesso lui è parte di me… come io lo sono di lui!” (Rick Jones)

“Rick Jones è un giovane terrestre straordinario! Quanti adulti sarebbero stati in grado di adattarsi alla nostra relazione così… unica? Una relazione che nemmeno io comprendo appieno! (Cap. Marvel)

Questo presupposto un po’ buffo permetterà di concepire una serie di avventure non banali e psicologicamente interessanti.

E siamo giunti quasi al termine del poderoso e coloratissimo volumone di oltre cinquecentotrenta (530) pagine, Capitan Marvel Omibus, che si chiude con due storie del 1972 entrambe con i disegni di Wayne Boring, per i testi di Gerry Conway la prima e di Marv Wolfman la seconda.
Due storie non esattamente memorabili (ma con due splendide copertine!).
Finisce così il volume e mi lascia una gran voglia di leggere altre avventure del Capitano, storie bellissime come “La vita” e “La morte di Capitan Marvel”, che credo proprio riprenderò volentieri in mano.

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Capitan Marvel Omnibusè un fumetto vintage che non nasconde gli anni che ha ed è proprio questo uno dei motivi principali che me lo fanno amare così visceralmente. La concezione generale – storia, dialoghi, disegni, storytelling… – è molto diversa da quella attuale, né “migliore” né “peggiore”, semplicemente diversa, così com’era diverso all’epoca il fumetto super-eroistico e direi anzi tutto il fumetto nel suo insieme.
Non sono certo che questo Capitan Marvel possa facilmente piacere ai giovanissimi lettori e lettrici di oggi, ma sono sicuro che piacerà a chi apprezza il fumetto “antico” e a chi è sufficientemente duttile per immergersi in atmosfere retrò e lasciarsene beatamente conquistare. Io l’ho divorato in brevissimo tempo e il “pasto” è stato ottimo e abbondante. E un po’ nostalgico, ovviamente.
Buona lettura  e buona scoperta o ri-scoperta!

 

Orlando Furioso

Capitan_Marvel_10_Frank_Springer

 

Nota. Le illustrazioni a corredo dell’articolo sono di:

1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7 Gene Colan

8 e 9 Don Heck

10, 11 e 12 Gil Kane

13 Frank Springer

Il Papa Terribile

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Il Papa Terribile

1. Della Rovere

A. Jodorowsky, testi
Theo, disegni
S. Gérard, colori
F. Bossard, colori

vol. brossurato, 112 pag., colore

euro 14,00


Panini Comics  Collezione 100%

.

E’ il 18 agosto del 1503. La scalata al soglio di San Pietro da parte del cardinale Giuliano Della Rovere, eterno nemico del clan dei Borgia, comincia pochi istanti dopo la misteriosa morte di papa Alessandro VI, avvenuta quella stessa notte. Nulla, assolutamente nulla, verrà giudicato troppo sordido, violento, scandaloso o ripugnante da Giuliano per raggiungere il trono papale. Aiutato dal suo amante Alidosi, da un ultra-libertino e cinico Niccolò Machiavelli e dalla sua propria spietata determinazione, oltre che dal furto, dal tradimento e dall’assassinio, Della Rovere sarà eletto papa col nome di Giulio II.
Benedetta sia Roma! Benedetta sia l’Italia! Benedetta sia la Chiesa Cattolica, Imperatrice del mondo intero!

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Non ero l’unico a pensare che Il Papa Terribile di Jodorowsky e Theo non sarebbe mai uscito in Italia… le solite cose: il “Paese col Vaticano in casa”, “Vaticanolandia” ecc. Tutte cose vere, sia chiaro: anche se questa nazione non è dichiaratamente teocratica, le conquiste sociali tardano ad arrivare proprio “grazie” (…) alla presenza del Vaticano.

E invece Panini Comics, evidentemente non condizionabile da teocrazie non dichiarate e vaticanismi vari, pubblica proprio in queste settimane questo imperdibile volume, destinato, s’intende, a un pubblico adulto. Scelta dettata, certamente, dalla bellezza dell’opera; anche se a mio parere l’opera ha un altro, altissimo pregio: l’anticlericalismo.

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L’anticlericalismo è un valore che se potessi renderei insegnamento obbligatorio a scuola (insieme all’educazione civica e al rispetto delle diversità) e invece qui a Vaticanolandiaè così poco presente, così boicottato, così malamente considerato. E pensare che è un valore che non ha nulla a che fare con la religione o, meglio ancora, la spiritualità.

Ma torniamo al fumetto.
L’autore dei testi, Alejandro Jodorowsky, non è certo uno sconosciuto qui in Italia: i suoi volumi, che siano a fumetti o che siano romanzi o saggi, sono molto noti, vendono bene e godono di una moltitudine di ammiratori e ammiratrici.

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Il Papa Terribile, la storia del papa Giulio II,è un fumetto “storico” in quanto ha per protagonisti personaggi realmente esistiti, non nel senso che rispetti necessariamente gli accadimenti “così come sono avvenuti” - e infatti Jodorowsky non è uno storico di professione.  
Il volume racconta una storia piena zeppa di violenza, sesso, veleni e, appunto, anticlericalismo.
Qui tutto è eccesso.

Ma senza nulla togliere alla maestosità e all’efficacia della storia e della scrittura di Jodorowsky (che amo a prescindere), lo splendore del volume è dovuto ai magnifici, realmente sontuosi disegni di Theo (al secolo Theo Caneschi) . Una vera esplosione di gioia per gli occhi.

Lo stile di Theo riesce a essere "iperrealista" per quanto riguarda le espressioni dei personaggi, che specie nei primi piani pare escano dalla pagina pronti a mangiarti il naso, e allo stesso tempo molto "fumettistico", ovviamente nella migliore accezione del termine, anche e soprattutto per l'uso anti-naturalistico dei colori: a questo proposito i coloristi Gérard e Bossard hanno fatto uno splendido lavoro non andando mai a “coprire” o a rendere piatti i magnifici disegni di Theo.

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Le anatomie, i nudi, specie quelli maschili che abbondano, tutto è disegnato splendidamente, con sapiente conoscenza del corpo e delle varie età del corpo; le caratterizzazioni dei personaggi, dei loro volti soprattutto, rasentano la perfezione. Anzi questo è proprio uno dei punti di maggior forza del volume: la potentissima dinamica che Theo riesce a trasfondere nei volti e nei corpi e nei movimenti dei personaggi. Personaggi vivi.
Questo non vuole dire che il resto (paesaggi, interni, arredi, costumi ecc.) restino in secondo piano: anzi, la straordinaria maestria di Theo rende “tridimensionale” qualsiasi elemento della tavola e la cura del particolare è un pregevole “di più” che impreziosisce ulteriormente il volume. Guardare gli arredi, i sontuosi vestimenti di Giulio II, i costumi dei prelati e dei guerrieri, gli abiti degli altri personaggi, equivale a perdersi in uno splendido reticolato di segni e colori pieni di bellezza e di forza.
Chissà se il fatto che Theo sia nato nella stessa città di Leonardo da Vinci significa qualcosa in termini di destino e capacità artistiche?...

La linea di Theo non è ossessivamente "omogenea" (siamo distantissimi da una qualsivoglia "ligne claire"; per intenderci basta guardare le immagini a corredo, che comunque NON rendono minimamente quanto rende osservarle su carta), la realtà è interpretata in senso realistico per quanto riguarda proporzioni, anatomie  e prospettive, ma al contempo le tavole sono perfettamente fumettistiche, senza che ci sia bisogno di chissà quali sperimentazioni o arditezze grafiche.

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Il tema-colore dominante è ovviamente il rosso: parlando di papi, di cardinali e di sangue il rosso è il colore naturale. Una luce un po’ soffusa è presente nei disegni, ma questo effetto – dovuto alla colorazione – non disturba, rende anzi meglio, a mio parere, l’atmosfera generale.

La storia non ha nessun punto di stallo, ma anzi dall'inizio alla fine prosegue quasi di corsa tra avvenimenti sempre più crudelmente e violentemente intensi, maestosi ed eccessivi, colpi di scena e una scia di sangue che percorre, insieme a una onnipresente macabra ironia, l’intero volume. Insomma si legge d'un fiato perché è avvincente e anche stuzzicante, piena com’è di scandali e di situazioni che vanno dal pruriginoso all’esplicito, e diverte tantissimo perché osa ed eccede ma senza scadere mai nel ridicolo o, peggio, nel banale.

Il fatto che il papa Giulio II e una buona parte della cricca prelata sia omosessuale, e il fatto che in tutta la storia questa omosessualità non venga mai una volta trattata in modo “particolare” o diverso dalla, per esempio, eterosessualità di Niccolò Machiavelli, è un ulteriore pregio. Ecco - finalmente! - un fumetto in cui personaggi omosessuali non rappresentano nessuno stereotipo: non c’è traccia di politically correct qui, nessun omosessuale è descritto secondo i triti dettami di una morale in decomposizione che ci vuole tutti “effeminati” o “portati per…” o “delicati” o “sensibili”. Finalmente una storia in cui personaggi omosessuali sono malvagi, stron*i, ipocriti esattamente come lo sono tutti gli altri, né più né meno. Non è certo né il genere né l’orientamento sessuale a determinare le “inclinazioni” di una persona [1]. Da uno come Jodorowsky non mi sarei aspettato nulla di meno a riguardo.

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Per quanto riguarda i dialoghi faccio un'osservazione del tutto personale (come ogni cosa qui scritta): talvolta la prosa messa in bocca da Jodorowsky ai vari personaggi è spesso un po' troppo stereotipata, un po' troppo, come dire, "leggendaria", un po' troppo "proprio-come-ce-l'aspettavamo" e forse, da questo punto di vista, l’autore cileno avrebbe potuto osare un pochino di più.
Questo però non inficia né la bellezza né la fluidità della storia né tantomeno l'efficacia delle caratterizzazioni. 

L’ultima pagina termina con la scritta “continua…” e spero vivamente che ciò risponda al vero e che esca presto il seguito di questo volume splendido e imperdibile che consiglio a chiunque voglia immergersi in una storia intensa, appassionante, senza tabù e magnificamente disegnata.

Orlando Furioso



Nota:

[1] Questo, al contrario di ciò che potrebbero pensare certi moralisti gay, fa bene alla causa dei diritti delle persone omosessuali: “nessuna discriminazione” significa anche il diritto ad essere stron*i/e proprio come lo sono gli eterosessuali (o i non-sessuali, o i polisessuali o chiunque). Personalmente sono arcistufo tanto dell’omofobia quanto di “persone gentili” che danno per scontato che siccome sono gay io debba essere “più sensibile”, “con un maggior senso artistico” o altre, discriminatorie stron*ate del genere.

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Topolino Platinum Edition

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Topolino Platinum Edition

Storie eterne che sfidano il tempo scritte (e disegnate) da Casty

di Casty e AA.VV.

vol. brossurato con bordo argentato, colore, 370 pag.

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euro 7,90


Panini Comics

 



"DIRITTO AL GODIMENTO"

Così come il diritto di critica, anche di "criticaccia", è sacrosanto diritto di chiunque, altrettanto dev'essere per il "diritto al godimento".

Il "diritto al godimento" mi è venuto in mente oggi, durante la lettura di un post su un social network: "Quali sono le cose che non tollerate dei fumetti Disney?".

1_Casty_Cavazzano
In genere questi post sono molto interessanti perché presentano spunti di riflessione e inoltre spesso contengono commenti anche molto divertenti.
La maggior parte o addirittura la totalità di chi partecipa a questi tipi di post è formata da super-appassionati/e, persone con gusti precisi, formatisi dopo anni di letture. Spesso la persona super-appassionata e quella super-esperta coincidono, quindi sciocchezze o carenze di argomentazioni non se ne leggono (tranne rare eccezioni).
Anche quando non condivido le cose dette, le giudico sempre molto interessanti e utili e, lo ribadisco perché è importante, piene di stimoli.
Stesso motivo per il quale lurko da molto tempo il bel forum dedicato alle produzioni targate Disney: il Papersera.

2_Casty_DeVita

Non ho partecipato alla discussione di cui sopra, perché avrei fatto la figura di quello "acritico" o, peggio, del babbalone...
Perché la mia risposta alla domanda "quali sono le cose che non tolleri dei fumetti Disney?" sarebbe stata: "praticamentenessuna". [1]

Non sono un esperto (ed è per questo che il Papersera lo lurko soltanto…), ma come moltissim* italian* ho imparato a leggere – una cinquantina di anni fa - su Topolino e attualmente sono un soddisfatto acquirente e lettore di molti prodotti targati Disney; magari senza troppa assiduità e continuità, ma diciamo che almeno i “fondamentali” non me li lascio mai scappare. E così sono orgoglioso possessore dell’opera di Carl Barks uscita qualche anno fa in edicola per un totale di 48 meravigliosi volumi e dell’analoga iniziativa riguardante Floyd Gottfredson in 38 imperdibili volumi e sto prendendo, felice, sempre in edicola, i volumi con l’opera omnia di Romano Scarpa (51 i volumi previsti).

4_Casty_Casty

Mi piace poi comprare, e divorare subito, qualsiasi cosa di Silvia Ziche targata Disney, e poi I Grandi Classici e la nuova collana delle Topostorie, oltre a Pocket Love, praticamente gli shojo-Disney!

Non essendo, appunto, un esperto né un assiduo lettore del settimanale, che compro solo in occasioni speciali, non conosco ancora molto alcuni/e autori/trici dell’ultima o penultima generazione. Tra costoro c’è Casty

Casty, per chi non lo sapesse, è lo pseudonimo di Andrea Castellan (QUI una sua bella intervista fatta dal Papersera), uno degli autori da qualche anno più amati da chi è appassionato/a Disney.
E a ben donde, direi, visto che ho appena terminato di leggere l’entusiasmante (a dir poco!) e splendido Topolino Platinum Edition, con sottotitolo "Storie eterne che sfidano il tempo scritte e disegnate da Casty" e posso, da oggi, considerarmi suo fan anch’io!

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Il volume a mio parere è imperdibile non solo per chi appassionat* Disney lo è già (e in questo caso, neanche a dirlo, lo avrà già preso il giorno stesso della sua uscita), ma anche per chi ama semplicemente il buon fumetto, l’avventura, le storie intricate e complesse (a lieto fine, s’intende!) e che lasciano un meraviglioso gusto a un tempo disneyano e anche un po’… dark!

Non ho avuto alcun dubbio sull’acquisto del volume perché proprio qualche settimana precedente alla sua uscita, su Topolino n. 3077 era comparsa una storia intitolata Topolino e i 7 Boglins (sogg. e sceneggiatura di Casty, disegni di Enrico Faccini) che mi ha lasciato sconvolto! Un’avventura con protagonista il Topo più famoso del mondo, pubblicata su un “giornaletto per bambini” (?!?…) è riuscita a tenermi col fiato sospeso, a rendermi perfino leggermente angosciato e nervoso, fino all’ultima, liberatoria pagina! Una storia godibile da bambini e adulti, così come ogni buona storia Disney dovrebbe essere, con differenti livelli di lettura, inside jokes, citazioni nascoste; un giallo da cardiopalma che mi ha veramente entusiasmato! Ne consiglio molto caldamente il recupero e poi sappiatemi dire.

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Non avevo quindi nessuna intenzione di farmi sfuggire un intero volume di ben 370 pagine interamente assemblato con storie scritte (e, alcune, anche disegnate) da Casty!

Casty riesce – come dice l’ottimo Enrico Faccini nell’introduzione al volume – a “ricreare il feeling delle storie […] dei maestri, da Scarpa a Gottfredson, con un occhio al presente […] e gli spunti dal sapore Twilight Zone, con richiami alla fantascienza anni Cinquanta…”.
La descrizione è perfetta. Spero che sia anche sufficientemente stuzzicante per far decidere chi è ancora indecis* a procurarsi il volume.

Le storie presente nel volume Topolino Platinum Edition sono otto e per questa volta vi risparmierò i miei asfittici “riassuntini-una-storia-per-una” lasciandovi il piacere di scoprirle da soli/e, specificando semmai come ulteriore “valore aggiunto” i nomi dei disegnatori presenti, oltre allo stesso Casty: Giorgio Cavazzano, Massimo De Vita, Marco Mazzarello, Enrico Faccini.

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“Diritto al godimento”: mi sono goduto (e ri-goduto… nonostante le pile e pile e pile (ecc.) di “roba arretrata da leggere” mi sono ri-riletto questo volume già tre volte!) ognuna di queste bellissime, bellissime storie. Ognuna diversa dall’altra, con alcune caratteristiche in comune, come quella di avere sempre come protagonista  Topolino, personaggio dalle immense potenzialità – come Gottfredson, tanto per fare un nome, ha ampiamente dimostrato - che soffre però suo malgrado della “sindrome di Superman”, cioè è considerato un “perfettino” “saputello” “sbirro”… e magari è anche tutte queste cose, sta di fatto che quando usato come si deve diventa un personaggio di gran spessore, ricchissimo, sfaccettato, molto più open-minded di quello che i pregiudizi potrebbero far pensare. E poi, ricordiamoci sempre chi è il suo migliore amico!

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Nelle otto storie che formano il volume Topolino Platinum Edition, oltre al migliore amico di Topolino, abbiamo anche ospiti d’onore e d’eccezione: amici creati tantissimi anni fa e poco utilizzati come Atomino Bip Bip (creato da Romano Scarpa, di cui Castyè un grande ammiratore) e il Professor Enigm, o amici/amiche create proprio da Casty come Eurasia Tost ed Estrella Marina.
Ma, si sa, i personaggi più interessanti restano pur sempre i cattivi, i villains, come l’onnipresente Gambadilegno, il fastidiosissimo Topesio o Vito Doppioscherzo e altri ancora che scoprirete leggendo le storie.

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Storie che hanno sempre grande originalità, atmosfere sempre diverse e intense, dialoghi al fulmicotone e spesso dotati di una comicità efficace (non così comune tra le storie Disney), dialoghi divertentissimi sempre e comunque; e ancora: caratterizzazioni strepitose e una fantasia scatenata e così ottimamente canalizzata da Casty da farci sperimentare un’immersione totale nella storia.
Dal giallo alla distopia alle cupe atmosfere dark – a questo proposito è da pelle d’oca Topolino e gli Ombronauti– dall’avventura marina a quella ambientata nella giungla, alle trame futuriste nella lunga e splendida  Topolino e il mondo che verrà, degna conclusione del volume.

Sono molto felice di aver scoperto, seppure con mostruoso ritardo, l’opera di Casty (e di esserne immediatamente diventato un fan!) e spero che queste mie entusiastiche righe possano incuriosire, e perché no magari anche “contagiare” a loro volta, qualcun* che ancora non lo conosce.

Orlando Furioso

Nota:
[1] Una cosa c'è ed è l’odioso “riadattamento-politicamente corretto” messo in atto talvolta con pesanti censure. Veramente insopportabile! Sostituire un divertente e innocuo “ti faccio a pezzettini!” con un patetico “ti prendo a ciabattate sul popò!”è, appunto, semplicemente patetico. Oltre che perfettamente inutile.

 

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I disegni a corredo di questo scritto sono, nell’ordine, di Cavazzano, De Vita, Casty, Casty, Mazzarello, Faccini, Casty, Casty, Cavazzano.

…e Buon 2015 a voi!!!

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Scrivo queste righe per un motivo molto semplice: ossia la vergogna di vedere, lì a destra, nell’elenco post di Dicembre, un solo titolo!
Almeno con questo saranno DUE e mi sentirò un po’ più in pace con me stesso!
…e sarà anche L’Ultimo Post dell’Anno, wow!
 (segue)

Le mie amiche e i miei amici del noto social network blu, sanno già – lo sanno fin troppo visto quanto ho “rotto” ultimamente - che sono in mezzo a una sorta di “crisi” che in qualche modo mi blocca la scrittura di cose che abbiano un minimo di senso.
Questo è il motivo della mia assenza dal blog. Nient’altro.
Non pressanti impegni, non mancanza di tempo (voglio dire: quello, il tempo, manca sempre!), non carenza di lettura di cose belle (anzi! Mai speso tanto, e in modo soddisfacente, come in questo periodo!). Insomma, non starò qui a fare un riassunto, ma diciamo che questa “crisi” [1] mi ha proprio bloccato per benino, eh sì.

Non è certo la prima volta che mi viene una “crisi” di tal fatta [2], ma è la prima volta che arriva in modo così forte e prepotente: staremo a vedere cosa succederà e se sarò in grado di superarla o no.

Nel frattempo voglio dirvi quali sono le ultime cose che ho acquistato e delle quali mi piacerebbe parlare in modo un po’ approfondito in un vicinissimo futuro.

Rigel_Anedonìa_Elena_de_Grimani

La prima è un volume unico di Elena de’ Grimani: “Rigel – Anedonìa”, edito da Panini Comics e uscito alla fine di Ottobre. (In realtà ho già cominciato da qualche giorno a scrivere le mie considerazioni su questo meraviglioso, intensissimo, profondo volume… sto cercando di “forzare il blocco”!).
Se non conoscete la bravissima Elena de’ Grimani potete farvi un’idea visitando la sua pagina facebook. Per ora non anticipo altro, ma spero di avervi messo sufficiente curiosità perché Elenaè un artista (chi mi conosce sa con quanta, quanta cautela uso questo delicato termine) di una bravura e di un’intensità uniche. La seguo da tempo e non smette di crescere e di migliorare, nonostante sia già a livelli elevatissimi.

sock-monkey

Vorrei poi tanto parlare – e lo farò presto! - di un volume, un bel volumazzo grande e spesso, che mi ha incantato e mi ha fornito materiale per sogni e incubi per i prossimi lustri! Un volume spettacolare che aspettavo, anzi bramavo, da anni: si tratta di “Sock Monkey Treasury” del grande Tony Millionaire, meritoriamente e finalmente edito da Edizioni BD.

FightingAmerican

Di Bao Publishing ho preso un volume vintage obbligatorio per i/le fans di Jack“The King” Kirby! Si tratta della raccolta completa delle storie di Fighting American.
“Obbligatorio” perché è stupendo, neanche da dirlo, a maggior ragione visto che oltre a Jack Kirby c’è anche Joe Simon! Politicamente scorrettissimo se letto con gli occhi di oggi, deliziosamente retrò, potente e coloratissimo, con queste vignette che pare ti saltino agli occhi! Una perla da intenditori/trici che spero di presentare prima possibile!

LittleNemo_orlando

Non parlerò dell’ incommensurabile “volume” (otto chili e trecento grammi in tutto…) che raccoglie tutto il Little Nemo di Winsor McCay, che ho acquistato qualche giorno fa spendendo una cifra che potrebbe essere considerata “alta”, ma che per me non lo è considerato il valore intrinseco che ha. Little Nemoè probabilmente il più bel fumetto di tutti i tempi, Winsor McCay uno dei più grandi e abili disegnatori che siano mai esistiti… come potrei permettermi di parlarne io, dai miei abissi di ignoranza e devozione?!? Su Little Nemo sono stati scritti innumerevoli saggi, libri, articoli… Volevo solo farvi sapere che l’ho acquistato e ne sono pazzamente felice, è una delle cose più preziose che possiedo, ma non ho altro da dire, non potrei azzardarmi.

La Guardia dei Topi

Tornando al presente e a cose probabilmente più accessibili, anche economicamente, mi piacerebbe parlare del bellissimo La Guardia dei Topi di David Petersen (2 voll. per Panini Comics), un fantasy disegnato da dio con personaggi, appunto, topi. Un gioiellino.

Miracleman_1

Non riuscirò a parlare, per timore reverenziale nei confonti del Sommo Bardo di Northampton e perché è già stato detto di tutto e di più e io non potrei certo aggiungere nulla di rilevante, del capolavoro Miracleman di Alan Moore (che però sugli albi non può essere citato per contratto e viene indicato come “lo Scrittore Originale”) e disegnato da Garry Leach, Alan Davis, Rick Veitch (mostri sacri anch’essi). E’ IL fumetto che ha rivoltato come dei calzini i vecchi supereroi; è un fumetto per il quale i “gusti” non valgono: è oggettivamente bello, se non ti piace è un problema tuo. Capite ora perché non posso parlarne? Ma spero che lo compriate e lo leggiate. Albetti mensili, costano poco, Panini Comics.

Gen di Hiroshima

Vorrei tanto raccontare qualcosa anche di alcuni manga che sto leggendo e che mi stanno piacendo, come Il Fiore Millenario di Kaneyoshi Izumi (Planet Manga) Natsume degli Spiriti di Yuki Midorikawa (sempre Planet Manga) e soprattutto del primo, immenso (in tutti i sensi) volume di Gen di Hiroshima di Jeiji Nakazawa (Hikari edizioni).
Sì, confesso che sto trascurando un pochettino i manga, e me ne dispiaccio molto… ma non essendo miliardario e amando tanti tipi di fumetti, ogni tanto qualche “categoria” deve cedere un po’ di tempo e spazio ad altre che in un dato momento mi sono più congeniali e sento di dover approfondire. Ma mi rifarò senz’altro prossimamente!

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Mi piacerebbe raccontarvi di quanto continua a piacermi il ciclo di Amazing Spider-Man di Dan Slott (Panini Comics, albi mensili), anche se non ci ho ancora fatto l’abitudine al ritorno di Peter Parker quello vero: mi ero affezionato, ma parecchio!, al Superior Spider-Man duro e violento!
E sto seguendo con molto piacere anche le nuove avventure di Devil, di Mark Waid (Panini Comics) e vorrei parlarvi anche di quanto mi sta entusiasmando questa giovane autrice – Kelly Sue DeConnick - che ha preso in mano il personaggio di Capitan Marvel (Carol Danvers) e la sta caratterizzando in modo stupendo!

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…e infine, ma non lo farò, vorrei avere il coraggio di dirvi quanto non mi sia piaciuto (è davvero un blando eufemismo…) “si dà il caso che” di Fumio Obata, che sto cercando di vendere (Bao Publishing). Il mio fumettaio mi dà sempre ottimi consigli: stavolta ha toppato alla grande. Ehi, capita anche ai migliori!

Ecco fatto. In realtà ho comprato e letto un sacco di altri fumetti che non ho nominato qui, e che mi sono piaciuti (RW Lion, Disney, GP Manga, Star Comics…). Se mi si “sblocca il blocco” magari parlerò di tutte queste bellissime cose da leggere. Lo spero tanto!

Per ora, e siamo davvero alla fine, Buon, anzi Ottimo 2015 a tutte e a tutti Voi!!!

Orlando Furioso

 

Note:

[1] Continuo a mettere le virgolette al termine “crisi” forse illudendomi in tal modo di delegittimarla, di renderla meno reale. Ma, in confidenza, si tratta proprio di una crisi, senza virgolette. Se avvenisse in Casa DC Comics mo’ arriverebbero supereroi e supereroine, e parecchi/e villains, da questo e da altri mondi, ci sarebbe una super-mega scazzotata, qualcun* forse morirebbe (per poi risorgere qualche numero dopo) e la Crisi sarebbe risolta… salvo prepararne una immediatamente successiva mentre le ceneri della prima sono ancora calde, ma di questo parleremo magari un’altra volta.

[2]…ne sa qualcosa la pazientissima Acalia Fenders, cui ho rotto timpani e scatole diverse volte sull’argomento… “Chiudo il blog? Non lo chiudo? Perché non lo chiudo? Chi sono? Dove vado? Dio esiste? Questo è uno shojo o uno shonen? Quando esce il nuovo Kuragehime? …” ecc. …

 

Stan Lee

L’immenso Stan Lee, che ha da poco compiuto 92 anni

RIGEL – ANEDONIA

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Rigel_Anedonìa_Elena_de_Grimani

Rigel – Anedonìa

di Elena de’ Grimani


vol. brossurato con sovracoperta
144 pag. b/n


euro 9,90


Panini Comics

 

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“Elena scrive e disegna in modo straordinario, meriterebbe di essere apprezzata in tutto il mondo.”

(Lillo [Pasquale Petrolo], dall’introduzione a Rigel – Anedonìa)

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Rigelè tornata!

Nella prima pagina del volume autoconclusivo Rigel – Anedonìa la sua autrice Elena de’ Grimani ci regala una cosa importante e preziosa, che non ci era dovuta. Ma lei, Elena, è fatta così, un po’ come Rigel: si mette in gioco, rischia, cade, si rialza, cambia senza tradirsi né tradire.
In quel regalo che è l’introduzione c’è la chiave di lettura, o meglio una delle chiavi della sua scrittura; c’è una traccia, intensa e certo non indolore, che noi che leggiamo possiamo scegliere se seguire o meno.

Ma la vera chiave di lettura è quella personale di ognun* di noi: da chi leggerà e conoscerà Rigel per la prima volta (e ne resterà incantat*, sono pronto a scommetterci) a chi ne è fan da anni e attendeva con ansia che la vampira tornasse con una nuova storia.

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Non ho grassettato a caso la parola qui sopra: “vampira”. E’ questo ciò che è Rigel. Mai però una di quelle creature sbrilluccicose e imbottite di una finta, e risibile, “drammaticità”. Rigelè sempre stata molto lontana dalla raffigurazione di un luogo comune. La sua autrice non segue le mode. Casomai le crea.

Dicevo che è questo ciò che è Rigel, una vampira… …ma Anedonìa[1] non è solo una storia di vampiri: è una profonda riflessione sul buio come elemento prevalente e permeante e sembra cambiare e mettere discussione un po’ di concetti fondamentali, tra i quali proprio “una” e“vampira”.

Dunque Rigelè tornata. E’ cambiata? Sì. No.

Elena de’ Grimaniè cambiata? Io sono cambiato? Tu che stai leggendo sei cambiata/o? La risposta, anzi le due risposte, sono le medesime per chiunque, Rigel compresa.

Rigel_Anedonìa_ElenadeGrimani_04

Sto affermando che la lettura di Anedonìa non è lineare né tantomeno semplice?
Sì, è il mio piccolo, impacciato, ma sincero modo di ringraziare Elena de’ Grimani per aver scritto questo splendido volume che mi ha artigliato il cuore, tra lei e Rigel me l’hanno anzi fatto sanguinare: leggere Anedonìa mi ha commosso fino alle lacrime. E difficilmente tutto ciò può accadere con una storia semplice e lineare.

Come spesso accade in una delle tante realtà che ci si trova a dover vivere (talvolta nostro malgrado), Rigel sta vivendo più vite e la sua coscienza – circondata da una bianca ondata di neve, una neve che ha più di una profonda, drammatica valenza simbolica – ne è scossa fin dalle sue stesse fondamenta. Sì, è pur sempre una vampira con tutte le contraddizioni che l’essere immortale e costantemente bisognosa di bere sangue umano comporta. Anzi, persino nel suo mondo Rigelè sempre stata una vampira del tutto speciale con poteri (e una storia) particolari e unici.

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Contraddizioni? L’ho detto poco sopra che Rigel non è un luogo comune. Gli altri e le altre cacciano, bevono, dormono, stanno lontano dal sole, strillano quando vedono una croce.
Non è molto comune per i comuni vampiri ritrovarsi a “vivere” vite distinte e apparentemente inconciliabili tra loro, vite più reali di un paesaggio ghiacciato e/o più meta-fisiche di un… fumetto disegnato! Per certe vite i sogni sono reali e terribili tanto quanto lo stato di veglia.

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La propria rinascita fa sempre qualche vittima. A maggior ragione la rinascita di una vampira. Solo che in Anedonìa le vittime sono meno scontate di quanto si potrebbe immaginare.
Le vittime di un mondo morto sono per questo meno vittime? Che c’è di male a morire se si è già morti…

Al di là delle tentazioni retoriche, che costano poco e tanto plauso raccolgono, vita e morte non sono due lati di una stessa medaglia; sono anzi opposti e inconciliabili; persino per una vampira.
Una vampira che non sa più chi è e vive in uno stato di anedonìa così forte che è disposta a sperimentare sofferenza estrema pur di sentire qualcosa, pur di sentire di nuovo.

Lily e Vuk– sì: non pensavate mica che Rigel fosse l’unico personaggio del volume vero? – ognuno/a a suo modo, ognuno/a per come può, ognuno/a per il destino che sente di portare addosso, sarà “vicino” a Rigel. D’altronde, come vedrete, neppure Lily e Vuk sono esattamente ciò che sembrano…
Sì, certo che ci sono altri e altre a recitare in questo volume, persone – e non-persone – che rendono la lettura una sorta di cerchio ipnotico, che segnano nella mente di chi legge dubbi, sorprese, e infine veri e propri colpi di scena.

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Perché non pensavate mica che tutti questi miei panegirici zeppi di aggettivi si riferissero a un fumetto iper-cerebrale in cui ci si contempla l’ombelico e al di fuori di esso non accade nulla, vero?
Rigelè una presenza, invece, così concreta e piena di cose, che stupisce a ogni girar di pagina; Anedonìaè una storia in cui accadono molte cose, nessuna delle quali trascurabile, nessuna messa lì a caso o per fare numero. Come dicevo poco fa, qui si rischia, si cade, ci si rialza, ci si mette in gioco, si muore e si rinasce, si cambia, si seminano indizi e basi per il futuro. E sia detto en passant, Anedonìa ha un finale da brivido, sconvolgente e non per mero modo di dire.

Se si è fortunati come lo sono stato io, può capitare di commuoversi fino alle lacrime e di sognare Rigel la notte stessa…
(Sapete che non rovino il piacere della vostra lettura con trame e riassunti; sapete anche che tanto non sarei in grado di farne: a scuola, mille anni fa, ero pessimo nei riassunti. Per dire. Inoltre non sarebbe facile riassumere il plot di Anedonìa.)

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Anche chi è già fan accanito di Rigel non potrà che ritrovarsi – piacevolmente/dolorosamente - spiazzato/a da questa storia, che non rinnega nulla del passato, ma semmai, appunto, pone delle fondamenta per storie future, le storie che spero ardentemente arriveranno presto.

Tutto quanto detto finora è disegnato con lo stile incantevole, e la tecnica sopraffina, di Elena de’ Grimani, stile e tecnica in continua e costante evoluzione (che è, in questo caso, sinonimo di miglioramento) sempre più personali e sempre meno riconducibili a eventuali “debiti d’autore” già ampiamente pagati – e superati – dall’autrice.
Ammiro tantissimo la grande raffinatezza del suo segno che resta comunque sempre leggibile; raffinatezza e anche potenza al servizio di uno storytelling fluido, ma impetuoso quando è il caso, efficace sempre, con una costruzione della tavola e delle sequenze sempre bilanciata.

Riassumendo: amo tantissimo i disegni di Elena de’ Grimani (se seguite il link capirete meglio cosa intendo) e consiglio col cuore la lettura di Rigel – Anedonìa a chiunque, ma innanzitutto a tutte le persone - meravigliose, voi sapete chi siete - con cui “parlo” quasi quotidianamente di fumetto.
Credo che Anedonìa abbia caratteristiche tali da poter piacere ed essere molto apprezzato anche da chi non ha mai avuto contatti con questo tipo di fumetto… e il fatto che, anche pensandoci su non mi viene in mente quale possa essere la classificazione per “questo tipo di fumetto”, la reputo una cosa estremamente positiva.
Non sono un fan della “originalità a tutti i costi”, ma non saprei dire a “cosa somiglia” questa storia. Anche questo vuole essere un complimento.

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Non appena terminata la lettura di Anedonìa ho avuto un enorme desiderio di parlarne pubblicamente (qui sul blog, sul social network blu, alle persone che conosco…) proprio perché la lettura non è stata indolore e perché mi ha riempito di sensazioni profonde che faccio fatica a tenere per me… Però mi sono subito chiesto se sarei stato in grado di scrivere qualcosa di sensato e non una delle mie solite inutili tiritere a base di “stupendo!”, “fantastico!”, “meraviglioso!”.

Sarebbe facile per me – ne sono specializzato! – autoflagellarmi in uno dei miei soliti e noiosi attacchi di scarsa autostima scusandomi, con Elena innanzitutto, per non essere riuscito a dire nulla di sensato su Rigel – Anedonìa. Beh, questa volta non lo farò perché, a differenza di molte mie sequenze di parole che compaiono su questo blog, ciò che ho scritto sin qui ha senso, ha un profondo senso per me. Spero che chi leggerà Anedonìa potrà capire, anche se spero che nessuno e nessuna si trovi mai, o mai più, in un mondo coperto di neve.

“Si rinasce urlando”

Orlando Furioso

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Note:

[1]“incapacità di provare piacere…”

Fighting American

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Fighting American

di Joe Simon
e Jack Kirby

recupero disegni e nuovi colori di
Harry Mendryk


vol. cartonato, colore, 200 pag.


euro 20

Bao Publishing

 

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Fighting Americanè un supereroe creato dalla penna di Joe Simon e dalle matite di Jack Kirby nel 1954 e pubblicato originariamente negli Stati Uniti da Crestwood Publications.

Questo lussuoso, e tutto sommato economico, volume della Bao ne pubblica l’intera produzione, per un totale di sette numeri usciti negli Stati Uniti tra il 1954 e il 1955, un numero uscito nel 1966 e due storie inedite.

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Come dice Joe Simon nell’introduzione da lui scritta nel 2011, solo due mesi prima di morire:

”Il volume che tenete tra le mani contiene tutte le storie di Fighting Americanche abbiamo prodotto […] Qui avete la collezione completa”

Il plot di base di Fighting Americanè sfacciatamente simile a quello del ben più noto Capitan America, creato nel 1941 – tredici anni prima di Fighting - dai medesimi autori: anche qui un mingherlino, ma patriottico cittadino americano, accetta di sottoporsi a un esperimento per cambiare definitivamente il suo debole corpo che sarà trasformato da scienziati del Governo in una macchina da combattimento.

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La “mente”, l’essenza vitale del patriottico e mingherlino Nelson Flagg viene “inserita” nel robustissimo, agilissimo, potenziato corpo del suo stesso fratello Johnny Flagg giornalista e “mezzobusto televisivo” noto per il suo entusiasmo nel difendere l’American Way of Life, “ucciso” da agenti comunisti infiltratisi negli Stati Uniti:

“Non abbia paura… E’ semplicemente scienza, non magia nera! Vogliamo che lei abbia quel corpo! Vogliamo che lei sia suo fratello! Ciò significherà la fine dell’uomo che lei è oggi!”

E’ quindi sotto i panni di un redivivo, temerario e potenziato  giornalista Johnny Flagg (miracolosamente “risorto”…) che l’America acquista il suo nuovo eroe pronto a rischiare la sua stessa vita per difendere i valori della democrazia, della libertà e del “sogno americano”, che cominciano le avventure di Fighting American – e del suo sodale Speedboy-  durate sette numeri e in questo volume integralmente raccolte.

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Mentre per Capitan America, creato in tempo di guerra (Seconda Guerra mondiale) i cattivi erano principalmente i nazisti e i Giapponesi, in questi tempi post-bellici il nemico sono invece i “Rossi”, i comunisti, infiltratisi ovunque e decisi a spazzare via con la violenza, l’inganno e l’omicidio la libertà, la felicità e il Sogno Americano.

Come nella più semplice e abusata dicotomia, i cattivi, i comunisti, sono i mostri, sia moralmente che fisicamente: questa caratteristica del nemico mostruoso, deforme, brutto oltre ogni limite verrà mantenuta da Kirby quando qualche anno dopo lavorando con Stan Lee darà vita all’era della Marvel Comics.

Buono/Eroe = bello; malvagio/villain = brutto.
Questa la semplice, leggibilissima dicotomia che presuppone una chiara e semplice operazione di immediato riconoscimento dei Buoni e dei Cattivi.

Uniche, parziali eccezioni saranno La Cosa dei Fantastici Quattro, per il quale la bruttezza costituirà certamente un ostacolo per la vita del roccioso eroe, ma sarà parimenti un elemento di ricchezza psicologica che darà la base per la costruzione di storie memorabili e intense come la mitica “Questo Uomo, Questo Mostro!” (S. Lee, J. Kirby, J. Sinnott, su Fantastic Four n. 51 del 1966; in Italia per la prima volta su I Fantastici Quattro n. 47 del 9 Gennaio 1973) [1] o Hulk, per il quale il confine Bene/Male sarà sempre sfumato, e ambiguo, oppure la Bestia degli X-Men.

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Ma al di là di poche eccezioni, nel suo lavoro per la Marvel così come per la DC, per Jack Kirby il Bene ha sempre coinciso con la rappresentazione del “Bello” e il Maleè sempre stato mostruoso,  ripugnante, deforme, come se le caratteristiche morali avessero superato il confine psicologico per plasmare somaticamente i corpi [2].
Verrebbe da pensare che potrebbe essere anche il contrario, ossia che un corpo deforme non possa far altro che abbracciare il Male per “vendicarsi” della sfortuna toccatagli in sorte (gli esempi sono numerosi: dall’Uomo Talpa a Due Facce al Dottor Destino… anche se in realtà per quest’ultimo la deformità è stata più una scelta, un ulteriore modo, quasi mistico, per distinguersi dal volgo, dalla massa…).

Comunque, senza scomodare Cesare Lombroso, questa particolare “fisiognomica a fumetti” non è un invenzione del Re, bensì il proseguimento di una tradizione forse inaugurata da Dick Tracy, il detective creato da Chester Gould nel 1931 (e da allora pubblicato senza soluzione di continuità negli Stati Uniti): mentre il detective dall’impermeabile giallo è bello e aitante, con tanto di mascella volitiva, i villains sono invece caratterizzati da spiccate deformità che danno loro il nome. Abbiamo così Testapiatta, Facciadiprugna e tutta una serie di criminali malvagi e deformi orribili a vedersi.

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Bisogna dire però che i nomi dei villains presenti in Fighting American sono decisamente più spiritosi: come potrei rinunciare a leggere un’avventura in cui i cattivoni si chiamano Poison Ivan, Hotsky Trotsky, Invisible Irving o Space-Face!?

Certo come nome, e anche come assurdità della storia, nessuno batte Super-Khakalovitch, il supereroe comunista (“Hero of the People”) che possiede il superpotere più devastante: quello della puzza! La sua stirpe non fa un bagno da oltre tremila anni, ed ecco perché Super-Khakalovitch ha acquisito il suo – apparentemente – invincibile superpotere: nessuno, neppure Fighting American e il suo pard Speedboy, possono stargli vicino senza un’adeguata maschera antigas!

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A parte il nonsense più azzardato, una delle storie più emblematiche, vero e proprio statement degli autori (o di chi commissionava loro le storie), è la breve, impagabile Lettera dal paradiso, lunga solo due tavole: in essa un ragazzino che vive al di là della “Cortina di Ferro” scrive una lettera a Speedboy, il giovanissimo sidekick di Fighting American. E’ una lettera apparentemente piena di insulti, nella quale il ragazzino, che ovviamente si chiama Vladimir (e come poteva chiamarsi altrimenti?!?) descrive quanto inutili e frivoli siano i “privilegi” vissuti dai suoi coetanei americani e quanto invece sia solida la realtà collettiva al di là della “Cortina di Ferro”. La particolarità della storia, che la rende un capolavoro di umorismo (nero), è la differenza tra le parole scritte da Vladimir e la descrizione grafica che vignetta dopo vignetta viene spietatamente – e ironicamente - esposta al lettore [3]. E’ certo una storia che oggi risulta faziosissima, “politicamente scorretta”, imperialistica ecc. ecc. Tutto giusto, ma questa storia è soprattutto un piccolo, corrosivo gioiellino umoristico ed è lo specchio di come una parte dei “combattenti” vedesse e vivesse la Guerra Fredda.

“Quindi vai in malora Speedboy… Tu e quel babbeo con i mutandoni che chiamano Fighting American! Vorrei dirti di più, in faccia, ma scommetto che non hai il fegato di venire al 3160 di via Falce e Martello vicino a piazza Miserlou nel villaggio di Paskutzva… (bussa due volte e chiedi di Vladimir)”

… ed è ovvio che Speedboy e il “babbeo in mutandoni” andranno a liberare Vladimir e la sua famiglia dall’oppressione comunista, trasferendoli in America e facendo loro assaporare il sapore della libertà. Un breve e divertentissimo saggio di “psicologia inversa” quasi commovente in quella sua fanatica integrità morale e fumettistica. Assolutamente da leggere.

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Un’altra caratteristica delle storie di Fighting Americanè il loro essere talmente “eccessive” in quel rozzo manicheismo di cui sono permeate, da diventare spesso ultra-reazionarie, spacciando triti luoghi comuni come fossero Verità divine (“I vagabondi non cambiano: a loro piace essere come sono!”Z Food, FA n. 3 dell’agosto 1954); ma è proprio quell’essere ottusamente reazionarie a renderle comicamente irresistibili, divertenti e leggendole sortiscono quasi l’effetto contrario, come a dire: “Ma dài, Jack e Joe non potevano dire sul serio!”.
O forse erano serissimi, ma sta di fatto che ad un certo punto le storie di Fighting American e del suo giovane partner Speedboy cominciano a prendere una piega assurda, tra il fantascientifico e il nonsense… Le battute (anche le battutacce grevi, talvolta) si sprecano  e non c’è quasi tavola che non contenga almeno un paio di gustosissime assurdità, sia a livello di storia che puramente grafiche:

“L’Invisibile Irving… e la sua cella… S-sono scomparsi nel nulla!
”Perché gli avete lasciato leggere quelle riviste di viaggi?”

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Inside jokes, citazioni da altri famosi comics dell’epoca e una fantasia scatenata che miscela azione pura, ideologia e ironia – quando non addirittura caustico sarcasmo – oltre a tutto quanto detto finora, fanno di Fighting American un fumetto imperdibile per chi è già appassionato di “cose kirbyane”.

E chi non è appassionato/a di “cose kirbyane” perché dovrebbe leggere questo volume, pieno di storie datate, contenenti concezioni e ideologie lontane dalla nostra realtà?
Beh… perché sono storie di Joe Simon e Jack Kirby, piene di azione al fulmicotone e di disegni che ti saltano letteralmente addosso, con colori che più pop non si può e un gran mestiere nella sceneggiatura e nella costruzione della storia che dettò legge per lustri, senza un solo “buco di sceneggiatura”; storie che scivolano golosamente l’una dopo l’altra e procurano un divertimento raffinato, per intenditori e intenditrici; come si suol dire: una festa per gli occhi!

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E’ e sarà sempre una gioia perdersi negli stupendi disegni di Jack “The King” Kirby, seppure talvolta un po’ “frettolosi”, ma non di meno sempre epici, dinamici, efficaci, spettacolari, con inquadrature sempre nuove ed ardite.
La cifra stilistica di Kirby e di Simon resta riconoscibile sempre, anche nei lavori cosiddetti “minori” o semplicemente meno conosciuti al di fuori degli Stati Uniti.

Una nota merita la vivacissima e divertente traduzione di Francesco Vanagolli: credo che non sia stato semplice riprodurre nel nostro idioma un vecchio fumetto pieno di slang, frasi idiomatiche passate di moda da decenni, scherzi verbali e filastrocche dimenticate. Francesco è riuscito a far calare chi legge nell’atmosfera dell’epoca e questo è indice di un lavoro accurato svolto, oltre che da un esperto, da un vero appassionato.

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JackThe King”Kirby e Joe Simon restano e saranno sempre dei Miti nella storia del Fumetto mondiale; è dunque molto meritorio il lavoro delle Case editrici come la Bao che indipendentemente da mode o “periodi” propongono opere, forse “di nicchia”, che meritano comunque di essere diffuse e conosciute e di stare nelle librerie degli appassionati accanto alle opere più note e blasonate.

Orlando Furioso

Note:

[1]Una storia che, ancora oggi, mi commuove fino alle lacrime…

[2] Il fenomeno è esplicitato nella maniera più chiara e inequivocabile nella saga kirbyana del Quarto Mondo: i Nuovi Dei, cioè le stesse divinità, sottostanno a questa dicotomia di buono/bello, cattivo/brutto.

[3] Chissà perché, ma dubito che Fighting American avesse un gran numero di lettrici… ma magari sbaglio, eh.

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Da Braccio di Ferro a Provolino

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Da Braccio di Ferro a Provolino
Il fumetto umoristico italiano dimenticato

di Salvatore Giordano

saggio, bross. 170 pag. con illustrazioni b/n
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euro 15

Edizioni Sensoinverso

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Questo libro è molto più importante di quanto l’autore stesso, il bravo e simpatico Salvatore Giordano immagini.
Dico questo perché una delle doti di Giordanoè la sua sincera e non affettata modestia, ma soprattutto perché questo saggio è un’opera unica nel panorama fumettistico italiano e ciò la rende, semplicemente e senza enfasi,  indispensabile.

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Una volta tanto lo strillo in quarta di copertina non esagera affatto:


”Quello che hai tra le mani è il primo saggio a trattare in maniera capillare l’argomento.”


L’argomento di cui tratta il libro di Salvatore Giordanoè infatti uno dei più colpevolmente “dimenticati” nel panorama della saggistica nazionale sui fumetti.
Meno male che, oltre al libro, Giordano ha un bellissimo blog – Retronika– il cui sottotitolo “vecchi fumetti e altre vintagerie” spiega subito le tematiche egregiamente affrontate.
Retronika ha inoltre una pagina facebook che non è il caso di lasciarsi sfuggire.

Anche se Giordano si schernisce quando glielo si dice, lui è uno dei maggiori esperti esistenti di fumetto umoristico italiano e il fatto che l’argomento trattato dal suo libro sia decisamente poco “di moda” , e dunque poco o nulla trattato dall’informazione sul fumetto, rende l’opera importantissima e, nell’economia generale del fumetto italiano in particolare, indispensabile.

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Sembra una frase fatta e invece è verissimo: Da Braccio di Ferro a Provolino non dovrebbe mancare nella libreria di chiunque si occupi o abbia passione per il fumetto, per quello italiano in particolare.

Il saggio di Salvatore Giordano acquista ulteriore importanza e diventa ancor più prezioso proprio perché il fumetto umoristico italiano - d'ora in poi f.u.i. - è un patrimonio, sia detto senza intenzioni retoriche, davvero inestimabile.
E' quantomeno miope (e mi sto sforzando di usare un linguaggio educato...) lasciarlo lentamente scivolare nel dimenticatoio, lasciare che solo la tenacia e la volontà di piccoli gruppi di appassionati ne tengano viva e vivace la memoria. Piccoli gruppi di appassionati che, ahimè, non sono immortali.
Quindi?
Quindi tra trenta o quarant'anni se nessuno se ne occuperà più - tranne sparuti gruppi di francesi, più rispettosi di noi italiani sull’argomento in questione - il f.u.i. sarà cancellato, come non fosse mai esistito? Pessima e triste prospettiva.

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Siamo tutti dannatamente esterofili (mi ci metto io per primo, senza vergognarmene peraltro: credo di avere i miei giustificati motivi per esserlo), ma per una volta non si potrebbe guardare in modo propositivo a quello che, solo per fare due esempi, gli Americani e i Francesi stanno facendo con i loro fumetti umoristici del passato e prendere esempio?

Ristampe su ristampe, talvolta super-prestigiose, talvolta in formato economico [1], per un pubblico che mi rifiuto di credere formato solo da vecchi bacucchi nostalgici.
E attenzione: non è detto che tutto ciò che, in campo umoristico, ristampano Francesi e Americani sia di valore così "assoluto" eh, non c'è bisogno che tutto sia "capolavoro!" perché sia degno di attenzione e di piacere.

E non c'è nemmeno bisogno di pensare in termini di "orgoglio nazionale" o sciocchezze simili (specie per me che sono lontanissimo da questi tipi di ideologie): basta pensare al f.u.i. nel suo significato originale: fonte di divertimento e di piacere. Senza naturalmente escludere piccoli - o grandi - gioielli presenti in quel campo: come in ogni "genere" di fumetto, anche nel f.u.i. ci sono stati capolavori, cose molto buone, cose buone e cose così-così, come lo stesso libro di Giordano evidenzia in modo egregio.

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Certo qualcosa si sta muovendo per il verso giusto, vedi l'encomiabile, eccelso lavoro di Luca “Laca” Montagliani e della sua Annexia[2] e le ristampe di Geppo di RW-Lineachiara, ma al di là di queste lodevolissime e graditissime eccezioni la situazione è tutt'altro che rosea.

Il libro di Giordano arriva dunque a soccorrerci in questa grave lacuna della saggistica “a fumetti” e personalmente spero che sia solo il primo di una serie di testi che verranno messi a disposizione del pubblico.

Da Braccio di Ferro a Provolinoè strutturato come una sorta di dizionario del fumetto umoristico italiano e l’autore si concentra sul materiale edito dallo storico editore Renato Bianconi, “imprenditore del fumetto” la cui Casa editrice eponima (insieme a tutta una sotto-serie di Case editrici “satelliti”) pubblicò dal 1952 fino agli inizi degli Anni 2000 una pletora pressoché infinita di testate – umoristiche e non.

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Da Soldino a Trottolino, dalla super-forzuta Nonna Abelarda a Geppo il diavolo buono, dal gatto Felix a Pinocchio, da Braccio di Ferro a Provolino, appunto.
Decine se non centinaia di personaggi che hanno invaso le edicole per decenni, fornendo amplissimi ventagli di letture umoristiche “per bambini”, ma godutissime e apprezzate anche da ragazzi più grandi e persino dagli adulti [3]. Per quasi ognuno di questi personaggi c’è nel libro di Giordano una scheda approfondita e quasi sempre corredata da illustrazioni in bianco e nero le quali, detto tra noi, fanno venire una voglia pazza di procurarsi qualcuno di quegli albi e stravaccarsi sul divano per goderseli sghignazzando.

Il f.u.i. di Casa Bianconi non era fatto solo di personaggi, naturalmente, ma anche e soprattutto di autori e maestri come Sandro Dossi, Alberico Motta, Pier Luigi Sangalli e i compianti Tiberio Colantuoni, Nicola Del Principe, Umberto Manfrin, Mario Sbattella che fecero la storia del f.u.i.“extra-Disney” e che sono tutti ampiamente presenti e rappresentati nel saggio di Giordano.

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Uno dei numerosi motivi che mi fanno amare questo libro è il suo essere inequivocabilmente schierato, in quanto l’autore rifiuta una ambigua (quanto spesso pelosa) "oggettività" che tra l'altro avrebbe reso l'opera meno interessante e piacevole da leggere e da consultare.
Ciò non significa che il libro di Giordano sia un concentrato di pure opinioni personali: le schede sono significative, molto ben strutturate, ricchissime di informazioni e prevedono sempre dei consigli finali sulle storie migliori o che più hanno colpito l'autore.
Quando dico che il libro, o meglio l'autore, è "schierato", e s'intende che assegno a questo termine una connotazione positiva, voglio dire che Giordano non nasconde le sue simpatie così come le sue idiosincrasie e pare avere le idee abbastanza chiare su quali siano le responsabilità per la scomparsa dalle edicole di quell'enorme patrimonio che era il f.u.i.

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A questo proposito voglio dire che la mia personale stima per l'autore nonché l'immenso piacere e diletto che mi ha dato la lettura di questo saggio, oltre ai numerosissimi stimoli e curiosità che mi ha suscitato, tutto questo dicevo non mi impedisce di essere non completamente d’accordo su alcune delle idee di Giordano, come ad esempio il suo considerare Disney (inteso come azienda, non come persona/ggio) o la fantomatica “invasione dei manga” come "il nemico" principale del f.u.i. di Casa Bianconi

A mio personalissimo parere l’autore divide in modo un po' troppo manicheo la produzione disneyana da tutto il resto del f.u.i., assegnando le tifoserie in modo forse poco elastico e un po’ pregiudiziale.
Per quello che riguarda la mia personale esperienza (che ovviamente so bene non "fare statistica", così come non lo fa la personale esperienza di Giordano) il pubblico dei lettori, lo sterminato pubblico dei lettori di fumetti umoristici che affollava le edicole negli Anni 50, 60, 70 e 80 non era ferocemente schierato in Disney da un lato e "resto del mondo (umoristico)" dall'altro.
Molto più spesso di quanto oggi si potrebbe credere, i fruitori gradivano sia i fumetti Disney che quelli Bianconi, per quanto effettivamente la filosofia e il modo stesso di concepire i fumetti fossero molto diversi tra le due “scuole di pensiero”.

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A proposito di "filosofie" e di “modi di concepire i fumetti”: Salvatore Giordano nel suo libro ci spiega perfettamente le differenze – che appunto c'erano ed erano molto significative - tra la "filosofia" sottesa alla produzione Disney e quella seguita dal f.u.i.Bianconi, e non-Disney in generale. Argomento, quest’ultimo, molto affrontato e dibattuto anche nel suo blog Retronika.

Questo tipo di “rivalità postuma”, diciamo così, è molto sentito non solo da Giordano, ma anche da altri appassionati di f.u.i. non-Disney, in quanto – secondo “l’accusa” - la Casa di Topolino& Co. nel corso dei decenni grazie alla maggiore potenza economica “strappò” al f.u.i. molti autori, e quindi energie rendendo in questo modo improba la competizione e la concorrenza. Inoltre, sempre secondo questo tipo di (benevola, s’intende) “rivalità”, dove Bianconi& Co. proponevano storie a fantasia scatenata, politicamente scorrettissime (si dice oggi a posteriori, naturalmente) zeppe di iper-violenza e con uno spiccato senso dell’assurdo, del nonsense e con molti inserimenti meta-fumettistici, Disney proponeva invece innocue storielle zuccherose e piene di buoni sentimenti, quindi del tutto scollegate dalla realtà.

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“[…]Questa volta Trinchetto si comporta da vero fetente, rapisce Pisellino per 10 miserabili dollari, poi credendo l’infante morto, sbranato da un orso, tenta il suicidio” (Pisellino Rapito, di Motta – Sangalli, pag. 39 di Da Braccio di Ferro a Provolino)

Ecco nelle righe precedenti un chiarissimo esempio della differenza di “filosofia” tra una storia Bianconi e quella che non potrebbe mai essere una storia Disney. [Ed ecco QUI e QUI un paio di esempi di ciò che una storia Disney non potrebbe né vorrebbe mai offrire…]
Divertimento scatenato versus Divertimento composto, verrebbe da dire. Bisogna però anche, per onor di oggettività, ricordare le bastonate, quando non addirittura le cannonate che Zio Paperone un tempo elargiva a man basse, spesso e volentieri, al povero nipote o ad Amelia o ai Bassotti.

Comunque la differenza tra il f.m.i.Bianconi (e delle altre Case editrici che all’epoca pubblicavano fumetti umoristici per “bambini”) non è solo nella “filosofia di fondo” e questo nelle schede del libro di Giordanoè reso bene e in modo ben evidente: era l’atmosfera a rendere unici (e, io credo, irripetibili) quei fumetti; un’atmosfera completamente diversa da quella Disney o delle altre pubblicazioni per bambini/ragazzi dell’epoca come potevano essere il blasonatissimo Corriere dei Piccoli / Corriere dei Ragazzi o l’altrettanto famoso (e ancora in vita) Il Giornalino, di area cattolica.

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E’ proprio quest’atmosfera, difficile da descrivere ma facilissima da percepire - basta leggere una paio di storie Bianconi per entrarci immediatamente dentro – a rendere particolarmente interessante e unico quel tipo di fumetto umoristico italiano: anche quando venivano maneggiati materiali di origine straniera (il Gatto Felix, Tom e Jerry, lo stesso Braccio di Ferro…) veniva loro insufflata una sorta di “implicita italianità” con la quale era davvero difficile non identificarsi, nel bene e nel male.

Anche il parco uso del colore faceva sì che gli autori lavorassero giocoforza più sulle atmosfere che sulla resa visivo/cromatica con risultati spesso eccellenti e inoltre il “senso del cartoonesco” era così pregnante che contribuiva a rendere speciali e così… fumettosi quei fumetti!

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A mio parere sono queste caratteristiche di italianissima peculiarità e originalità, ottimamente spiegate da Giordano nel suo libro, a rendere ancor oggi così godibili e interessanti quelle storie. 

A tal proposito voglio fare questo esempio personale: mentre leggo e mi godo una storia, ad esempio, di Paperino degli Anni 60 vengo immediatamente trasportato in quel particolare mondo, cioè quello Disney ed è naturalmente, per me, una sensazione molto bella e apprezzabile e che ricerco spesso; ma mentre leggo una storia Bianconi dello stesso periodo mi sento catapultato con forza in un mondo che è anche il mio, solo centomila volte più divertente (anche se bisogna dire che non mancano momenti di malinconia, quando non di disperazione, in quelle storie) e gran parte del divertimento consiste anche e proprio nel ritrovarmici, nel riconoscermi, anche quando la cosa non mi fa onore intendo, e nel ritrovarmi quindi quasi dentro a un folle “manuale di sociologia applicata” in cui vengono prese in considerazione tutte le varianti della vita. E’ una sensazione difficile da spiegare, come dicevo, ma facilissima da provare in prima persona. Ed è anche tutto ciò che rende interessanti ancora oggi, non solo da un punto di vista fumettistico, quei meravigliosi, folli fumetti editi da Renato Bianconi.
Oltre al loro essere divertentissimi, ovviamente.

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Tutto quello che ho confusamente descritto fino a qui è splendidamente illustrato, integrato con un grandissimo numero di informazioni e descritto con un linguaggio chiaro che soddisferà sia gli appassionati che i semplici curiosi, da Salvatore Giordano nel suo volume Da Braccio di Ferro a Provolino – il fumetto umoristico italiano dimenticato : un libro splendido e indispensabile di cui c’era davvero bisogno; validissimo sia come testo di consultazione che come piacevolissimo saggio da leggere e gustare, magari esclamando spesso, come dice l’autore ad inizio volume “Madò, ma questo me lo ricordo! Lo leggevo da piccolo!” .
Buona lettura e soprattutto buon divertimento.

 

Orlando Furioso

 

Note:

[1] Quanto sono grato a iniziative come quelle ad esempio della Fantagraphics  per i meravigliosi volumi con le complete dailies  di Nancy and Sluggo [i nostri Arturo e Zoe] di Ernie Bushmiller! Volumi preziosissimi, nonostante il prezzo accessibile, che rileggo costantemente con sommo godimento!

[2] Ne abbiamo parlato QUI, QUI, QUI, QUIe QUI.

[3] L’uso esclusivo del maschile deriva dalla mia personale convinzione che le lettrici, sia bambine che adulte, di questo tipo di fumetti fossero… pochissime, se non quasi inesistenti. E’ soltanto un mio pregiudizio o corrisponde a un dato reale?

 

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La caduta

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La caduta

di Emanuele Racca

 

brossurato cm 21x26
80 pag. colore

euro 12

ProGlo Edizioni

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“C’è un crocevia dove a volte le storie si incontrano.
[…] Nemmeno tanto per caso passano i romanzi di formazione, i racconti gotici classici e quelli più moderni, transitano tranche de vie intimisti e provincia, nostalgia degli anni beati e naturalmente tutti quei frammenti del fantastico sempre in fuga. Un giorno questo crocevia è stato attraversato da un bambino con gli occhiali, fragile e con la testa anche un po’ grande. […]
[Otto Gabos, dall’introduzione a La caduta]



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O anche: “Era il 1962 e l’Italia si trovava in pieno boom economico”.

Così comincia La caduta, una storia a fumetti di Emanuele Racca la quale, ora che l’ho letta capisco perché, ha esaurito prestissimo la prima tiratura “costringendo” l’ottima ProGlo a una pronta ristampa.

Mentre leggevo La caduta ho avuto la piacevole consapevolezza di essere una persona fortunata: pare banale, ma oggi ritrovarsi a leggere volumi a fumetti emozionanti e coinvolgenti, realizzati ottimamente e con cura in ogni loro parte e che lasciano qualcosa dentro durante e dopo la lettura è un privilegio.

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Mi si perdonerà (lo fate già sempre e vi ringrazio di cuore) l’ennesimo cedimento autobiografico. Alcuni giorni fa durante una pausa di lavoro qualche collega mi ha chiesto il motivo di questa mia passione per i fumetti e dopo che io ho balbettato sostanzialmente alcune spiegazioni che giustificassero quanto il fumetto fosse una cosa bellissima, mi è stato chiesto di cosa parlassero i fumetti. Questo perché la percezione dei fumetti da parte di chi non li legge è più o meno “fumetti = Topolino”.

Dopo aver citato, giusto a mo’ di esempio, Maus, Sandman, Persepolis, V for Vendetta e Sei tu mia madre? mi sono ritrovato a raccontare per sommi capi la storia de La caduta. Nulla di preparato, è che l’avevo riletto per la terza volta la sera prima e mi è rimasto parecchio impresso e in modo più che positivo. (E la colleganza, per la cronaca, ha ascoltato interessata.)

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Riccardo/Richi, è un bambino nei primi Anni 60 e crede innocentemente, come tutti i bambini delle società opulente, che nulla possa realmente ferirlo o minacciarlo.
Richi vive con la mamma, una mamma simpatica, comprensiva e di idee decisamente “progressiste” per l’epoca. La mamma, ex maestra di paese, a causa di scarsità di alunni è costretta a trasferirsi “in città”, lavorando in fabbrica. Il rapporto tra lei e Richiè bello, affettuoso e pieno di comprensione e complicità.

Il padre di Richi semplicemente non c’è, dove sia e se sia non si sa e non è possibile avere ulteriori informazioni, tantomeno dalla mamma che su questo argomento è una tomba.

Un giorno un banalissimo incidente suscita in Richi l’improvvisa consapevolezza della sua non-immortalità. Comincia una grossa crisi, che però non necessariamente comporterà momenti solo “negativi”. Anzi: Richi userà il tempo libero concessogli per disegnare, fantasticare, inventare storie. E infine, nella soffitta di casa, incontrerà Qualcuno che si dimostrerà essere centrale per la crisi, e quindi per la crescita, del ragazzo.

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Ecco che i sogni, la fantasia, le domande e i dubbi di Richi diventano elementi fondamentali della storia e della crisi e la storia prende una piega fantastica, meravigliosa e persino gli oggetti della soffitta acquistano vita e significati impensabili fino a poco prima.

Tra incubi, partite a scacchi, fantasticherie e visite in soffitta, continua anche la vita “normale”, quella in cui Richi va a scuola e fa “amicizia” con Tommaso, il bullo della classe.
Tommasoè una figura forse non centrale nel racconto (importante, ma non così centrale) ed è tratteggiata con una maestria e, parrà strano come aggettivo ma per me è il più adatto, una grazia e un anti-retorica che lasciano piacevolmente stupiti.

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…Ma poi gli incubi di Richi diventano più che incubi, diventano un qualcosa di opprimente che rovina quasi ogni notte al bambino, ormai quasi ragazzo. La soluzione, o meglio il metodo per affrontare il problema e una possibile soluzione, forse non è molto realistico se rapportato alla prima metà degli Anni 60 e alla classe sociale di appartenenza di Richi e di sua mamma, ma ciò onestamente non ha molta importanza per l’efficacia della storia.

Storia che avrà una sorta di doppio finale; doppio in più di un senso: realistico e fantastico, dolce e triste, inevitabile e poetico. E soprattutto aperto a diverse interpretazioni.

Questo mi dà l’occasione per provare a dire qualcosa sul modo di raccontare di Emanuele Racca: la storia de La caduta– volume che detto molto chiaramente ho trovato splendido - tiene incollati alla pagina, e questa “doppiezza” cui ho accennato per il finale è un elemento sempre presente e che la arricchisce fornendo a chi legge chiavi di lettura che preludono a emozioni intense e coinvolgenti.

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La storia è sia sognante e fantastica che profondamente ancorata alla realtà: uno dei suoi punti forti è proprio questo continuo passare dal reale al fantastico senza perdere né in plausibilità né, soprattutto, in pura bellezza e poesia.

E’ interessante un effetto così coinvolgente e poetico nonostante Emanuele Racca per le sue tavole usi prevalentemente una “gabbia” regolare e simmetrica formata da vignette per lo più regolari e di forma sempre quadrata o rettangolare.

Questa regolarità non deve assolutamente intendersi come uniformità: le inquadrature e le prospettive sono anzi estremamente varie e spesso cambiano anche molto velocemente, presentando serie di sequenze che rendono la lettura veloce e coinvolgente.

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Personalmente mi piace moltissimo lo stile di disegno di Racca, molto evocativo e che considero tra l’altro una perfetta “via di mezzo” tra certo stile cartoonesco e un realismo di tipo “underground” che avrà sempre il mio amore più devoto.

Ho usato poco fa l’aggettivo “evocativo” perché la storia e i disegni di La caduta sono densi di immagini che rievocano un’epoca che anche chi non ha vissuto non farà fatica alcuna a identificare e interiorizzare. Questa rievocazione nonè fatta di banali e triti stereotipi, ma di oggetti e soprattutto di atmosfere, queste ultime decisamente più difficili da rappresentare efficacemente. Ma EmanueleRacca ci riesce bene, pur raccontando una storia ambientata in un’epoca in cui egli non era nato.

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Anche l’uso e la scelta, originale, efficace e secondo me esteticamente bellissima, del colore dona all’opera un’attrattiva in più: come si può vedere (sempre tenendo conto dell’enorme differenza tra le immagini originali e le scansioni effettuate con uno scanner certo non professionale qual è il mio) l’autore si concentra sul bianco, il nero, varie tonalità di rosso/arancio e di ocra chiaro.

Il volume – sulla prima pagina del quale mi vanto di avere un disegno con dedica fattomi dall’autore – comincia con una bella introduzione del fumettista e illustratore Otto Gabos, intelligentemente e molto significativamente intitolata “Crocevia laterali”.

Tra le proposte a fumetti in volume unico che ho letto negli ultimi tempi La caduta occupa un posto speciale e particolare nella mia personale “playlist”. Volume che consiglio quindi molto caldamente.

Buona lettura!

 

Orlando Furioso

 

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Nota:

Della ProGlo abbiamo parlato, colpevolmente troppo poco lo so: QUI, QUI e QUI.

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Agenzia Investigativa Carlo Lorenzini

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Agenzia Investigativa
Carlo Lorenzini

di Toraldo, Spianelli, Amici, Tagliasacchi, Chiabotti, Lanza, AlessiAnghini, Casagrande


Vol. unico brossurato, 64 pag. colori

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euro 15

 

Manfont
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“I personaggi della letteratura vivono tra noi. Quando si lasciano andare alle proprie esasperate manie, uno di loro ha il compito di sistemare le cose. Ha preso il nome del suo creatore e ha messo su un’agenzia investigativa.”
[dalla quarta di copertina]


Ogni fumetto che entra in casa mia lo fa in modo peculiare.
Nonostante, come ho più volte confessato, soffra di compulsività, ogni fumetto, albo o volume che sia, gode (o soffre) di un trattamento particolare e solo suo.

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Anche i motivi che mi spingono all'acquisto dei fumetti sono molteplici: per il volume di cui vado a parlare, l'unico motivo per l'acquisto, lo ammetto e non me ne vogliano gli altri autori e autrici, è stato la presenza di Laura Spianelli ai disegni della prima parte: lei è una fumettista che seguo da molto che possiede uno stile personale ed espressivo, che amo molto.

Come mi capita di dirle: "Leggerei interi volumoni disegnati da te!" ed è quindi ovvio che non appena ho visto in fumetteria (poggiato vicino alla cassa) Agenzia Investigativa Carlo Lorenzini e, sfogliandolo incuriosito, ho visto che la prima parte di esso era disegnata da Spianelli, l'ho comprato immediatamente.
Nonostante il prezzo non fosse esattamente appetibile: 15 euro per 64 pagine non è proprio il rapporto qualità-prezzo più vantaggioso del mondo.

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Per qualche giorno il volumetto ha campeggiato sopra lo scanner di casa e infine l'ho letto: Agenzia Investigativa Carlo Lorenziniè ben degno di lettura e non solo per i disegni della prima parte.
Per me è stata una sorpresa perché non avevo mai sentito parlare di questo volumetto [1], quindi ancora una volta, grazie al mio spacciatore di fumetti che non imbosca in recessi oscuri le produzioni non-mainstream, dando in questo modo molte più possibilità a certo fumetto di quanto possano fare “recensioni” su blog e affini.

L'autore della storia, delle storie, contenute nel volumetto è Manfredi Toraldo, figura nota a chi frequenta il fumetto italiano. Personalmente le sue opere che conosco sono l’indimenticabile 2700 e il graziosissimo esperimento di Halloween School, che purtroppo non ebbe il successo che meritava. So che oltre a Manfont, etichetta da lui stesso creata, lavora per Bonelli, ma non ne ho mai letto la produzione.

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Per questo delizioso volumetto - Agenzia Investigativa Carlo Lorenzini - Toraldo prende un’idea di per sé non particolarmente originale, ossia che tutti i personaggi letterari abbiano una vita “vera” nel nostro mondo, e la sviluppa in maniera, questa volta sì, originale e soprattutto molto gradevole fino a creare alcune brevi storie che si possono leggere sia in modo autoconclusivo che legandole insieme in una coerente e accattivante continuity interna.

La trama è già scarnamente accennata all’inizio di questo scritto e se avete un minimo di conoscenza della letteratura “per l’infanzia” italiana, avrete già capito benissimo chi è il Controllore delle creazioni, ora creature, letterarie che “infestano” il nostro mondo, Colui che deve rimettere a posto le cose, spesso in maniera non certo indolore.

Al protagonista delle storie, il titolare dell’Agenzia Investigativa, colui che ha scelto il nome del suo creatore, Carlo Lorenzini, il Custode delle Storie, Toraldoè riuscito a dare caratteristiche e una personalità ben definite (oltre che, va da sé, un naso assai prominente…) cosa questa che suscita immediatamente la simpatia di me lettore.

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I dodici episodi di cui è composto il volume si bevono d’un fiato con estremo piacere e l’autore riesce, in sole quattro tavole per episodio, a creare storie coinvolgenti destinate a restare a lungo nel cuore di me lettore.
La maggior parte delle trovate di cui è pieno il volumetto sono deliziose e azzeccate e tutte quante hanno il piacevole compito di solleticare, stimolare e, perché no, coccolare l’anima “nerd” (sia inteso in senso positivo) di ognun* di noi appassionati lettori e lettrici di storie, siano esse solo scritte o anche disegnate.

Ogni personaggio, sia ess* importante o poco più che comparsa, è ben delineato e ha una sua precisa personalità, che Toraldoè capace di farci capire magari con una sola battuta.
Questo nonostante abbia notato una certa, non necessariamente spiacevole, sovrabbondanza di dialoghi.

Naturalmente tutto ciò è stato possibile grazie alla sinergia tra lo sceneggiatore e le disegnatrici e i disegnatori e  gli inchiostratori e le inchiostratrici e le coloriste e i coloristi. A cominciare dalla bella copertina di Elena Casagrande, colorata da Giorgia Lanza.

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Agenzia Investigativa Carlo Lorenziniè diviso in tre parti: la prima intitolata Dei delitti e delle pene vede ai disegni la già citata Laura Spianelli, cui tocca il compito di presentare graficamente i personaggi che faranno parte della serie, a partire dal protagonista, e Davide Amici ai colori (mi spiace, non ho trovato link che lo riguardano). La colorazione è tecnicamente ineccepibile; io, per mio puro gusto personale, non la amo particolarmente  considerandola un po’ troppo “buia”.

I disegni di Spianelli, con le loro linee morbide e sensuali, sono efficaci sia nel tratteggiare i personaggi che gli ambienti, interni o esterni che siano. Le tavole non usano uno schema fisso, ma hanno divisioni regolari che raramente sfociano in splash-page o simili; lo storytellingè dato acquisito e la narrazione grafica scorre fluida. Una delle caratteristiche che trovo interessanti nel segno di Spianelliè il suo delineare personaggi e ambienti sempre situati in un perfetto “metà strada” tra cartoonismo e realismo: la disegnatrice romana (vogherese di adozione) riesce sempre a disegnare persone e cose che somigliano così tanto a persone e cose che possiamo vedere coi nostri occhi nella realtà… Eppure, contemporaneamente, i suoi disegni sono assolutamente fumettistici e questo bilico tra realtà e realtà-immaginata mi provoca un delizioso, incomparabile sfasamento che cerco spesso nelle opere a fumetti che leggo. Plasmare la realtà, forse si tratta “solo” di questo. E Spianelli secondo me ne è capace.

Una piacevole… sincronicità: il secondo episodio del volumetto s’intitola Dirò d’Orlando e ha a che fare con un personaggio a me, come dire, particolarmente vicino! :)

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La seconda parte del volumetto è intitolata Senza un soldo a Granada e a Londra (titolo che fa il verso a un’opera letteraria, di incredibile impatto emotivo, di George Orwell) vede Jacopo Tagliasacchi ai disegni, Virginia Chiabotti e Alessandro Alessi Anghini alle chine (già autore, insieme a Marco “Daeron” Ventura, dell’esilarante Drag Queen vs Principescort, di cui magari prima o poi vi racconto qualcosa) e dalla già citata Giorgia Lanza ai colori.

Se nella prima parte del volumetto facciamo conoscenza coi protagonisti – Carlo Lorenzini e Angie in primis – e dello scopo e dell’ambientazione delle storie, in questa seconda parte ci addentriamo maggiormente in situazioni di misteri, magia e… sesso (con la sensuale e deliziosissima Essere ciechi all’Alhambra). In Stregonerie incontriamo – per parte mia con immensa gioia! – un “classico moderno”, un personaggio che adoro, con tondi occhiali e molto ferrato nella magia, inserito con maestria nella sferragliante e fantastica (e virtualmente infinita) continuity di Carlo Lorenzini.

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In questa seconda parte disegni e colori si differenziano come tecnica e stile, mantenendo però sempre una stretta continuità con le linee essenziali dei personaggi: abbiamo un segno più spigoloso e una colorazione più ariosa. E’ piacevole e interessante vedere le differenze di segno con la prima parte: il bravo Tagliasacchi ha un segno prevalentemente fumettistico, forse più mainstream rispetto a quello di Spianelli, ed entrambi mantengono una splendida capacità di narrare per immagini.
Il Carlo Lorenzini di Tagliasacchi mi ha in qualche modo ricordato un po’ il mai troppo rimpianto John Doe, e ciò va inteso non certo come una critica, anzi!

Tutte queste caratteristiche le ritroviamo pari nella terza parte, intitolata Una storia semplice, visto che autrici e autori sono gli stessi.

Mi sono piaciute moltissimo tutti gli episodi, oltre che naturalmente l’idea generale, ma se proprio devo assegnare una preferenza, dirò che Gli omicidi dei Murazzi, coi suoi immediati seguiti I signori dell’Entropia e Il re del mondo, sono forse quelli che si dimostrano più ricchi di fantasia, citazioni e mitologia fantastica. Anche perché qui, in qualche modo, siamo nel territorio dello Scrittore di Providence e quindi la cosa si fa… intensa; oltretutto l’ambientazione riguarda proprio la città in cui vivo e di conseguenza il mio coinvolgimento emotivo è maggiore.

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Apre il volume una introduzione di Luca Baino: leggendola l’avevo giudicata un po’ troppo, come dire… pretenziosa; mentre alla fine della lettura del volume devo concordare che, intenti pubblicitari a parte (sacrosanti) sono perfettamente d’accordo con quanto afferma Baino (“parentela” con La Lega degli Straordinari Gentlemen compresa).
Chiude il volume una postfazione dello sceneggiatore Manfredi Toraldo che ci racconta genesi e scelta di autrici e autori di Agenzia Investigativa Carlo Lorenzini e ci fa ben sperare per un seguito alla storia.

Personalmente un seguito non solo lo voglio, ma lo aspetto proprio, perché questo primo volume mi ha deliziato, coinvolto e divertito moltissimo avendo come argomento principale una delle cose che amo di più al mondo: le storie e i suoi eterni personaggi.
Volume consigliatissimo, senza se e senza ma!

Buoni sogni!

Orlando Furioso

 

Note:

[1] Questo sino all’altro ieri, quando ho scoperto QUESTO bell’articolo. In seguito ho scoperto molte altre recensioni linkate direttamente sul sito di Manfont.

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Marvel monkey

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…la scimmia della Marvel mi è salita di nuovo sulla spalla…

Si parte per le vacanze. Non è che conto le ore che mancano: conto i minuti! Mai stato così stanco in vita mia.
Quindi anche il mio prescindibile blog va in vacanza.
Quindi questo è l’ultimo post.
E così mi lascio un po’ andare, senza troppi “filtri”.
Perché in realtà, anche se il sospetto già c’era, questo blog esiste mica per parlare di fumetti, macché! Lo uso per parlare di me!

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Io sono fatto così: non mi accorgo dei “segni”.
Come alla fine degli Anni 80: tutto normale, trallallà, ascolto, tipo, i Faith no More, i No Means No, gli Husker Du, i Victims Family e un po’ del solito heavy metal, vado ai concerti punk, tutto come sempre.
Non mi accorgo che da qualche mese non mi perdo una sola puntata del programma radiofonico sulla Black Music, che canticchio continuamente le Supremes e mi pare la cosa più naturale del mondo dire “ok!” quando una band R’n’B torinese mi chiede di fare una “supplenza” ché il loro bassista è fuori sede.
E così un bel giorno mi ritrovo da Rockville a spendere in poche ore l’equivalente di tre stipendi in vinili di Soul, Funky e Rhythm’n’Blues… “improvvisamente” c’ero dentro fino al collo e non me ne ero manco accorto!

Dunque: qualche settimana fa, a pranzo col mio migliore amico, parlando di fumetti (ma va?…) a un certo punto mi è uscita questa frase: "Perché poi, lo sai, alla fin fine, se "nasci" coi supereroi, ti restano per sempre nel cuore!".
Sono stato profeta di me stesso?...
Sì.

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Negli ultimissimi giorni ho letto e sto leggendo – legalmente – un bel po’ di albi Marvel, cosa che non facevo da qualche annetto, e ci sono dentro fino al collo: è tornata la scimmia, mi sogno i supereroi pure di notte!

Questo significa “girar le spalle” ad altro? Macché! Ho forse smesso di ascoltare heavy metal o punk quando mi sono innamorato della black music? No! Ho forse smesso di ascoltare i Genesis (con Peter Gabriel: solo quelli sono i Genesis!) quando ho scoperto il black metal? No! Ho mai smesso di adorare il Glam dei Seventies? Mai! Nella musica, come nei fumetti, sono un entusiasta, è una delle poche doti che mi riconosco, e non“mollo” quel che c’era “prima” solo perché scopro (ri-ri-scopro, in questo caso) una cosa nuova!

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I miei discorsi, seri e pacati, sul "Eh no, non sono il target adatto per la Marvel di oggi, queste nuove storie non le sento “mie”, questi personaggi sono troppo diversi dai "miei"; eh, evidentemente sono troppo vecchio per questo genere di cose…” sono andati bellamente a farsi benedire.
E’ bastata la lettura di una decina di albi per farmi salire sulla spalla la scimmia della Marvel. Mamma Marvel. Come ai vecchi tempi, tenuto conto la differenza di età (sul serio?…).
Un grande entusiasmo mi ha preso durante la lettura, non ho dovuto fare grossi sforzi (e nemmeno piccoli: non ho proprio dovuto fare sforzi!) per sentire di nuovo quel certo brividino sulla schiena e per ricominciare a sognare di volare o di avere la superforza.

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Cos’è successo? Insoddisfazione per ciò che stavo/sto leggendo? Assolutamente no. Mai avuto tanta bella roba a disposizione da leggere, mai amato così tanto i manga che mensilmente aspetto con ansia; mai avuto a disposizione così tante ristampe succulente e amatissime (in ordina sparso: la Doom Patrol di Grant Morrison, i vari Omnibus Marvel, Shade The Changin Man di Peter Milligan, la Justice League International di Giffen-DeMatteis-Maguire, i volumoni di Kriminal di Magnus & Bunker ogni mese in edicola e altro); seguo con piacere Wonder Woman e Flash della DC Comics, e bisogna che prima o poi si parli anche un po’ della DC eh!… e poi ancora volumi unici o miniserie di Bao, Hikari, 001 ecc. ecc.
Insomma: non sono mai stato così felice di essere appassionato di fumetti e così sommerso di materiale di buona quando non ottima qualità.
Mancavano giusto i supereroi della Marvel, mio antico ed evidentemente mai sopito amore…

"Perché poi, lo sai, alla fin fine, se "nasci" coi supereroi, ti restano per sempre nel cuore!"

Appunto.

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C’è il problemino della Continuity? Sì, sarebbe sciocco negarlo, non so granché di ciò che è successo nel Marvel Universe negli ultimi 7 – 8 anni, ma questo beato mare d’ignoranza non mi sta pesando più di tanto, perché uno scrittore decente dev’essere capace di farmi capire a grandi linee cosa è successo prima che io ricominciassi a leggere quelle storie, facendomi dei riassunti durante la storia stessa, ma senza farmi pesare che mi sta facendo dei riassunti… chiaro? No?
Facciamo un esempio. Vi ricordate le vecchie – meravigliose! – storie di supereroi, quando per far capire ai nuovi lettori/lettrici cos’era successo fino a quel momento, i personaggi facevano dialoghi del genere:

“Tu! Star-Lobster! Supercriminale col potere di trasformarti in un aragosta spaziale velenosa! Hai forse dimenticato che il tuo piano di distruggere la mia base segreta non potrà mai avverarsi perché col mio potere ipnotico, io – Stupendoman - ho imposto al tuo assistente, il malvagio Bronderus, di dirmi per filo e per segno i tuoi punti deboli e mi sono anche fatto dare la combinazione segreta per disinnescare la megabomba con la quale intendevi minacciare Stramboid-City!”

Ve li ricordate?
Ecco, dimenticateveli.
Pare che i moderni scrittori di fumetti abbiano acquisito quel po’ di tecnica necessaria ad evitare mattonate del genere (che comunque, intendiamoci, negli anni della Golden Age andavano comunque benissimo eh!) e siano ora in grado di far entrare piuttosto agevolmente il nuovo lettore/lettrice anche in media res senza doversi per forza procurare quei 15-20 anni di Continuity mancanti. E poi, per casi particolari e/o disperati, ci sono sempre i riassunti in Rete.

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Cosa sto leggendo?
Indestructible Hulk, Thor God of Thunder, Iron Man, Avengers, Incredibili Avengers, Guardians of the Galaxy, la miniserie Infinity e vari ed eventuali.
Sì: mi sta piacendo tutto.
No, non mi sto facendo condizionare dalle critiche che vedo in Rete né dalle lotte intestine tra “true believers” e neo-fans: oramai sono grande per queste cose. Aspetto con ansia e curiosità che Mjolnir venga impugnato dalla nuova Thor e vediamo questo Cap nero (volante?) come se la caverà. Nel frattempo negli Young Avengers c’è una coppia di adolescenti gay che mi interessa molto e un Loki bambino che fa tenerezza, ma mi sa che in fondo in fondo è bastardo come sempre se non di più…

Ora parto per le vacanze (ciao ciao!) ma quando torno ne riparliamo, eccome se ne riparliamo! Anzi: non vedo l’ora.

Orlando Furioso

 

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“It’s clobberin’ time!!!”

Rocky & Hudson

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Rocky_e_Hudson_coverRocky & Hudson
I Cowboy Gay

di Adao Iturrusgarai

vol. cartonato cm 21x15
104 pag. a colori


euro 14,95

Diàbolo Edizioni

Vedi quella scritta, sulla copertina in basso a sinistra, che recita“prologo di Liniers?
E’ bastata a farmi acquistare di corsa questo volume.
Sono ovviamente sempre interessato a fumetti a tematica lgbt, ma se il prologo è di Liniers, divento interessato a qualsiasi cosa, e se conosci già Liniers sai che non puoi aspettarti un prologo usuale (men che meno banale!).

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Ma basta parlare di Liniers [1] e veniamo a questo Rocky & Hudson I Cowboy Gay, dell’autore brasiliano Adao Iturrusgarai che, mi dicono le info in Rete, è uno dei più importanti cartoonist brasiliani (anche se vive in Argentina con moglie e figli/e) e, per quanto possa interessare, non è gay.

In realtà il suo non-essere gay diventa immediatamente interessante se si pensa che le strisce che compongono il volume risalgono ai primi Anni 90, quando scrivere di tematiche lgbt per un pubblico generalista, quindi al di fuori dello specifico target, era decisamente meno usuale di quanto possa eventualmente essere oggi. (Vaticanolandia esclusa, naturalmente, dove nei fumetti “di massa” non ci si pensa nemmeno ad inserire personaggi lgbt, a meno che non si tratti di “macchiette” così stereotipate da far venire la nausea).

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Ancor più interessante per un autore non-gay che fa fumetti su due cowboy gay all’inizio degli Anni 90 è che Iturrusgarai nel suo essere squisitamente “politicamente scorretto” mette alla berlina, più ancora che alcuni stereotipi del “mondo gay” [2], proprio l’omofobia in generale, ribaltando e rimandando al mittente – cioè agli/alle omofobi/e - quegli stessi stereotipi.
Illuminanti a tal proposito sono le ultime strisce del volume, in particolare l’ultima vignetta (che certamente non “spoilererò” qui).

Stereotipi che, beninteso, fanno molto ridere perché inseriti dall’autore brasiliano in un contesto umoristico paradossale che rende le strisce del volume divertentissime e molto efficaci.

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La risata arriva subito, grassa e crassa, a patto che si esca velocemente da qualsiasi ottica “politicamente corretta”: le strisce di Iturrusgarai sono deliziosamente eccessive, volgari (no bimbi/e, please), come già detto, paradossali: nel villaggio del Far West in cui sono ambientate le avventure dei due cowboy Rocky e Hudson– nomi che alludono all’attore gay Rock Hudson – quasi tutti e tutte le abitanti sono omosessuali e se non lo sono è perché non lo sanno ancora…

Una specie di villaggio-da-sogno meravigliosamente comico in cui le attività principali sono il bacio-gay, la proibizione del bacio-gay (proibizione che, come puoi immaginare, avrà uno scarso, scarsissimo successo), battaglie a sfondo sado-maso con gli Indiani locali, interventi per il cambio di sesso (anche questi ultimi avranno scarso successo), improvvisi e inquietanti – e comicissimi, naturalmente – cambi di orientamento sessuale, feste e parate gay.

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Scandalizzarsi è un attimo – specie per lettrici e lettori gay - se non si è abituate/i a ridere (anche) di se stesse/i e se, in generale, si fa fatica ad accettare il “politicamente scorretto” e se il vedere nero su bianco l’esasperazione dei propri stereotipi porta alla chiusura o a qualche altro tipo di timore.

Insomma, voglio dire: sappiamo bene, per esempio, che l’essere un maschio gay ed essere “portato” per l’uncinetto è uno stereotipo tritissimo e che non ha alcun valore concreto (sempre tenendo conto che ad occuparsi di uncinetto può essere chi vuole, indipendentemente da sesso e orientamento affettivo-sessuale, e non c’è niente di male); così come sappiamo che lo stereotipo della lesbica aggressiva e mascolina ha fatto il suo tempo (tenendo conto che ogni persona ha diritto ad essere “mascolina” o “femminile” o “così-così” come e quando gli/le pare, e anche qui non c’è niente di male); ma se un autore di fumetti usa certi stereotipi per ridere con noi, insieme a noi, non solo non c’è nulla di male, ma anzi la cosa non può che farci bene.

Inoltre, come detto poco sopra, la vera mazzata finale, la critica vera, l’autore la riserva agli omofobi, non certo ai/alle gay.

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Le strisce hanno una comicità fulminante ed immediata, a gag, e seppure alcune di esse sono legate sino a formare una piccola storia-nella-storia, restano comunque sempre leggibili a sé, con la caratteristica struttura a tre vignette, delle quali la prima introduce la gag, la seconda fa scattare la contraddizione e la terza suscita la risata. Occasionalmente Iturrusgarai usa strisce singole.

Il suo tratto, semplice ed estremamente cartoonesco, mi ha ricordato un po’ il primo Ralf Koenig, strepitoso e prolificissimo autore gay tedesco e famosissimo in tutto il mondo (un po’ meno qui a Vaticanolandia…), anche se le espressioni dei personaggi di Koenig sono impagabili e probabilmente inimitabili oltre che più “realistiche”, dove invece Iturrusgarai predilige schematicità e la semplicità del cartoon.

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Personalmente sono sempre molto attirato dai tratti semplici ed essenziali e uno dei motivi che mi hanno fatto acquistare volentieri Rocky & Hudson I Cowboy Gayè stato proprio questo segno così immediato, anzi di immediata comprensibilità, semplice nella sua efficacia e quei colori piatti e privi di sfumature, così allegri e deliziosamente fumettosi.

Volume consigliato a qualsiasi persona adulta che apprezzi le strisce umoristiche e le tematiche lgbt affrontate con una certa leggerezza e un delizioso gusto per l’eccesso e qualche apprezzabilissima “volgarità gratuita”. No moralisti/e, no bigotti/e, grazie.
Buon divertimento!

Orlando Furioso

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Note:

[1]…però fatti un favore: procurati i 5 volumi di Macanudo editi in Italia da Double Shot, specie ora che ti fa anche un bello sconto!

[2] Non mi piacciano termini come “mondo gay”, “ambiente gay” et similia… ma siccome la mia conoscenza della lingua italiana è carente e non sono portato per l’invenzione di neologismi uso questi termini orridi giusto per “capire di cosa stiamo parlando”…

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Vincent

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Vincent

di Barbara Stok

vol. brossurato, colori,
144 pag.

euro 15


Bao Publishing

 

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“Se quello che fai ti fa vedere l’eternità, allora la tua esistenza ha avuto un senso.” - Vincent, di Barbara Stok

13

Il fumetto viene spesso associato al cinema, al punto che qualcuno prendendo spunto dal termine “settima arte” per definire il cinema, ha coniato l’altrettanto orrendo“nona arte” (che in quanto a orrore e senso di colpa mal digerito fa il paio con “graphic novel”, e non m’interessa se quest’ultima definizione l’ha inventata uno dei più grandi geni del FUMETTO).
Il fumetto ha anche tratto, dal cinema, una certa fraseologia tecnica, come ad esempio quella che riguarda i piani di inquadratura e anche il concetto stesso di inquadratura. [1]

Il fumetto viene accostato/associato anche ad altre forme di comunicazione e/o intrattenimento, come ad esempio i videogiochi.
Non poche, infine, sono le commistioni tra fumetto e musica: biografie di musicisti/e, storie di band, interazioni tra fumettisti/e e musicisti/e ecc.

Fumetto e letteratura, poi, hanno interagito numerosissime volte e continuano a farlo, gli esempi sono talmente numerosi da essere difficilmente quantificabili.

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Ma l’accostamento tra fumetto e arte non è poi così frequente, seppure non mancano artisti famosi tra i protagonisti di storie a fumetti oppure ambientazioni nel mondo dell’arte (ad esempio: la miniserie Jan Dix della Bonelli Editore, conclusasi nel 2010; o ancora alcune pregevoli realizzazioni a fumetti della giovane casa editrice Kleiner Flug, italianissima a dispetto del nome).

Il bellissimo volume di cui voglio parlare – Vincent, di Barbara Stok - non soffre di alcun senso di colpa nei confronti dell’arte “seria”. Per lo meno questa è l’impressione che mi ha dato e tutto il volume, dalla scelta del soggetto e del periodo allo stile e al linguaggio usato, conferma questa opinione. E’ uno splendido fumetto, non ha bisogno d’altro né di altra definizione.

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Non ci sono scorciatoie per sconfiggere la (propria) ignoranza; google non sostituisce la lettura di libri e articoli, la visione di film, l’approccio con la realtà e la conseguente riflessione. Per sapere bisogna faticare, leggere, studiare, pensare.
Come mi fece notare in modo molto maleducato qualche tempo fa un tale sotto pseudonimo, l’ignoranza è una scelta; s’intenda per chi vive qui e oggi ossia con le molteplici possibilità di istruzione e auto-istruzione. Quel tale fu maleducato, supponente, offensivo e antipatico, però aveva ragione.

Ecco, tutta questa pappardella per dire, in modo contraddittorio [3] che questo magnifico e commovente volume mi ha “insegnato” molto su Van Gogh; è stata una – a questo punto necessaria – integrazione su quanto sapevo e pensavo di lui, pittore che ho sempre amato.

Il fumetto di Barbara Stok non sostituisce, ovviamente, la personale e diretta visione dei quadri di Van Gogh, eppure riesce a penetrarne l’anima in modo profondo e sincero e, ciò che è più importante, riesce a comunicare tutto questo a chi legge.

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Vincent racconta la vita di Van Gogh in quel breve e intensissimo periodo che va dal suo trasferimento ad Arles nel 1888 fino alla sua morte, avvenuta in modo tragico nel 1890, alla sola età di 37 anni. A questo proposito: non ci sono date nel fumetto, tranne che nell’ultima, triste vignetta; quest’assenza di date in un racconto non ambientato nella contemporaneità, fa sì che la storia dia una sensazione di fluttuazione in un tempo/non-tempo…

La base da cui parte il racconto – e che lo percorrerà tutto - è il rapporto che lega i due fratelli Van Gogh: Theoè l’affettuoso mecenate e primo ammiratore e sostenitore dell’opera del fratello pittore, Vincent, il quale è dotato di una straordinaria, quasi sovrumana sensibilità artistica, decisamente avanti sul proprio tempo.
Theo, anch’egli uomo sensibile e, come già detto, affettuoso, è la realtà concreta, i piedi per terra, risolutore dei problemi materiali del fratello, è ottimista seppur preoccupato perché cosciente della fragilità del fratello artista.

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Gli ultimi due anni di vita del pittore olandese sono quelli nei quali produsse i suoi più splendidi capolavori e sono anche quelli nei quali la sua sofferenza personale e la frustrazione raggiunsero apici umanamente insopportabili. Sono dunque, parlandone da un punto di vista freddamente razionale, gli anni più interessanti da essere raccontati e per noi posteri, che non possiamo percepire il dolore dell’uomo Van Gogh, il centro di tutto restano i meravigliosi quadri dell’artista Vincent Van Gogh.

Ma, e qui sta l’efficacia dell’opera di Barbara Stok, Vincent riesce a coniugare vita, profondità dell’essere e arte, in modo tanto semplice quanto profondo e ci mostra l’uomo insieme all’artista.

E’ interessante la visione che dei suoi quadri ne dà col linguaggio del fumetto l’autrice olandese: coglie l’essenza dell’arte di Van Gogh e la traspone in un modo e in uno stile personalissimi, in una storia a fumetti perfettamente conclusa e funzionante in sé.

La raffigurazione in vignette dei quadri o di porzioni di essi, si inserisce nella storia/biografia dell’artista, ma allo steso tempo fa “storia a se’” in quanto in quelle vignette è tangibile la sensazione del tempo che si ferma e si “fissa” in un istante eterno e al di fuori della storia (a fumetti) e della Storia.

10

Il tipo di linguaggio e di stilemi usati dall’autrice può ovviamente piacere o meno [a me è piaciuto moltissimo, se non si fosse capito], ma è obiettivamente moltointeressante l’approccio personale usato, la scelta del tipo di linea, di segno e di colore e soprattutto l’intersecarsi, senza alcun tipo di discrasia, della vita di Van Gogh con la raffigurazione dei suoi quadri i quali appaiono, come già detto, “fuori dal tempo”.

Molto umane, invece, sono le emozioni per lo più drammatiche vissute da Vincent Van Gogh nei suoi ultimi due anni di vita e descritte così magistralmente da Barbara Stok: l’insorgere delle “crisi” (di tipo epilettico?) che lo portarono a lunghi momenti di confusione mentale e autolesionismo con conseguente ricovero in casa di cura, furono la tragica apoteosi di una breve vita fatta di incredibili lampi di genialità artistica coronati da una sterminata produzione di quadri e disegni e di perenne, infinita frustrazione e solitudine.
Il suo ossessivo rapporto con Paul Gauguin, il suo sogno di dar vita a un’associazione di artisti se non a una vera e propria “casa di artisti”, il suo desiderio di un’arte pura e sincera, il suo profondo anelito d’infinito… tutto ciò si sgretolò nella tragedia della sua “malattia mentale” (che nessuno riuscì mai a diagnosticare in modo univoco). Van Gogh non potè mai sapere di quanta fama e gloria postume godette.

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Non bisogna pensare però che l’intero volume sia zeppo solo di tragedia, proprio come nessuna vita è mai interamente e completamente tragica (o almeno così ci piace sperare…) e proprio come Van Gogh stesso dice al fratello Theo:

“Vedo il futuro pieno di problemi, ma non sono triste. Ho fortuna e sfortuna, non solo sfortuna. Sarà quel che sarà.”

Nei suoi ultimi due anni di vita Van Gogh ha vissuto anche (brevi) momenti di serenità e di ineffabile felicità, che d’altronde sono due stati della mente che non possiamo sperare siano perenni: si tratta, come per tutti/e, solo di momenti fugaci e di obiettivi che ci permettono di andare avanti, ma che non si raggiungono mai, se non appunto per brevi istanti.

Certe parti di Vincent mi hanno commosso fino alle lacrime, altre mi hanno fatto sorridere, ho riletto il volume tre volte di seguito e soprattutto mi sento più ricco di quanto non fossi prima di leggerlo.
Dire che lo consiglio spassionatamente è un blando eufemismo.

“Le stelle mi fanno venire in mente i puntini neri che indicano le città e i paesi su una carta geografica. […] Come prendiamo il treno per andare a Tarascon o Rouen, così prendiamo la morte per andare su una stella.”

 

Orlando Furioso

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Note:

[1] Il cinema ha ricambiato la cortesia definendo “fumettoni” i film brutti. Ah-ha!

[2]…al punto, appunto, che ci si è sentiti in dovere di inventare neologismi quali “graphic novel” o il più casareccio“romanzo disegnato”, quando non l’altisonante “letteratura disegnata” (ellamadònna!) o infine uno degli slogan più presuntuosi che abbia mai sentito – soprattutto per l’erbafascismo e la presuntuosa prosopopea che comporta – ossia il terrificante“porta rispetto è arte il fumetto”. Brrrr!!!!

[3]…le cose più interessanti non sono forse anche le più contraddittorie?…

Tu sei la donna della mia vita, lei la donna dei miei sogni

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Brito_Fazenda_cover
Tu sei la donna della mia vita,
lei la donna dei miei sogni

di Pedro Brito
e Joao Fazenda


vol. brossurato con bandelle;

104 pag., b/n e rosso

15 euro

 

MalEdizioni

 

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“Fumetto?
Non la sopporto quella roba! Penso sia un amalgama di due arti distinte e alla fine non ne viene fuori niente di definito.
Non è letteratura, con quel linguaggio infantile che non ti riesce mai a catturare.
E graficamente è molto inferiore alla pittura o a qualunque altra espressione grafica.
E’ così… banale. Non è né carne né pesce.”

Queste qui sopra sono le sprezzanti parole di Simao, un “artista” alla moda, vezzeggiato e coccolato dalle riviste d’arte di tendenza. E’ proprio al vernissage di una sua mostra che costui esprime le sue opinioni sul nostro medium preferito.

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Non vi fate confondere: Simao non esiste, non sto parlando della realtà, ma della storia contenuta nel volume dal lunghissimo titolo - Tu sei la donna della mia vita, lei la donna dei miei sogni– di cui sono autori i portoghesi Pedro Brito e Joao Fazenda.
Può anche darsi che per alcuni (molti?) fumetti sia valida l’affermazione così tranchant e definitiva del Simao di cui sopra. Ma per il volume di cui vado a parlare no, la “definizione” di cui sopra fortunatamente non si può applicare.

Anche se questa storia non ha nessuna velleità “metafumettistica” (e un“grazie al cielo!” posso dirlo?) il fumetto comunque c’entra, è uno dei personaggi invisibili e probabilmente è anche un pretesto da parte degli autori di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Ma con delicatezza e dignità.

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Dirò sempre al plurale “gli autori” perché dalle informazioni presenti sul volume e sul catalogo della Casa editrice, non sono riuscito a capire bene se Pedro Brito sia lo scrittore e Joao Fazenda il disegnatore o viceversa o se c’è stata tra i due, entrambi disegnatori e illustratori, un interscambio di ruoli.

Protagonista della storia è Tomàs, uno scrittore che collabora con riviste le quali, evidentemente, non gli consentono di “pagare le bollette”; quindi, con un certo entusiasmo – e senza nessuna puzza sotto il naso, anzi! – accetta di scrivere un fumetto il cui disegnatore sarà il suo amico Marvel, un tipo miope e simpatico, probabilmente un ottimo disegnatore.

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Oltre al fatto che l’ispirazione tarda ad arrivare, la vita privata di Tomàs non è esattamente in un periodo felice: la sua stronzissima fidanzata Elsa (scusate, ma quando ci vuole, ci vuole!), “artista” in cerca non tanto d’ispirazione, quanto di idee con cui colpire la Gente Giusta, quella dei vernissage e delle riviste alla moda, e il Simao di cui sopra (l’odiatore dei fumetti).
Già così Elsa non godrebbe di certo della mia simpatia, aggiungiamo il fatto che si comporta in maniera scostante (eufemisticamente parlando) e che non perde occasione per ferire Tomàs, e avremo un quadro della situazione più completo.

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La storia del fumetto, e la storia nel fumetto, proseguono su binari paralleli e finalmente, dopo diversi guai e radicali cambi di vita da parte dei personaggi, si arriverà non tanto a una conclusione, ma a un momento, a una situazione che prelude senz’altro a una lieta conclusione che si formerà nell’immaginazione di me lettore.

…che detto così vuol dire poco, me ne rendo conto, ma voi vi renderete conto che la mia totale incapacità nei riassunti, e il terrore di spoiler che rovinerebbero la lettura, mi impediscono di far di meglio. Ma, vi prego, andate a scoprire qualcosa di più QUI, in modo che sia molto più chiaro di cosa stiamo parlando.

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Spero comunque che dalle mie parole si capisca che è un fumetto che ho apprezzato moltissimo, sia per la storia, che seppure in mezzo a comportamenti stronzi e scorretti (e in certo modo disumani) sottende una dolcezza e una tenerezza che non è comunissimo trovare oggi nei fumetti, sia per i disegni che in un evocativo e simbolico bianco-nero-e-rosso riescono a rendere l’estrema dinamicità dei sentimenti presenti nella storia, che non hanno fatto alcuna fatica ad attanagliarsi al cuore di me lettore.

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Chiunque abbia disegnato – Brito, Fazenda o entrambi – ha scelto uno stile nervoso, talvolta espressionista, in certi punti con degli accenni quasi-astratti, ma incredibilmente efficace e, per quanto mi riguarda, piacevolissimo all’occhio.
Le tavole sono divise in modo irregolare e in base alle esigenze della storia e soprattutto dei sentimenti che gli autori vogliono evocare, in un mescolamento continuo tra la vita e i desideri, tra la realtà dell’ambiente e quella del proprio cuore.

 
Non vi aspettate un qualcosa di melenso: la “melensità” è lontanissima da questa storia e quando uso termini come sentimento e tenerezza (e ci aggiungo amicizia) li intendo nel modo più vero e reale possibile, mescolati cioè al dolore, alla noia, al tradimento, all’esaltazione, alla – già detto – stronzaggine e alle reazioni, non necessariamente “corrette”, ma spesso giustissime!
Anche il sessoè molto presente nella storia, il sesso in svariate sfumature non solo sentimentali e fisiche, ma anche con scopi e dinamiche variegate, dalla rabbia alla passione, dalla disperazione all’amore.

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Anche se è una storia intensa, contiene in essa una certa lievità che la fa scorrere su binari difficili da inquadrare, ma certamente lontanissimi dalla seriosità o dal crudo “realismo”. Una lievità che invece che togliere dona invece alla storia un qualcosa in più in leggibilità e immedesimazione.

Mi piacerebbe essere in grado di dirvi qualcosa d’altro sui disegni, che così tanto mi hanno affascinato, ma sapete che in materia ho le cognizioni tecniche di un macaco addormentato, e allora pazienza: guardatevi le immagini che del tutto arbitrariamente ho scelto a corredo di queste righe, sapendo però che non ho potuto inserire le intensissime splash-page o altre immagini che, a mio giudizio, avrebbero rivelato troppo della trama.
Ma una cosa ancora voglio dirla: tanto ho apprezzato i personaggi, l’espressionismo, l’astrattismo, la scelta del bianco e nero “macchiato” di rosso, la caratterizzazione e l’espressività dei sentimenti, quanto ho adorato le raffigurazioni degli oggetti e degli esterni, per me un grande ed ulteriore punto di forza e di bellezza del volume!

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Della MalEdizioni, di questa piccola, indipendente e agguerrita Casa editrice, ho già parlato volentieri QUI e QUI per un totale di tre volumi e se la tendenza è quella di continuare a pubblicare storie non troppo convenzionali di autori (e le autrici?…) portoghesi sconosciuti o quasi in Italia e di autori italiani indipendenti e interessanti come Biro e Bonetti, credo proprio che ne parlerò molte altre volte con vero piacere.

Buone letture.

 

Orlando Furioso

 

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Vincent

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Vincent

di Barbara Stok

vol. brossurato, colori,
144 pag.

euro 15


Bao Publishing

 

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“Se quello che fai ti fa vedere l’eternità, allora la tua esistenza ha avuto un senso.” - Vincent, di Barbara Stok

13

Il fumetto viene spesso associato al cinema, al punto che qualcuno prendendo spunto dal termine “settima arte” per definire il cinema, ha coniato l’altrettanto orrendo“nona arte” (che in quanto a orrore e senso di colpa mal digerito fa il paio con “graphic novel”, e non m’interessa se quest’ultima definizione l’ha inventata uno dei più grandi geni del FUMETTO).
Il fumetto ha anche tratto, dal cinema, una certa fraseologia tecnica, come ad esempio quella che riguarda i piani di inquadratura e anche il concetto stesso di inquadratura. [1]

Il fumetto viene accostato/associato anche ad altre forme di comunicazione e/o intrattenimento, come ad esempio i videogiochi.
Non poche, infine, sono le commistioni tra fumetto e musica: biografie di musicisti/e, storie di band, interazioni tra fumettisti/e e musicisti/e ecc.

Fumetto e letteratura, poi, hanno interagito numerosissime volte e continuano a farlo, gli esempi sono talmente numerosi da essere difficilmente quantificabili.

Vincent_striscia2

Ma l’accostamento tra fumetto e arte non è poi così frequente, seppure non mancano artisti famosi tra i protagonisti di storie a fumetti oppure ambientazioni nel mondo dell’arte (ad esempio: la miniserie Jan Dix della Bonelli Editore, conclusasi nel 2010; o ancora alcune pregevoli realizzazioni a fumetti della giovane casa editrice Kleiner Flug, italianissima a dispetto del nome).

Il bellissimo volume di cui voglio parlare – Vincent, di Barbara Stok - non soffre di alcun senso di colpa nei confronti dell’arte “seria”. Per lo meno questa è l’impressione che mi ha dato e tutto il volume, dalla scelta del soggetto e del periodo allo stile e al linguaggio usato, conferma questa opinione. E’ uno splendido fumetto, non ha bisogno d’altro né di altra definizione.

Vincent_striscia1

Non ci sono scorciatoie per sconfiggere la (propria) ignoranza; google non sostituisce la lettura di libri e articoli, la visione di film, l’approccio con la realtà e la conseguente riflessione. Per sapere bisogna faticare, leggere, studiare, pensare.
Come mi fece notare in modo molto maleducato qualche tempo fa un tale sotto pseudonimo, l’ignoranza è una scelta; s’intenda per chi vive qui e oggi ossia con le molteplici possibilità di istruzione e auto-istruzione. Quel tale fu maleducato, supponente, offensivo e antipatico, però aveva ragione.

Ecco, tutta questa pappardella per dire, in modo contraddittorio [3] che questo magnifico e commovente volume mi ha “insegnato” molto su Van Gogh; è stata una – a questo punto necessaria – integrazione su quanto sapevo e pensavo di lui, pittore che ho sempre amato.

Il fumetto di Barbara Stok non sostituisce, ovviamente, la personale e diretta visione dei quadri di Van Gogh, eppure riesce a penetrarne l’anima in modo profondo e sincero e, ciò che è più importante, riesce a comunicare tutto questo a chi legge.

Vincent_striscia3

Vincent racconta la vita di Van Gogh in quel breve e intensissimo periodo che va dal suo trasferimento ad Arles nel 1888 fino alla sua morte, avvenuta in modo tragico nel 1890, alla sola età di 37 anni. A questo proposito: non ci sono date nel fumetto, tranne che nell’ultima, triste vignetta; quest’assenza di date in un racconto non ambientato nella contemporaneità, fa sì che la storia dia una sensazione di fluttuazione in un tempo/non-tempo…

La base da cui parte il racconto – e che lo percorrerà tutto - è il rapporto che lega i due fratelli Van Gogh: Theoè l’affettuoso mecenate e primo ammiratore e sostenitore dell’opera del fratello pittore, Vincent, il quale è dotato di una straordinaria, quasi sovrumana sensibilità artistica, decisamente avanti sul proprio tempo.
Theo, anch’egli uomo sensibile e, come già detto, affettuoso, è la realtà concreta, i piedi per terra, risolutore dei problemi materiali del fratello, è ottimista seppur preoccupato perché cosciente della fragilità del fratello artista.

Vincent_striscia4

Gli ultimi due anni di vita del pittore olandese sono quelli nei quali produsse i suoi più splendidi capolavori e sono anche quelli nei quali la sua sofferenza personale e la frustrazione raggiunsero apici umanamente insopportabili. Sono dunque, parlandone da un punto di vista freddamente razionale, gli anni più interessanti da essere raccontati e per noi posteri, che non possiamo percepire il dolore dell’uomo Van Gogh, il centro di tutto restano i meravigliosi quadri dell’artista Vincent Van Gogh.

Ma, e qui sta l’efficacia dell’opera di Barbara Stok, Vincent riesce a coniugare vita, profondità dell’essere e arte, in modo tanto semplice quanto profondo e ci mostra l’uomo insieme all’artista.

E’ interessante la visione che dei suoi quadri ne dà col linguaggio del fumetto l’autrice olandese: coglie l’essenza dell’arte di Van Gogh e la traspone in un modo e in uno stile personalissimi, in una storia a fumetti perfettamente conclusa e funzionante in sé.

La raffigurazione in vignette dei quadri o di porzioni di essi, si inserisce nella storia/biografia dell’artista, ma allo steso tempo fa “storia a se’” in quanto in quelle vignette è tangibile la sensazione del tempo che si ferma e si “fissa” in un istante eterno e al di fuori della storia (a fumetti) e della Storia.

10

Il tipo di linguaggio e di stilemi usati dall’autrice può ovviamente piacere o meno [a me è piaciuto moltissimo, se non si fosse capito], ma è obiettivamente moltointeressante l’approccio personale usato, la scelta del tipo di linea, di segno e di colore e soprattutto l’intersecarsi, senza alcun tipo di discrasia, della vita di Van Gogh con la raffigurazione dei suoi quadri i quali appaiono, come già detto, “fuori dal tempo”.

Molto umane, invece, sono le emozioni per lo più drammatiche vissute da Vincent Van Gogh nei suoi ultimi due anni di vita e descritte così magistralmente da Barbara Stok: l’insorgere delle “crisi” (di tipo epilettico?) che lo portarono a lunghi momenti di confusione mentale e autolesionismo con conseguente ricovero in casa di cura, furono la tragica apoteosi di una breve vita fatta di incredibili lampi di genialità artistica coronati da una sterminata produzione di quadri e disegni e di perenne, infinita frustrazione e solitudine.
Il suo ossessivo rapporto con Paul Gauguin, il suo sogno di dar vita a un’associazione di artisti se non a una vera e propria “casa di artisti”, il suo desiderio di un’arte pura e sincera, il suo profondo anelito d’infinito… tutto ciò si sgretolò nella tragedia della sua “malattia mentale” (che nessuno riuscì mai a diagnosticare in modo univoco). Van Gogh non potè mai sapere di quanta fama e gloria postume godette.

Vincent_knife

Non bisogna pensare però che l’intero volume sia zeppo solo di tragedia, proprio come nessuna vita è mai interamente e completamente tragica (o almeno così ci piace sperare…) e proprio come Van Gogh stesso dice al fratello Theo:

“Vedo il futuro pieno di problemi, ma non sono triste. Ho fortuna e sfortuna, non solo sfortuna. Sarà quel che sarà.”

Nei suoi ultimi due anni di vita Van Gogh ha vissuto anche (brevi) momenti di serenità e di ineffabile felicità, che d’altronde sono due stati della mente che non possiamo sperare siano perenni: si tratta, come per tutti/e, solo di momenti fugaci e di obiettivi che ci permettono di andare avanti, ma che non si raggiungono mai, se non appunto per brevi istanti.

Certe parti di Vincent mi hanno commosso fino alle lacrime, altre mi hanno fatto sorridere, ho riletto il volume tre volte di seguito e soprattutto mi sento più ricco di quanto non fossi prima di leggerlo.
Dire che lo consiglio spassionatamente è un blando eufemismo.

“Le stelle mi fanno venire in mente i puntini neri che indicano le città e i paesi su una carta geografica. […] Come prendiamo il treno per andare a Tarascon o Rouen, così prendiamo la morte per andare su una stella.”

 

Orlando Furioso

08

Note:

[1] Il cinema ha ricambiato la cortesia definendo “fumettoni” i film brutti. Ah-ha!

[2]…al punto, appunto, che ci si è sentiti in dovere di inventare neologismi quali “graphic novel” o il più casareccio“romanzo disegnato”, quando non l’altisonante “letteratura disegnata” (ellamadònna!) o infine uno degli slogan più presuntuosi che abbia mai sentito – soprattutto per l’erbafascismo e la presuntuosa prosopopea che comporta – ossia il terrificante“porta rispetto è arte il fumetto”. Brrrr!!!!

[3]…le cose più interessanti non sono forse anche le più contraddittorie?…

Ultimate Comics - New Spider-Man

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New_Spider-Man_cover13Ultimate Comics:
New Spider-Man


nn. 10 – 14, pubblicati in Italia
da Gennaio a Giugno 2014,
bimestrale

Brian Michael Bendis, testi
Sara Pichelli, disegni nn. 10,11
David Marquez, disegni nn. 12 - 14

albi spillati con cover rigida
48 pag., colori

euro 3 cad.
(n. 11 euro 3,30 per 64 pag.)

Panini Comics
Questa è un’autocritica pubblica.
Circa 14 anni fa arrivava in Italia l’Ultimate Universe, ossia una versione rivisitata & corretta del Marvel Universe ad uso e consumo di lettori/lettrici più giovani di quelli abituali, o presunti tali, e per, diciamo così, ricominciare a gestire “da zero” un Universo narrativo un po’ ingolfato e spesso congestionato da decenni di continuity, di contraddizioni, di mondi paralleli, dimensioni alternative, origini oramai datatissime e soprattutto scarti temporali apparentemente incongruenti [1]+[2].

SpiderMan_Pichelli2

Quindi, per dirla in due parole, la Marvel si inventa un nuovo Universo narrativo mantenendo gli stessi personaggi, ma ambientando il tutto ai nostri giorni, situando le origini dei personaggi nella contemporaneità. Nasce così l’Ultimate Universe, nel quale il giovanissimo Peter Parker diventa sì Spider-Man, ma non in una scuola nerd dell’inizio degli Anni 60, ma qui e oggi (o meglio, nel 2000, anno di uscita del primo numero di Ultimate Spider-Man): ciò significa che ci saranno cellulari, computer di ultima generazione, le auto non sembreranno uscite da un museo di antichità e le persone vestiranno come vestiamo noi. (…beh, trattandosi di americani il “vestire come noi” va inteso in un’accezione non esattamente letterale…).
Zia May, l’adorabile vecchietta che cresce Peter Parker, nell’Universo Ultimate diventa un’ancor giovane signora moderna e avvezza alle nuove tecnologie, che per esempio cerca su gooogle consigli su come affrontare le problematiche adolescenziali.

JJJameson_Pichelli1

Queste sono le sciocchezze che scrivevo 13 anni fa al proposito, ma non occorre che leggiate tutto, è scritto in stile terza-elementare e pressoché senza  argomentazioni solide. Riassumo in poche righe:

“Hanno tradito il mioUomo Ragno!
[non lo leggevo da anni, l’Uomo Ragno…]
Assurdo! Prendono i miei personaggi e li stravolgono! Ah ha, zio Ben con la coda di cavallo non si può vedere! Tradimento!” […perché invece la Donna Invisibile e Wasp hanno la stessa pettinatura degli Anni 60, no?]
E’ tutta una manovra commerciale!
[perché invece normalmente i fumetti vengono fatti per risolvere la fame nel mondo, vero?]
Tradimento! Vogliono accontentare i ragazzini!
[Orrore! le case editrici non devono attirare giovani lettori/lettrici, macché! Così quando moriremo noi Veri Credenti, le case editrici chiuderanno perché avranno cessato lo scopo della loro esistenza, che era appunto intrattenere noi vecchiacci brontoloni…].

Tra l’altro quest’ultimo punto viene confermato e sintetizzato perfettamente da Cristiano Grassi, editor di Panini Comics/Marvel Italia, sul n. 12 di New Ultimate Spider-Man n. 12:
“L’idea di base non era certo originale e lo scopo della sua creazione [dell’Ultimate Universe] era il classico “cerchiamo giovani lettori che non si trovino di fronte a un carico pluridecennale di continuity sulle spalle”.”
Comunque, in quel Maggio 2001 ero stizzito, semplicemente stizzito. Forse perché la Marvel non mi aveva consultato preventivamente prima di utilizzare i suoi personaggi come meglio credeva… [3]

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Quanto scritto finora non significa che ogni fumetto che non mi piacerà oggi mi piacerà tra una tredicina d’anni, né tantomeno che tutto ciò che ha fatto Mamma Marvel con l’Ultimate Universe sia da annoverare tra i capolavori del fumetto supereroistico.
Comunque, alla fine, anzi all’inizio, abbandonai l’Ultimate Universe al suo destino e non me ne preoccupai più. Mantenendo però ben saldi i miei pregiudizi, eh sì, a quelli non si rinuncia facilmente eh! [4]

Quanto troverete scritto d’ora in avanti e fino alla fine della pagina sarà, invece, un giudizio più che positivo ad un breve ciclo di storie dell’Ultimate Spider-Man[5] che ho appena terminato di leggere con grandissimo piacere ed emozione.
Mettete in conto anche l’entusiasmo tipico dei neo-ri-convertiti e dei figlioli prodighi e bilanciate il tutto con un po’ di sano buon senso (il vostro, naturalmente!). Ma m’è proprio piaciuto tanto.

Da qualche tempo nell’Ultimate Universe non è più Peter Parker a indossare il costume di Spider-Man, ma un giovanissimo ragazzo afroamericano di nome Miles Morales. Un ragazzino che vive in famiglia con mamma e papà, va a scuola, si trastulla col cellulare, ha un “migliore amico inseparabile” [che si chiama Ganke ed è adorabile: è senz’altro il mio personaggio preferito] e affronta supercriminali che soltanto a vederli da lontano farebbero letteralmente svenire dal terrore la persona più grande e grossa, corazzata e cintura nera di ju-jitsu tra noi… Ha superpoteri, certo, ma non è né un dio nordico né possiede armature supercorazzate o campi di forza impenetrabili. Questo rende le storie ancora più interessanti: come farà quel ragazzino, persino esile nella sua giovinezza, a sconfiggere quel mostruoso, mostruoso e superforte e gigantesco Venom?

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A mio parere chi legge storie dell’Ultimate Universe può giocare con queste storie in molti modi, all’interno però di due, diciamo così, "macro-categorie": 1. se conosci già il Marvel Universe; 2. se non lo conosci e dunque il tuo approccio si basa unicamente sulla lettura degli albi.
Entrambe le categorie offrono spunti infiniti, come ogni storia a fumetti dovrebbe comunque fare, ma è ovvio che la prima ne offre uno in più, ossia quello di confrontare i personaggi dell'Ultimate Universe con quelli del Marvel Universe"regolare". Quest'ultima modalità di gioco, però, può anche avere risvolti negativi, proprio come successe a me - come dicevo poc'anzi - tredici anni fa, che giudicai Ultimate Spider-Man basandomi esclusivamente sul confronto col "vero"Spider-Man (concetto di base errato: entrambi sono veri; anzi di più: ogni Spider-Man creato da Marvelè vero e tanti, e tanto veri, sono gli Spider-Man"di" ogni lettrice/lettore).

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Nonostante non abbia cominciato a leggere questa nuova serie dal n. 1 non ho avuto nessuna difficoltà di comprensione (né ho consultato wiki o altro prima di leggere): sono entrato dritto nella storia e ho continuato a leggere. Ha provveduto Brian Michael Bendis a riassumermi la situazione infilando nei dialoghi sufficienti – e non troppo invasivi – riferimenti atti alla comprensione del senso di ciò che accade. Ciò non significa che ogni numero faccia storia a sé o sia autoconclusivo, non è così in quanto i cicli – le run– si dipanano per più numeri e per goderseli al meglio è ovviamente consigliabile partire dall’inizio del ciclo. 
Eppure pur non avendo potuto cominciare dall’inizio la lettura di questa serie, sono riuscito a gustarmi ugualmente la storia (sia quella generale, che le storie in itinere contenute in ogni numero).


E ora un caotico – al solito... - riassuntino di questa saga.
Il primo numero dei cinque da me letti – il n. 10 - comincia con la breve run La Guerra di Venom, all’inizio della quale trovo Miles Morales direttamente alle prese con il disperato tentativo di proteggere la sua identità segreta. Nel frattempo la spregiudicata (e antipaticissima) giornalista free-lance Betty Brant crede di aver scoperto proprio l’identità segreta di questo nuovo Spider-Man e intende vendere a carissimo prezzo la notizia. Propone “l’affare” al Daily Bugle diretto, anche in questo Universo, da un baffuto James Jonah Jameson. Senza saperlo né tantomeno volerlo Betty Brant scatena forze potenti e letali che vogliono anch’esse venire a conoscenza dell’identità segreta di Spider-Man... Soprattutto uno spaventoso nemico del defunto Spider-Manè molto interessato all’identità segreta del nuovo Arrampicamuri. Ne nascerà un grosso, grossissimo guaio dal quale non tutti/e ne usciranno vivi/e.
Con la conclusione della run nel n. 11, assistiamo a un evento così drammatico che causerà a Miles Morales un indicibile dolore e la decisione di non indossare mai più i panni di Spider-Man.

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Nel numero 12 - ambientato esattamente un anno dopo la drammatica decisione presa da Miles – ha inizio il ciclo dal significativo titolo di Spider-Man Addio.
Miles Morales ha tenuto fede alla sua promessa: non ha più indossato il costume, con gran dispiacere del suo migliore amico Ganke, che non solo non solo è a conoscenza del segreto di Miles, ma ne è (era) anche un aiutante, seppure “di contorno” e nutre, ricambiato, un profondissimo affetto (e ammirazione) per il giovane Miles: devo ammettere che più d’una volta, senza alcuna malizia, ho pensato che tra i due ci fosse del tenero.

Il “ritiro” di Miles– durato un anno nel tempo del fumetto – viene però messo in discussione da una serie di cataclismatici avvenimenti, provocati tra gli altri dalle versioni Ultimate di Cloak e Dagger, da Bombshell (ragazzina con devastanti poteri esplosivi) e da Gwen Stacy, ex fidanzata del defunto, ex Spider-Man, Peter Parker.

Neanche a dirlo, e non credo di fare alcuno spoiler dicendolo, il giovane Miles tornerà alle sue “antiche” responsabilità supereroistiche cominciando col perseguire la diabolica Roxxon,  azienda marcia e corrotta, fonte della maggior parte dei problemi che affliggono il nostro eroe, e non solo. Comparsate di Zia May (scordatevi la versione “regolare”: questa è una Zia May davvero, davvero diversa!) e, ben più di una comparsata, di Spider-Woman, che non è proprio una “persona”, ma…
E ora attendo di leggere il seguito della storia...

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Mal di testa?
Non è colpa della Marvel o delle storie dell’Uomo Ragno dell’Ultimate Universe, ma dei miei “problematici” riassunti, “ingabbiati” e ingessati dalla mia stessa volontà di spoilerare il meno possibile per non rovinare a nessuno il gusto di un’eventuale – e consigliatissima – lettura in proprio.
Anzi, direi che le storie di cui sto parlando difficilmente potrebbero provocare un qualche mal di testa in quanto lo scrittore Brian Michael Bendis riesce con facilità e una certa leggerezza a raccontare azione, dramma e teen-story miscelandone discretamente bene i componenti e toccando con delicatezza e sensibilità i “tasti giusti” per il coinvolgimento emotivo di chi legge. Il risultato, per quel che mi riguarda giudicando questi brevi cicli, è coinvolgente (personaggi vivi), abbastanza emozionante (action, supercalzamaglie volanti che si danno un sacco di botte), contiene anche situazioni commoventi (situazioni e dialoghi drammatici non banali e toccanti); è insomma a mio giudizio una buona “via di mezzo” tra quelle storie iper-depressive e cupe che tanto abbiamo amato (e ancora amiamo) e una certa qual “leggerezza-pop” che deve essere una caratteristica dei super-eroi.

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Nei nn. 10 e 11 ai disegni troviamo Sara Pichelli, disegnatrice eccellente che apprezzo tantissimo: trovo il suo tratto dinamico e morbido al tempo stesso, perfettamente fumettistico in ogni sua componente (dalle anatomie allo storytelling generale alle caratterizzazioni) e inoltre sfugge a quegli stereotipi così abusati quando si tratta di disegnare personaggi afro-americani e personaggi giovanissimi. Trovo sia una maestra nel trasfondere le emozioni dei personaggi non solo nei loro volti, per i quali ha un vero talento!, ma in generale nelle loro posture fisiche (così è anche nella realtà: esprimiamo il nostro essere, la nostra interiorità, soprattutto col corpo, più ancora che col viso). Le poche figure a corredo di questo scritto non possono assolutamente dare neppure una vaga idea della bravura di Pichelli, quindi consiglio – cosa che farò anch’io – di cercare altri lavori della bravissima disegnatrice marchigiana e di seguirla con attenzione in futuro.

La bravissima Sara Pichelli col n. 12 cede le matite al collega David Marquez, disegnatore senz’altro in gamba, ma a mio opinabilissimo giudizio non paragonabile alla bravissima disegnatrice marchigiana. Come disegnatore mi dà l’impressione di tendere a una certa (eccessiva) stilizzazione mi sembra usare molto certi stereotipi grafici. Comunque, al di là del mio personalissimo gusto, Marquez se la cava più che bene e il suo grado di leggibilità resta ottimo.

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Prenderò senz’altro i prossimi numeri: sono curioso di vedere se un ex-detrattore per partito preso dell’Universo Ultimate [6] riesce, invece, a diventarne un ammiratore.
Infine: serie consigliata a chi volesse cominciare a leggere una serie di supereroi anche senza avere grosse basi “storiche” e, soprattutto, senza farsi troppi problemi.

Note:

[1] Ad esempio: se rispettassimo, o meglio “incrociassimo” il tempo reale e quello narrativo dell’Universo Marvel“classico” (chiamato 616), l’Uomo Ragno avrebbe circa 70 anni; Reed Richards dei Fantastici Quattro ne avrebbe un’ottantina; idem per Iron Man ecc. ecc.

[2] C’è però da precisare che, Continuity o no, reboot o meno, una bella storia o un bel ciclo di storie, restano  belli sempre e nessuno ce li può togliere. Questo per dire che se leggo una bella storia dei Fantastici Quattro, non sto a pensare “ah, no, non è possibile, a quest’ora Mr Fantastic dovrebbe avere 80 anni e la Donna Invisibile pure lei!”, perché se accetto senza banfare che un signore si allunghi all’inverosimile e una signora possa rendersi invisibile e circondarsi di campi di forza impenetrabili, significa che il patto di sospensione dell’incredulità tra me e la Marvelè ancora valido e funziona. E funziona pure bene, direi!

[3] Peraltro la Marvel non è nuova all’invenzione di nuovi universi narrativi: ad esempio, solo pochissimi anni prima, aveva inventato il Marvel 2099 (ambientato appunto in un ipotetico 2099) o ancora il New Universe (universo narrativo ambientato nella nostra Terra “reale”, nella quale cioè non esistono – ancora - i supereroi). Nessuno di questi universi non mi aveva minimamente stizzito, anzi avevo abbastanza apprezzato, seppure la Marvel nemmeno in casi si era degnata di consultarmi preventivamente…

[4]…tranne rinunciarci o far finta di niente per gli Ultimates (la versione Ultimate dei Vendicatori) di cui invece ho comprato, letto e molto apprezzato il ciclo di storie scritto da Mark Millar… firulì firulà… *due pesi due misure* … trallallà

[5] La wiki-pagina che linko non l’ho letta, visto che intendo procurarmi alcuni albi precedenti a quelli che ho appena letto, e non volevo rovinarmi troppo il gusto della lettura…

[6] Per non far la parte del fanatico, devo comunque dire che dell’Ultimate Spider-Man del 2000 non riuscivo proprio ad apprezzare il disegnatore: Mark Bagley, splendida persona (ci chiacchierai un minutino durante una lontana edizione di Torino Comics) che però fa parte della mia personalissima lista di disegnatori ostici. Oltre a ciò lessi, all’epoca, un paio di numeri di Ultimate X-Men e di Ultimate Fantastic Four e non mi piacquero granché…

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L’Isola del Tesoro – Disney

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isola_del_tesoro_coverL’Isola del Tesoro

di
Teresa Radice, testi,
e
Stefano Turconi, disegni

dal romanzo di Robert Louis Stevenson

su Topolino nn. 3094, 3095, 3096

 

euro 2,50 cad.

Panini Comics

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“Ricordo di essere rimasto ipnotizzato dalla vistosa cicatrice bianco livido che gli tagliava la guancia destra, mentre si appoggiava al bancone per chiedere…”

”TE’ NERO DOPPIO NON FILTRATO CORRETTO CON ACQUARAGIA, RAGAZZO!”

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Procuratevi i numeri di Topolino settimanale 3094, 3095, 3096.
Non so come funzioni la richiesta arretrati alla Panini, ma se vi siete pers* questi tre numeri chiedete all’edicolante, al vostro fumettaro, telefonate alla Casa editrice, fate quel che volete, ma procuratevi questi tre numeri.

Troppo spesso si abusa di termini come “capolavoro” (su questo blog poi, con le iperboli ci si sguazza!) eppure vi assicuro che termini come “capolavoro” e “gioiello” e ancora “speriamo che ripubblichino presto la storia in volume cartonato!” non sono esagerati in questo frangente.

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Ogni cosa, compresa una bellissima storia a fumetti, ha qualche magari minimo difettuccio, giusto?
Sbagliato. Ci sono le eccezioni, visto che L’Isola del Tesoro di Teresa Radice e Stefano Turconi non ha nessun difetto, ma è pura delizia. Esagero? Leggetela e ne riparliamo.

E dire che partivo prevenuto…
Di tutte le tonnellate di “letteratura per ragazzi” (così ce la spacciavano ai miei tempi) che ho divorato da fanciullo, l’unico libro a non essermi mai piaciuto – anzi: temo di non essere mai arrivato alla fine! – è proprio L’Isola del Tesoro di Robert Louis Stevenson. (E ora fatemi pure causa)

Ma la versione disneyana che ne hanno tratto Radice e Turconi mi ha riappacificato con l’idea di questo famosissimo romanzo e può darsi che decida di dargli un’ulteriore possibilità.

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Nelle storie a fumetti il rischio di “saltare qualche pagina”, o magari di sfogliarne solo velocemente le figure, è sempre presente perché può capitare, anche nelle storie migliori, che ci sia qualche “riempitivo”, qualche passaggio non particolarmente riuscito, o c’è magari una grossa concentrazione di attenzione sul protagonista mentre i personaggi di contorno sono tratteggiati appena e questo indebolisce un po’ quelle pagine “da scorrere velocemente”.

Ebbene posso affermare in tutta sicurezza che ne L’Isola del Tesoro di Teresa Radice e Stefano Turconi non c’è una sola vignetta “meno degna”, nessuna pagina da “saltare” o da leggere “un po’ più velocemente”, nessuna battuta di troppo, nessun calo.
E’ un’affermazione forte, ma della quale non ho bisogno di assumermi alcuna responsabilità in quanto è la storia stessa a comunicare tutto ciò e se al mondo c’è qualcuno a cui questa storia non piace… beh, per una volta posso proprio dire che è un problema tutto suo!

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La storia, divisa in tre puntate, è composta da 93 splendide tavole  e ogni personaggio, dal protagonista Jim Topkins, un Topolino ragazzino di una tenerezza disarmante, al deuteragonista Long Pete Silver, un Gambadilegno meravigliosamente ambivalente e, finalmente, con una vera gamba-di-legno, al Dottor Livesey, un Orazio mai visto così espressivo, a tutti gli altri (compreso un redivivo Plottigat e una mai dimenticata zia Topolinda) ogni personaggio dicevo è tratteggiato con una profondità tale che la storia prende letteralmente vita sotto i nostri occhi e i personaggi diventano persone.

Per quanto mi riguarda il personaggio che preferisco, e che mi ha fatto ridere tantissimo, è il fantastico Ben Goof, un Pippo schizofrenico con una esilarante doppia personalità che lo porta a litigare continuamente con se stesso! Ben Goofè un attore cardine per la trama de L’Isola del Tesoro e date le sue caratteristiche non è un personaggio di facile gestione e il rischio che potesse diventare una mera “macchietta folle” avrebbe potuto essere grande. Se però non stessimo parlando di TeresaRadice e Stefano Turconi, un’autrice e un autore che mi sembrano completamente immuni da rischi del genere!

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Indipendentemente da quale sia il mio personaggio preferito in questa storia (che resta Ben Goof – Pippo) la coppia di autori riesce infatti a caratterizzare in modo perfetto e funzionale alla storia tutti i personaggi, sia graficamente che caratterialmente rivelando, a mio modo di vedere, una passione e un amore fuori del comune per ciò che stanno scrivendo e disegnando, col risultato di produrre una storia perfetta, coinvolgente sin dalla prima vignetta, con un’alternanza di ritmi che fa sì che il mio cuore di lettore batta all’unisono con quello della storia e di tutti i personaggi, lasciandomi alla fine felice per una lettura così appagante e un po’ triste perché… perché è finita la storia.

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Non avendo mai terminato la lettura del romanzo originale non so dire se e quanto questa versione de L’Isola del Tesoro sia “fedele” all’opera di Stevenson e francamente credo che la cosa non abbia alcuna importanza. Certo Radiceè partita senz’altro da dell’ottimo buon materiale originale (anche se non l’ho letto, immagino che il romanzo di Stevenson sia bellissimo, no?) ma sono sicuro che abbia reso suoi (e quindi nostri) in modo unico e originale i personaggi, le ambientazioni, le atmosfere e che, insieme a Turconi, abbia raggiunto questo meraviglioso risultato per meriti esclusivamente suoi.

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Facendo qualche accenno ai disegni [n.b. causa scanner “della mutua” quelli che vedete qui riprodotti hanno i colori abbastanza diversi dagli originali; sorry], essi sono così belli da sperare, come dicevo poco sopra, in una prossima edizione cartonata “di lusso”; non so se lo stesso Turconi abbia realizzato anche le chine e la colorazione: sono comunque molto, molto belle anch’esse.
Turconi, così come Radice nella sceneggiatura, ha la capacità di esprimere graficamente in modo sublime sia scene e situazioni altamente drammatiche che ironiche ed esilaranti e, come dicevo sopra, di alternare il ritmo tra esse in modo mai stancante e anzi molto coinvolgente.

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Vediamo infatti, per esempio, un Jim TopkinsTopolino con fattezze tenerissime e molto kawaii sfoderare quand’è il momento il suo lato coraggioso e intrepido e assistiamo al suo sguardo che, come fosse di carne ed ossa, si trasforma sotto i nostri occhi assumendo mille espressioni che trasudano sentimenti intensi e fanno sì che la storia abbia un calore che scalda per davvero.
Di sentimenti – e situazioni - ce ne sono molti e molte nella storia: dalla voglia di avventura del giovane Jim Topkins all’amicizia intensa (e piena di soprese) con un rude ma irresistibile Long Pete Silver e inoltre complotti, tradimenti, agguati…  

E poi ancora ci sono quelle navi, l’oceano, la foresta e i paesaggi bucolici di inizio e fine storia che da soli varrebbero l’acquisto, come si suol dire.
Nelle pagine immediatamente successive al primo episodio, sul n. 3094 di Topolino, c’è un’intervista alla coppia di autori che, se ce ne fosse mai stato bisogno, ce li rende ancora più simpatici.

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Erano decenni che non mi capitava di aspettare con così tanto desiderio il mercoledì, giorno di uscita del Topolino settimanale, eccezion fatta per lo spettacolare Moby Dick di Artibani, Mottura, Andolfo, il mirabolante Lo strano caso del Dottor Ratkyll e di Mister Hyde di Enna, Celoni, Andolfo o ancora l’incredibile Dracula di Bram Topker, sempre di Enna, Celoni, Andolfo. E l’attesa e il desiderio non sono stati disattesi!

(Purtroppo alla triade qui sopra non posso aggiungere il recentissimo Topolino e L’Impero Sottozero di Casty, autore che pur amo molto: ho trovato questa storia eccessiva, confusionaria, troppo piena di cose e un po’ forzatamente collegate tra loro, un minestrone che ho trovato indigesto, meravigliosi disegni a parte.)

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Concludo questa mia appassionata dichiarazione d’amore dicendo che, se non fosse stato abbastanza chiaro finora, consiglio caldamente la lettura de L’Isola del Tesoro di Teresa Radice e Stefano Turconi a chiunque… proprio a chiunque, indipendentemente da età, gusti fumettistici e da eventuali pregiudizi per le produzioni targate Disney, certo come sono che nessun* si pentirà della scelta.

Buona, buonissima lettura!

 

Orlando Furioso

 

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Tre Premi (e mi riempio di gioia!)

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1 Very Inspiring Blogger Award +

2 Boomstick Award!!!

Evviva

 

INtro/

Sono io il primo a infastidirmi quando qualcun* che stimo o di cui comunque ho un’idea positiva (per i più svariati motivi) si sminuisce proprio negli aspetti che io apprezzo in lui/lei.

Ad esempio, un mio amico telematico svedese è, per i miei canoni s’intende, un figo della madonna (per usare il termine in francese aulico) e lui passa il tempo a dire a se stesso e al mondo quant’è brutto.
Confesso che mi sento quasi “offeso” da questo suo atteggiamento, perché mi sembra quasi che mi dica che io ho dei gusti estetici di merda!

Altro esempio: odio cucinare, però qualche cosa mi riesce bene e quando vengono amiche e amici a cena generalmente apprezzano quel che ho cucinato. La prova è che qualche giorno prima della cena mi chiedono se posso cucinar loro questo o quell’altro. (Nessun* sarebbe così stupid* da CHIEDERE una certa pietanza se non l’apprezzasse, dai!).

Orbene: indovinate CHI passa la cena a rispondere a ogni complimento con frasi del tipo “No, però ha poco sale”, “Ma l’altra volta mi era venuto molto meglio!”, “Mah, a me sembra che non sappia di granché…” ecc.
Ogni tanto qualche amic* si scazza e mi manda affanquelpaese. E ha ragione. Così come io manderei nello stesso posto Fred quando dice “Sono brutto”.

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Questo per dire che Acalia Fenders, Hana Hanabi e Millefoglie hanno avuto davvero una pazienza da sante per premiare un vecchio brontolone che ultimamente (ma solo negli ultimi 55 anni eh!) non fa altro che autodenigrare il proprio blog, le proprie “recensioni”, i propri articoli e financo l’orrenda – diciamocelo! – grafica del blog.
Nel senso che io uno come me l’avrei mandato affanquelpaese, altro che premio.

Ma forse questi premi arrivano in questo momento proprio per “tirarmi un po’ su”!
E’ un periodo diciamo “un po’ particolare”, un po’ difficile della mia vita (tranquill*: prometto che non entrerò nel dettaglio! ^____^). Diciamo che è un periodo interlocutorio e in questa interlocuzione c’entra anche – eccome - questo blog.

I premi ricevuti sono, oltre che graditi in un modo che qui non riesco a descrivere (scivolerei nel patetico andante ed è  meglio evitare), molto utili per farmi riflettere su quanto ho scritto finora: se ben tre persone che stimo e che curano dei Blog che seguo e amo, tre persone che ritengo esperte, competenti, capaci, al punto che molto spesso le mie letture, e qualche volta le mie visioni, si sono orientate a secondo delle recensioni e degli articoli che vi ho letto (e anche quando non conosco ciò di cui scrivono, provo sempre molto piacere a leggere le loro recensioni e i loro articoli), se queste tre persone dicevo hanno deciso di assegnare un premio a questo blog, evidentemente – anche se mi è difficile accettare l’idea – costoro apprezzano quel che scrivo!

Accettare questo complimento non mi farà diventare una persona superba e poco umile (due dei peggiori difetti al mondo, secondo la mia sensibilità). Vero?
E magari posso anche continuare a pensare che scrivo delle “recensioni” penose, ma accettare lo stesso che non tutt* la pensino così, no?

Ok, la seduta di psicoterapia è finita, ci rivediamo tra una settimana alla stessa ora ^____^.

No, va bene, ci rivediamo subito: eccoci qui e finalmente cominciamo!

/End INtro

VeryInspiredBlog_logo

VERY INSPIRING BLOGGER AWARD!

La prima “colpevole” è Acalia Fenders, che mi ha onorato di questo premio, e l’ha fatto in QUESTO post.
Il VIBA ha due sole e semplici regole:

1. quando si viene nominat* bisogna raccontare 7 fatti curiosi/inusuali/scemi/buffi/particolari della propria vita;

2. bisogna nominare a propria volta altr* 15 blogger che in qualche modo ci hanno ispirat*.

Il tema che ho scelto è originalissimo (…) e preparatevi a rivelazioni-shock… (…)

werthham

Ecco 7… particolarità su Orlando e I FUMETTI!

1. Nel 2005 ho comprato una “partita” di fumetti da un amico di allora, a un prezzo molto vantaggioso, anzi vantaggiosissimo! Mi dovetti far aiutare da un amico per portare a casa tutto quel ben di dio. Ebbene: non ne ho letto ancora uno.

2. Il primo fumetto che abbia mai letto in vita mia, cioè proprio letto, capendo (più o meno) quello che leggevo, fu un Almanacco Topolino. L’anno era il 1965. (No, non possiedo più quell’albo)

3. Delle serie che  ho completato nella mia vita, quelle che ho amato di più e che ancora mi provocano nostalgia sono: Kriminal, Satanik, Jacula, Alem, Alan Ford, Totem e Métal Hurlant, tutti i supereroi della Marvel editi all’epoca in Italia dalla Editoriale Corno che acquistai dal 1970 al 1976 e il Corriere della Paura, diretto dalla persona cui è dedicato questo blog. (No, non possiedo più queste collezioni)

4. Non è vero che non ho mai smesso di leggere fumetti! Ci  fu più d’un orribile buco: il primo va dal più-o-meno 1977 al 1982, anno in cui compare in edicola Martin Mystère, che ho acquistato per qualche anno; il secondo buco va dalla prima metà degli Anni 80 fino al 1990, quando principalmente grazie alla Star Comics e alla Play Press[1] ricominciai a leggere supereroi Marvel e DC e, timidamente, qualche manga grazie alle bellissime riviste Zero e Mangazine (sì, almeno di quest’ultima ho ancora la collezione completa!), oltre alle numerose e spesso meravigliose fanzines autoprodotte (Made in USA, Fumettando, Underground e moltissime altre che collezionavo e leggevo avidamente!), che sono un po’ le “nonne” cartacee dei nostri blog!

5. La mia feroce antipatia per tutte le definizioni del fumetto che non siano “fumetto”, ossia le varie “graphic novel”, “Nona Arte”, “letteratura disegnata” e compagnia cantante deriva dal fatto che credo profondamente che il fumetto non abbia alcun bisogno di essere considerato “arte” né tantomeno “letteratura”, visto che il fumetto, comunque lo si chiami resta fumetto[2] e possiede in se stesso la propria dignità, che è equivalente a quella di qualsiasi altra forma espressiva, che può andare dalla Pura Arte alla Vera Schifezza. Ma sempre FUMETTO resta! (Chiamarlo in altro modo è in un certo modo mentire e non essere in buona fede. O, più semplicemente, è cercare di attirare attempati signori e signore verso il reparto fumetti delle librerie di varia, senza però farglielo sapere.)

6. (coraggio, abbiamo quasi finito!) Verso i fumetti ho una forma di compulsione all’acquisto che stava assumendo forme tutt’altro che trascurabili. Ora, vista la drastica diminuzione di stipendio per la mia scelta di fare il part-time al lavoro, sono stato costretto a combattere con forza questa vera e propria ossessione. Che tra l’altro faceva sì che io provassi una gioia immensa – e decisamente eccessiva e direi “innaturale”, nell’acquisto dei fumetti che però non si trasformava affatto in una conseguente gioia nella lettura. Anzi: ho intere librerie colme di fumetti acquistati e non ancora letti (vedi punto 1. ). E a questo punto comincio ad avere dei seri dubbi sul fatto che li leggerò mai…

7. (lo so, è stata durissima, ma è quasi finita!) Pur non sapendo affatto disegnare né sceneggiare, e non essendo minimamente interessato ad imparare, e tantomeno non essendo un wannabe, per diversi anni ho prodotto “fumetti” [3]! Ovviamente senza alcuna velleità, ma solo per divertirmi e divertire amiche e amici. Per un certo periodo della mia vita stavo su anche la notte a scarabocchiare perché amiche e amici mi chiedevano fumetti per conto terzi, da regalare ai compleanni o per il puro piacere di leggerli e di vedersi ritratti come protagonist*. Erano francamente orripilanti, da un punto di vista fumettistico, ma senza falsa modestia posso dire che ne ho fotocopiati a decine visto che le persone che li leggevano me ne chiedevano in quantità e si facevano grassissime risate e infatti questo era l’unico loro scopo oltre al mio personale divertimento. Purtroppo, anche se mi piacerebbe riprendere a scarabocchiare quelle cazzate, un qualche tipo di “blocco” mi impedisce, da qualche anno, di produrre i miei “capolavori”… quindi no, non vi farò un fumetto nel quale avete incredibili superpoteri e dominate l’Universo! [4]

Hellcat

Prima di assegnare a mia volta il premio Very Inspiring Blogger Award a 15 Blog devo dire, molto sinceramente e senza retorica, che per quanto mi riguarda tutti i blog che vedete lì a fianco sulla barra destra sotto il titolo “I miei preferiti” sono per me importanti e d’ispirazione e li seguo e li amo molto (anche se ultimamente commento pochino…).

Dopo di che, visto che 15 ne debbo scegliere, eccoli [non tutti riguardano i fumetti, spero non sia un problema]:

PrevalentementeAnime_e_Manga

Acalia Fenders
perché Prevalentemente Anime e Mangaè uno dei Blog che ha maggiormente contribuito a farmi sentire “parte di Qualcosa di bello”; perché riesce a essere interessante anche quando parla di argomenti che normalmente non m’interesserebbero; perché Acalia riesce a comunicare splendidamente la sua passione e l’amore per le cose che le piacciono (e riesce a divertire tantissimo parlando anche di quelle che non le piacciono!).

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Elvezio Sciallis
perché anche se Malpertuis tratta prevalentemente di film che non avrò mai il coraggio di guardare (o che non saranno mai sottotitolati in italiano) è uno dei Blog che mi sta insegnando più cose, che mi fa riflettere e che mi fa crudelmente capire come vorrei un giorno scrivere io stesso, ma come non ne sarò mai capace. Il fatto che Elvezio sia una delle persone migliori che abbia mai conosciuto influenza eccome il mio giudizio sul Blog. E ne è un ulteriore, piacevolissimo valore aggiunto.

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smoky man
che, mi pare, col suo Blog smokyland ha già vinto da me un Boomstick Award un paio d’anni fa, è uno dei maggiori esperti di fumetti in Italia, e in assoluto il maggiore esperto di Alan Moore (incidentalmente il mio autore di fumetti preferito), di cui ha curato vari libri, saggi e preziosissime interviste che traduce in italiano per offrirle agli ignorantoni come il sottoscritto che con l’Inglese non ci vanno tanto d’accordo. Amo il suo Blog fin dalla sua creazione nel “lontano” 2006.

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Andrea Pachetti
Atari, magari: nome fantastico per un fantastico blog. Io – per mia ignoranza - salto a piè pari gli articoli sui videogiochi (ma credo siano comunque ottimi), ma seguo con gran piacere i suoi articoli sui  fumetti che sono informatissimi, e sono scritti da una persona esperta, colta e che tratta argomenti molto interessanti e per lo più ignorati da altri blog e siti. Per me, Andrea è un maestro.

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Matx96
Se c’è una persona scevra da pregiudizi fumettistici questo è Matx96 e il suo Blog Terre Illustrate ne è la dimostrazione: manga, bonelli, supereroi… tutto trattato con la medesima passione e, scusate se uso molto questo termine, amore. E’ un blog con cui mi identifico molto, mi sembra un po’ un fratello di fumetti di carta (spero che Matx96 non la prenda come un’offesa…).

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Conte Zarganenko
Qualcuno ricorda il mio discorso depresso sui “blog ultracolti fatti da persone ultracoltissime che fanno citazioni in greco antico senza tradurle”? Uno dei Blog cui mi riferivo era Spezzando le manette della mente del Conte Zarganenko.E’ un blog che, scoperto recentemente, ho letto tutto quanto facendo anche le ore piccole la notte. E’ una miniera. E mi fa sentire tremendamente ignorante. Fumetti, musica, cinema, filosofia… Lo amo – e lo premio - perché mi ispira, mi stimola e mi fa scoprire cose, ma mi getta anche addosso tutta la mia immensa ignoranza; è anche grazie a Blog come questo che un giorno sì e l’altro pure mi vien voglia di chiudere il mio. Il Conte, però, è una persona gentilissima e non se la tira per niente, quindi delle paranoie che mi faccio, sia chiaro, lui non ha colpa alcuna. Anzi, meno male che c’è, perché di certezze si muore, mentre di dubbi (e di stimoli) si vive. O si sopravvive come meglio si può.

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Emanuele Casale
Qui i fumetti non c’entrano nulla. Mi sono sempre sentito istintivamente vicino al pensiero junghiano (per quel poco che conosco) e proprio nel momento in cui ho deciso di approfondire un po’, mi sono “casualmente” imbattuto in questo Blog – Jung Italia - che è una continua fonte di ispirazione e di meditazione, a livelli sempre molto profondi.

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Cristina
del magnifico Athenae Noctua, un Blog di arte e letteratura che per me è diventato imprescindibile. Ogni suo articolo è una fonte di stimoli per scoprire o riscoprire opere letterarie, sia classiche che moderne (mai letteratura prettamente “commerciale”), saggi storici e splendide opere d’arte che Cristina analizza e racconta con passione e compartecipazione. Se vi piace leggere e ancora non conoscete Athenae Noctua, vi consiglio caldamente di fare una visita a Cristina!

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Stengo
col suo bellissimo Blog Imago Recensio mi ha aperto un mondo! E credo proprio che potrebbe interessare moltissimo anche un bel po’ di amiche e amici di fumetti di carta, sempre che già non lo conosciate! Manga, anime e Giappone in generale sono sempre presenti su Imago Recensio che, tra le altre cose, è – con mio estremo piacere - uno dei Blog con gli aggiornamenti più frequenti della blogosfera.

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Giorgio Metalli
nel suo bellissimo Blog Il Lettore Impenitente parla di libri: raramente di libri contemporanei; più spesso di libri usciti in Italia molti anni fa in splendide edizioni, quando ancora le copertine avevano un senso estetico e quando le Case editrici pubblicavano in edizioni economiche capolavori della letteratura mondiale. Grazie al suo Blog ho scoperto o riscoperto opere letterarie bellissime, come ad esempio Il mare non bagna Napoli, di Anna Maria Ortese. Lo ringrazio molto per il suo lavoro.

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Aquila della Notte
fa, col suo Blog omonimo, un lavoro pazzesco! E, per me personalmente, utilissimo (e piacevole): scheda e riassume TUTTE le testate della DC Comics (è la Casa editrice di Batman e Superman, per intenderci), con una precisione assoluta e puntuale. Per me che ultimamente seguo poco (purtroppo…) la DC recente, è un piacere poter avere almeno un’idea (approfondita) di ciò che sta succedendo. Inoltre mi è utilissimo quando, leggendo magari una ristampa, non ricordo qualcosa di importante: vado a cercare la scheda su Aquila della Notte, la trovo e mi metto “in pari”! Gli invidio la costanza e il fatto di sapere tutto-ma-proprio-tutto sugli eroi DC!

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Nedeljko Bajalika
Il suo Blog Avventure di Carta più che un semplice Blog è una vera miniera, un meraviglioso pozzo in cui potete trovare di tutto (sempre che sia a tema fumettistico), ma NON vi troverete cose banali, mediocri, “alla moda”: Ned, esperto disegnatore egli stesso (ha avuto Jacovitti come maestro!!!) delizia chi visita il suo blog con splendide tavole, articoli, saggi, interviste, “il meglio del fumetto nei 300 libri essenziali” e mille altre cose ancora. Consiglio spassionatamente a tutt* coloro che ancora non lo conoscono di visitare il blog di Ned… e di goderselo!

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Lloyd Smith
sembra il nome di un agente segreto! Il suo Blog è Diversions of the Groovy Kind, sottotitolo: 1970’s Comic Books Nostalgia. Lo seguo da anni e mi delizio con i suoi scan di vecchi fumetti Marvel, DC, Charlton, Archie Comics e qualunque altra Casa editrice che pubblicasse comics books nei gloriosi Seventies! Mi ispirano la sua passione sconfinata e la sua fedeltà ai/alle groove-ophiles!

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Wally Rainbow
ovvero: meno male che c’è! Wally Rainbow’s Worldè l’unico Blog in Italia che tratta costantemente e con aggiornamenti frequentissimi le tematiche LGBTQ a fumetti! Fumettista egli stesso, Wally è un Blogger puntuale, preciso, informatissimo, polemico (in modo mai gratuito), appassionato e riesce a mantenere la calma anche nelle discussioni più accese. I suoi articoli per me sono SEMPRE interessanti, anche quando non concordo con le sue tesi o le sue posizioni (cosa che accade raramente, devo dire). Fonte d’ispirazione per me, ma dovrebbe esserlo per parecchie persone.

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Consolata Lanza
è una delle mie scrittrici preferite e ho la fortuna di poterla chiamare amica. Ho letto quasi tutti i suoi libri e non ce n’è uno che non mi sia men che stra-piaciuto. Il suo, che adoro, Blog ha lo strano nome di Anaconda Anoressica e per me (e per molte altre persone) è un luogo d’incontro importante: grazie ai suoi scritti e alle sue recensioni ho scoperto libri che mi hanno incantato. Adoro – e invidio! – il suo dire sempre “pane al pane” e il suo prendere posizione. Vabbè, adoro lei, diciamola tutta!


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…ed ora vai con i Boomstick Awards!!!

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Hana Hanabi e Millefoglie mi hanno assegnato il premio, che mi ha reso felicissimo!
Vi ringrazio davvero di cuore!

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Le Regole!

1) i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore.
2) i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione.
3) i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto.
4)è vietato riscrivere le regole. (CTRL+C CTRL+V)

Mi onoro di assegnare il Boomstick Award a:

Yue Lung– per la sua accoglienza, per quanto ne sa di Manga (e di un sacco di altre cose) e perché pur sapendo tutto non se la tira per niente!

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Caroline Preston– perché le sue mangapagelle sono imperdibili e piene di spunti e stimoli! Perché ne sa a valanghe! Perché ha un modo di scrivere delizioso. (E non ti preoccupare: ti aspettiamo.)

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Le 110 pillole
Non so come si chiama il proprietario dell’omonimo Blog, ma non importa: lo premio perché, coraggiosamente, si occupa SOLO di fumetti e fumettist* italian* esordienti, con articoli ben approfonditi, molto sinceri e motivati!

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Una Stanza piena di Manga
Non so come si chiami la persona che gestisce l’omonimo e bellissimo Blog, che si becca un Boomstick Award, per l’ottimo lavoro che fa con i suoi articoli sempre interessanti e che spesso trattano argomenti molto originali.

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Salvatore Giordano
perché il suo ottimo Blog Retronikaè per me un appuntamento imprescindibile e in quanto ad amore e passione per i fumetti (“retrò”, appunto) non teme rivali.

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Pixel
perché adoro il suo Blog – We are complicated–anche se per me è talvolta fonte di crisi e forse è per questo che non ne parlo spesso in giro. E non commento mai. Ora ho finalmente dichiarato pubblicamente il mio amore.

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Bod Owens
Ho conosciuto il suo Blog, Frammenti e Tormenti, da pochissimo ma già mi ci sono affezionato! Salto gli articoli sui videogiochi, ormai lo sapete, ma mi godo volentieri tutti gli altri.

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Ecco fatto!

Chi volesse a sua volta assegnare il Boomstick Award, ricordi che ne deve rispettare le regole, pena beccarsi lo spaventoso Bitch Please Award!

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Spero che chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui (è stato un tour-de-force, lo so…) vada a visitare i Blog qui citati che magari non conosce e spero che trovi in essi lo stesso piacere che vi trovo io ogni volta che li visito e ne leggo gli articoli.
Alla prossima!


Orlando Furioso

 

Note:

[1] Il link porta a un magnifico articolo in 5 parti scritto da Francesco Vanagolli per Fumetti di Carta, che vi consiglio caldamente.

[2] E allora i manga? “Manga” vuol semplicemente dire fumetto in giapponese, quindi non c’è contraddizione alcuna!

[3] Questa non ve l’aspettavate, eh?!?

[4] Forse il blocco c’entra qualcosa con un mio ex fidanzato, veramente una brutta persona, cui qualche anno fa, con immensa fatica, feci un fumetto (tecnicamente il migliore da me mai prodotto) che lui degnò a malapena di uno sguardo e gettò idealmente nella spazzatura. Quanto mi dispiace aver sprecato con lui sei anni della mia vita!

Frank Carter

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frank_carter_coverFrank Carter
Avventure di una spia per caso

di Carlo Coratelli, testi
e Fortunato Latella, disegni

brossura, 48 pag. colore, formato orizzontale

euro 9,90  -  Red Publishing

il volume è acquistabile QUI e QUI

“Un uomo qualunque, una vita normale. Tutto questo sta per cambiare per il mite Frank Carter, grande appassionato di romanzi gialli che viene coinvolto, suo malgrado, in una vicenda spionistica nella Casablanca degli anni ’50 durante una “vacanza di lavoro” assieme alla moglie Jill. E da allora la sua vita non sarà più la stessa…”

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Ci sono alcune cose che non faccio. Senza un particolare motivo, forse solo per un questione generazionale e/o per mancanza di abitudine.
Ad esempio non leggo web-comics.

Così come non leggo certe testate non perché non mi piacciano, ma perché non potendo leggere tutto, devo fare inevitabilmente delle scelte. Non è detto che queste scelte siano “le migliori”; magari più semplicemente sono “le migliori per me” o sono “le migliori in quel momento”. O forse sono le peggiori, chi lo sa.

So benissimo che mi perderò molti bei fumetti.
Ma questo vale per qualsiasi, qualsiasi cosa: ogni scelta comporta delle esclusioni.

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Il volume di cui vado a parlare – Frank Carter, avventure di una spia per caso– supplisce ottimamente a questa mia carenza: mi propone cioè su carta le strisce che Carlo Coratelli e Fortunato Latella pubblicarono – e continuano a pubblicare - originariamente sul web.

Entrambi gli autori sono appassionati di antiche comic strip americane; quelle stesse strisce che sono state l’origine stessa del Fumetto e che all’inizio del secolo scorso ne hanno determinato il successo nel mondo occidentale. 

Coratelli e Latella propongono al pubblico italiano una striscia che stilisticamente si ispira alle comic strip americane (come Dick Tracy, per esempio) e che nonostante il contenuto giallo o poliziesco - meglio ancora: spy-story come sottolinea giustamente nell’introduzione Davide DaZa Zamberlan - contiene anche una buona dose di ironia e di spensieratezza, direi financo di positività.

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Frank Carter infatti si caratterizza come striscia a tema giallo-poliziesco (spy-story), con tanto di minacce mortali che mettono in serio pericolo di vita il nostro eroe e la di lui moglie Jill: nelle storie si spara e si muore persino, ma il lieto fineè la naturale conseguenza di queste avventure.

Nonostante l’inevitabile tragicità di alcuni eventi (la morte di qualche cattivo ad esempio) nelle storie – per lo meno nelle due storie presentate in questo bel volume – si respira un’atmosfera positiva, di ottimismo e fiducia nel futuro: sia perché le avventure della “spia per caso”Frank Carter sono ambientate negli Anni Cinquanta, sia perché la stessa atmosfera si respirava in alcune delle più celebri strisce dell’epoca, cui gli autori idealmente si rifanno.

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L’atmosfera avventurosa e di mistero, da spy-story, è piacevolmente inframezzata da deliziosi siparietti familiari in cui i protagonisti sono Frank e la moglie Jill, donna dei Fifties coraggiosa e determinata, nonché innamorata del suo Frank dal quale è felicemente ricambiata: un bel personaggio che sembra non essere inserito solo per “contorno”, ma ha bensì un ruolo attivo e di vera e propria coprotagonista.

Citando nuovamente la bella introduzione di Davide DaZa Zamberlan, Frank Carter nasce:

“…con un “solo” fondamentale obbiettivo, recuperare quello spirito di intrattenimento e divertimento leggero ma entusiasmante dei comics degli anni che cita.”

Colgono perfettamente il segno, dunque, le due storie presentate in questo primo volume: Equivoco a Casablanca e La Formula Zolta.

Proprio con Equivoco a Casablanca cominciava qualche anno fa l’avventura di Frank Carter nel mondo dei web-comics: un’avventura che continua tuttora con nuove strisce e nuove avventure. E un nuovo fan, cioè il sottoscritto.

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La prima avventura di Frank ci racconta come, in maniera del tutto incidentale (o quasi) il nostro protagonista entri di petto in un mondo di cui fino ad allora aveva letto solo nei suoi libri preferiti: spionaggio, agenti segreti, villains pericolosi e spietati, scienziati pazzi, doppiogiochisti e persino… un certo presidente!

Coincidenze e situazioni improvvise che però non colgono del tutto impreparato il nostro Frank che ha fin da subito l’opportunità di mostrarci quanto sia un giovanotto intraprendente, coraggioso, allenato e dotato di un indomabile spirito positivo e di un’allegria contagiosa!

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La seconda storia del volume è maggiormente immersa in un’atmosfera di mistero e di imminente pericolo e le situazioni si susseguono in modo convulso e con diversi colpi di scena. Già dal titolo si evince che Frank avrà qui a che fare con scienziati e formule segrete dagli effetti potenzialmente devastanti.

Per quanto entrambi le storie siano riuscite e siano deliziose a leggersi, a parer mio è nella seconda che entriamo maggiormente nell’azione e in situazioni da vera spy-story, con tanto di fiato sospeso per sapere come andrà a finire. Niente spoiler, naturalmente, ma - come già detto prima - ad attendere chi legge c’è sempre un piacevole lieto fine.

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Trattandosi di una struttura a striscia, di storie concepite cioè per essere lette originariamente in progressione una striscia per volta, la caratterizzazione dei personaggi non può seguire le stesse regole di un comic-book perché nel caso della striscia l’azione dev’essere continua, l’attrazione verso la storia e i personaggi dev’essere costante e costantemente rinnovata e non c’è quindi troppo tempo per riassunti, introspezioni, flashback o altri meccanismi così comuni nelle altre forme di fumetto.

Per questo Latella e Coratelli ci presentano protagonisti e personaggi già in una sorta di media res, che però funziona alla perfezione in quanto io lettore mi trovo proiettato già dentro l’azione senza sentire alcun disagio nel non sapere (ancora) quasi nulla del nostro eroe e degli altri personaggi. Quand’è così significa che la struttura funziona e se dopo poche strisce ti trovi già a parteggiare, fare il tifo, ridere tra te e te e deliziarti, significa che tutto quanto funziona perfettamente e tutto s’incastra e s’incastrerà come e dove deve.

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La struttura delle strisce è perfettamente regolare senza eccezioni: tre vignette per striscia.
[A questo proposito: a corredo di questo scritto ho scelto di “spezzare” le strisce in due vignette per permettere una maggiore visibilità del tratto. L’unica striscia che ho lasciato intonsa è l’ultima giù in basso, che infatti risulta meno “visibile” a causa delle dimensioni di questa pagina web.]

Il segno di Latella, tecnicamente completo e ineccepibile, è una linea chiara molto piacevole, molto espressiva (ottime le espressioni facciali dei personaggi) dinamica quanto basta, con un parsimoniosissimo uso delle linee cinetiche e, in definitiva, ideale per le strisce di Frank Carter. Non solo i personaggi, ma anche gli interni, gli esterni e gli oggetti sono tratteggiati con gran cura e quella “via di mezzo” tipica della linea chiara che rende il tutto tra il realistico e il cartoonesco. Con gran gioia di me lettore.

Frank Carter – Avventure di una spia per casoè una lettura estremamente piacevole e divertente, spensierata nella migliore accezione del termine e, in definitiva, consigliata a tutt* senza eccezioni. Buona lettura!

Orlando Furioso

 

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