Giorgio Rebuffi: "DIRE SEMPRE QUEL CHE SI PENSA, MAI CAGARSI ADDOSSO...!"
continua suOTTAG
di
Stefano Alghisi
vol. brossura con bandelle,
grande formato, 48 pag, b/n
euro 14
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“Ciò che gli altri chiamano spazzatura
è il nostro tesoro”
Dopo tanta ripetitività (da parte mia), finalmente uno scritto che finirà in modo diverso dagli altri.
Avete presente, no?: “…e infine, consiglio questo albo/volume a chiunque ami il Fumetto blablabla…”
Inoltre questa volta vi chiedo anche un favore personale e a secondo dello sforzo che proverete nel farmi – o meno - questo favore, questo scritto acquisterà un senso, o meno: prima di continuare a leggere, o mentre leggete, se volete ascoltate questi tre brani. A volume alto, che ve lo dico a fare:
Li avete ascoltati?
E’ Rock’n’Roll.
QUESTOè Rock’n’Roll, non il rockettino edulcorato che passa(va) su (e)m(p)t(y)v, prodotto dall’industria – non dalla creatività e dalla disperazione – prodotto e trattato come merce e come tale consumato.
Niente di male se vi piace “quel” rockettino, a ognun* i propri gusti, a ognun* quel che si merita (sia inteso – davvero - nel modo più positivo possibile).
Ma è bene sapere bene come stanno le cose e cosa stiamo mangiando: quello non è rock(‘n’roll); QUESTO che avete (forse) appena ascoltato E’ Rock’n’Roll.
Avete provato un senso come di disagio?
Va bene!
Ma quel disagio vi sussurrava “oh no, io non c’entro con questa roba!”?
Va bene lo stesso; significa solamente che il Rock’n’Roll non è roba(ccia) per voi.
Niente di male.
A ognun* ciò che si merita. Sempre nel senso più positivo possibile.
Il Rock’n’Roll, dichiarato morto ogni quinquennio circa, per qualcuno è dannazione, per qualcuno è salvezza, per qualcuno è entrambe le cose, per qualcuno è una “corrente della musica popolare” già fuori moda nella seconda metà degli Anni 50, per la maggioranza della popolazione è un genere musicale dal quale è stato incidentalmente e a malapena sfiorato.
[Per me, se non fosse chiaro a sufficienza, il Rock’n’Roll - nelle sue sfaccettature meno “commerciali” – è uno dei motivi per vivere e uno dei più importanti leit-motiv della mia vita. E’ dentro di me da quando avevo 5 anni, non mi lascerà fino al mio ultimo giorno. Pare retorica, non lo è.]
Parliamo di nuovo di una Casa editrice con la quale negli ultimi mesi ci siamo reciprocamente coccolati molto, a ragion veduta.
Un altro bellissimo volume targato MalEdizioni. [abbiamo parlato di altri volumi editi da questa Casa editrice QUI, QUI e QUI]
Nessuno, a meno che non sia in malafede, può sostenere che il Rock’n’Roll sia “solo musica”: esso è soprattutto un’attitudine e l’estetica Rock’n’Roll comprende, oltre alla musica, il cinema, l’abbigliamento, il binomio “sex and drugs”, le motociclette… molte cose sono o concorrono a formare il Rock’n’Roll e tra queste non mancano certo i fumetti.
Stefano Alghisi[1] ha prodotto un – ripeto: bellissimo! - volume di Rock’n’Roll a Fumetti.
Ci ho messo qualche minuto a ricordare dove avevo già visto, e apprezzato, quel tipo di disegni, quello stile e infine mi è sovvenuto alla mente: su una bellissima – quindi naturalmente defunta – rivista musicale che adoravo (evidentemente però non eravamo in abbastanza ad adorarla, visto che appunto defunse) che si chiamava Bassa Fedeltà, ricordo confermato infine dalla bandella della quarta di copertina. La prefazione del volume è infatti di Luca Frazzi che di quella rivista era l’anima principale.
Il quarantacinquenne Alghisi conosce bene la materia di cui scrive e disegna, visto che egli stesso è un musicista e, soprattutto, ama il Rock’n’Roll: lui per primo avrà certamente saputo che sarebbe stato perfettamente inutile, e forse anche un po’ naif, realizzare una “biografia” dei Cramps, dei Gun Club e dei Birthday Party.
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Per il volume Il Porto delle Anime l’autore Stefano Alghisi ha scelto tre band che a modo loro hanno ri-definito il concetto di “seminale” nell’ambito del Rock’n’Roll e che, probabilmente non per vocazione ma per “sfiga” ed eccessi vari, non sono stati esattamente baciati da quello che in ambito musicale viene chiamato “successo”. Tre band di culto, come si suol dire, che probabilmente hanno avuto più diffusione e riconoscimenti dopo la morte, o nel caso di Nick Cave ex Birthday Party la “conversione”, dei loro leader, che non quand’erano attive sulla scena musicale. Lux Interior dei Cramps e Jeffrey Pierce dei Gun Club hanno da tempo lasciato questo mondo (Nick Cave ha invece lasciato il Rock’n’Roll per approdare a musiche certamente più fini e signorili, buon pro gli faccia).
Per inciso: il volume contiene anche l’anima di un quarto elemento, il cantastorie italiano Sigfrido Mantovani, di cui prima della lettura del volume non avevo mai udito il nome e di cui quasi nulla so ancor oggi. Anch’egli probabilmente era Rock’n’Roll prima ancora dell’invenzione dello stesso.
Dicevamo: no “biografie”; per avere quelle basta qualche click in rete; no “biografie” perché Stefano Alghisi ha fatto ben di meglio: ha catturato in un vero e proprio atto magico– qual è sempre il fumetto quand’è riuscito nel suo intento – le anime dei e delle (punk)rockers e le ha trasposte su carta, per la gioia di chi sfoglierà questo volume e vi ritroverà la parte oscura della propria anima.
E’ questione di scelte.
Mentre leggevo e guardavo Il Porto delle Anime– e mi commuovevo, perché per me il Rock’n’Roll è ancora e sarà sempre fonte di commozione– ho avuto l’impressione fortissima che i morti ivi disegnati avrebbero fortemente approvato.
Quando ascolto (quel)la musica ho la sensazione che chi sta cantando e suonando stia “parlando” direttamente a me e, in qualche modo, “vedo” le loro facce che si contorcono nello sforzo e nella passione del suonare: stessa sensazione provata leggendo e guardando il volume di Alghisi, brividi lungo la spina dorsale compresi.
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I neri pieni e spietati dell’autore dipingono senza veli né edulcoramenti “poetici” (non ce n’è bisogno: il Rock’n’Roll è una delle forme della poesia!) quei brutti volti e quei corpi sfatti e sensuali, sempre malinconici e pieni di passione e di disperata vitalità che fa a cazzotti con un irrefrenabile impulso di morte. Eros e Thanatos, certo. Nessuno l’ha mai negato.
Racconti di vita, descrizioni di amici, sodali o fidanzati/e, si alternano a brani di testi di canzoni malate che così spesso (sempre) parlano di sesso, droga e morte. In forme tutt’altro che banali, s’intende [2].
In “forme tutt’altro che banali” sono anche i disegni di Stefano Alghisi, dei cui neri pieni ho già detto: tutto il volume pare galleggiare in un liquido denso e viscoso, nero ovviamente, e quei volti, quei primi piani così poco indulgenti, ma dannatamente appassionati, sono quasi tridimensionali.
Il grande formato del volume facilità le soluzioni grafiche dell’autore che usa sì anche le vignette (è un fumetto baby!) ma con grande libertà e facendo spesso strabordare i disegni dell’una nell’altra vignetta, o nelle altre vignette.
Lo stile è fluido, morbido nonostante il soggetto trattato, direi lucido; certamente influenzato da Robert Crumb e da certo underground (americano) e dalle bellissime fanzine che fino alla fine degli Anni 90 erano ancora una realtà florida ora amarissimamente rimpianta.
Uno dei numerosi motivi che, da un punto di vista squisitamente grafico e del disegno, mi fa letteralmente adorare questo volume è l’evidente - e così meraviglioso - horror vacui di cui “soffre” l’autore: ogni spazio è riempito, ogni cosa persona pensiero ha la propria nera e spessa ombra e tutto è dipinto con enorme cura, una sorta di anti-ligne claire che suscita l’effetto di incantare me lettore che mi vado a soffermare su tutti i particolari con un effetto emotivo potente e di grande coinvolgimento.
Altre cose che amo moltissimo e che contribuiscono a rappresentare la cifra stilistica de Il Porto della Anime sono l’alternanza tra la forma grafico-narrativa didascalica e quella biografica intersecate con gli interventi “diretti” dei protagonisti e di vari personaggi, le diverse voci che si alternano, l’interpretazione delle liriche dei brani che varia graficamente di volta in volta, il simbolismo esoterico ed exoterico delle cose e della loro disposizione…
Il volume è una messe di “cose” profondamente significative sia dal punto di vista narrativo che da quello grafico, è bellissimo e vibrante come se dalle pagine di carta uscissero veramente i suoni sporchi e grezzi del Rock’n’Rollè una festa per gli occhi e per le anime (punk)rock
Ed ecco, finalmente dopo anni di “finali” tutti uguali, qualcosa di diverso.
Non consiglio Il Porto delle Anime a “chiunque ami il buon fumetto e blablabla”: anzi, anime candide e certamente più felici di me stiano ben alla larga da questo volume. Il rischio è quello di graffiarsi l’anima con un qualcosa di bellissimo, ma potente e ingovernabile e che, una volta entrato nel sangue, rischia di non uscirne più. La contaminazione da Rock’n’Roll non avviene solo attraverso l’ascolto o la musica. Il Rock’n’Roll è qualcosa di molto più grande di una canzone e una scintilla potente della sua vera essenza la si può trovare anche in questo fumetto.
Non so se Stefano Alghisi avrà modo di saperlo, ma lo ringrazio personalmente per avermi aiutato a ricordarmi chi sono davvero e per aver aggiunto un altro graffio alla mia anima.
Note:
[1] Il link non porta all’account fb di Stefano Alghisi e nemmeno al suo blog: Alghisi non ha un account fb né un blog né un sito né twitter né pinterest o instagram o… Segno che la vita è possibile anche oltre il virtuale.
[p.s. Neppure Alan Moore, lui in persona e con tutto il rispetto, possiede un account fb né un blog. ]
[2] E’ davvero necessario sottolineare che non è necessario essere drogati o aspiranti suicidi per amare alla follia il Rock’n’Roll?…
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“Che vuol dire che non ci capite niente?!…
Non percepite l’angoscia che prende tutti?!…
Dev’essere eliminata subito!” (Soil)
Un commento, un po’ lunghetto, all’articolo di Salvatore Giordano su Retronika
La “colpa” delle righe che seguono è di Salvatore Giordano che con uno interessante scritto sul suo ottimo Blog Retronika che vi invito caldamente a leggere prima di continuare qui, mi ha punto sul vivo, mi ha fatto pensare e riflettere. Non c’è alcuna garanzia sul fatto che i pensieri prodotti siano tutto questo granché.
Ma tant’è.
Lo scritto che segue è di molta emotività e di molto disordine formale e, come detto, coglie il pretesto il rispondere a Salvatore Giordano (del cui ottimo, ottimolibro abbiamo entusiasticamente parlato QUI): avevo cominciato con un normale “commento” sul suo Blog, ma la cosa prendeva un po’ troppo spazio e così eccoci qui. Col solito ritardo.
In genere non entro in “certi argomenti”, sono delicati, c’è sempre qualcuno che si offende, non mi sento abbastanza preparato, non sono sicuro se le mie idee possano essere minimamente stimolanti e/o interessanti… ecc.
Inoltre da qualche anno mi sono rivestito di un certo “buonismo” che comincia a starmi stretto... anche se temo che se dicessi senza filtri quel che penso riguardo certi fumetti/autori, qualcuno mi verrebbero ad aspettare alle fiere per suonarmele.
ma su questo (sul buonismo, non sull’incremento dei muscoli per rispondere meglio alle botte) ci sto seriamente – e intendo dire davvero seriamente – lavorando.
Leggo fumetti da 50 anni e li compro da circa 45 e anche sebbene in tutti questi anni sia restato tutto sommato abbastanza ignorante in materia (onesta auto-consapevolezza) sono pur sempre un lettore, anzi un forte lettore, uno che ha speso migliaia e migliaia di euro in fumetti.
Diciamo che non foss’altro che per meriti di militanza cinquantennale, mi spetta il diritto di parola e me lo prendo. Una parola disordinata come al solito, ma con idee mie, condivisibili o meno che siano, ovviamente strettamente personali.
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Nostalgia
Purtroppo noi "vecchi" siamo affetti da nostalgia: accettiamolo, è così, nulla di male, ma accettiamo anche il fatto che questa nostalgia inevitabilmente falsa un po' le nostre percezioni, le nostre idee, il nostro vivere e sentire il Fumetto e i fumetti.
Concordo con molte delle cose che ha scritto Salvatore, ma necessito anche di fare subito atto di onestà e concordare anche con quanto saggiamente scrive Luca Lorenzon nei commenti all’articolo di Salvatore [QUI]: La Grande Epoca d’Oro del Fumetto come ce la immaginiamo noi (vecchi) probabilmente non è mai esistita; molti/e fumettisti/e dell'epoca d'oro avevano da campà proprio come adesso e probabilmente avessero potuto avrebbero fatto ben altro.
Credo che cominciare a smettere di mitizzare l'Età dell'Oro, o meglio: smettere di pensare che la nostra versione di quell’Età sia l’unica versione autentica, ci farebbe un gran bene. A noi vecchi.
Ciò non significa negare che "in quell’Età" siano stati creati parecchi capolavori, perché è obiettivamente vero. (Così com’è vero che “una volta” era anche pieno di fumetti spazzatura.)
Nel frattempo il Fumetto si è trasformato, è cambiato così come "l'indotto" che ci sta intorno.
Cose che un tempo funzionavano ora sono improponibili: una delle ipotesi che fa Salvatore nel suo scritto – rivista a fumetti bella spessa a a bassissimo prezzo, stampata su carta da culo e con la massima diffusione possibile – è stata uno dei miei pezzi forti per anni. Non capivo perché nessuno, coi giusti e necessari mezzi, non si affrettasse a realizzare questa idea così geniale! In Giappone lo fanno da decenni e funziona!
Poi, un giorno, qualcuno ci ha provato a realizzare un qualcosa del genere, e ovviamente il progetto è fallito immantinente.
Pare che niente venda sul serio oggi, vero?
...e mi viene in mente Sio che col suo Scottecs ha venduto più di qualsiasi altro fumetto “storico” e allora vedo che tutti i nostri discorsi di “alta filosofia fumettistica” e “ci vorrebbe questo o quello” vanno a finire nel cesso. Ed è segno di grande onestà la dichiarazione, la confessione di Salvatore, ossia di non avere ricette da proporre. Così penso anch’io.
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Quindi rinunciamo volentieri a fare i profeti, perché la realtà smentisce sempre i profeti (così non fosse saremmo già nel regno di dio!).
Ma - magari evitando il più possibile pregiudizi stizziti o “tifo da stadio" - continuare a lamentarci è doveroso e sacrosanto. Specie se la cosa non si limita a quello, ossia alle pure e semplici lamentele. Lamentarsi, essere insoddisfatti, è segno di vitalità, è segno che teniamo davvero all’oggetto di cui ci stiamo lamentando.
Sempre evitando, per quanto umanamente possibile (e a secondo dell’età che abbiamo) i pregiudizi e il tifo da stadio o l’odio da social.
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Carta buona
Il fumetto cambia e penso che ostinarsi a credere che il Fumetto Sia Solo Quello Su Cartaè una grandissima - posso dirlo? - sciocchezza (avevo scritto “cazzata” ma pensavo fosse un termine tropo forte).
O vogliamo fare come quelli/e delle “Graphic Novel” che “il Fumetto è Arte, e finiamola di continuare a chiamarlo con quello schifo di nome che ricorda i giornalini che poi non ce lo candidano al premiostacippa”, ossia decidere a priori cosa sia buono e cosa no? Carta buona, tutto-il-resto cattivo e via di clavate sulla testa? Ma per carità, no!
Ovviamente siamo liberi di preferire quello che vogliamo, e ci mancherebbe, quindi se per te evviva la carta, evviva la carta tutta la vita!
Ma da qui a ostinarsi sul “i veri fumetti sono solo quelli su carta” beh, no, ma proprio no!
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Io penso che i fumetti siano il medium, che non è fatto solo dal supporto. Amo la carta come tutt* voi e non voglio apparire più “aperto e moderno” di quanto non sia. (Tra l’altro: amo anche le foreste e gli alberi.)
Amo i fumetti, e sostanzialmente se un fumetto mi piace non mi frega granché del suo supporto. E ritengo che la scelta elettronica in certi casi sia più ecologica/economica e maggiormente praticabile.
Ehi: lì fuori è zeppo di fumetti non-di-carta (tipo sul web) e moltissimi di essi sono bellissimi! (Non me la tiro eh: li ho scoperti da, tipo, due giorni e mezzo)
Poi, per carità, ognuno ha i feticismi che vuole e che si merita.
E’ un po’ come chi rimpiange i bei vecchi cari adorati quelli sì che erano tempivinili: ma certo, ho avuto anch’io tonnellate di vinili e per decenni ho ascoltato musica solo su vinile (li ho venduti tutti per pagarmi il primo viaggio in India, per la cronaca. Mai pentito. Vedere l’India coi miei occhi valeva tutti quei vinili. E, credetemi, amo la musica alla follia, forse più di quanto ami i fumetti… [1]), ma la solfa è cambiata, così come non ci sono più le carrozze a cavalli, e pazienza, viaggiamo lo stesso, no?! Ci sono i cd, gli mp3 e presto probabilmente ci saranno altri tipi di supporto. Ma la buona musica mica smette di essere prodotta. E soprattutto, le sensazioni che mi provoca un buon brano musicale sono indipendenti dal supporto con cui lo ascolto.
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Edicola
A differenza di Salvatore io sono felice delle millemila ristampe di Kriminal, Alan Ford, Phantom, Mandrake etc. che invadono le edicole, perché non li ho mica più tutti quei fumetti (che avevo da giovane) e personalmente sono ben felice di ri-averli. Ciò mi ha anche permesso di scoprire che alcune cose che consideravo eccelse all'epoca, ora mi sembrano un po' meno eccelse, ma va benissimo anche questo! Ben venga tutto ciò che mi stimola consapevolezza.
Insomma: le edicole non traboccheranno di fumetti come negli Anni 70– che peraltro sono finiti da un pezzo - ma non possiamo dire che in giro non ci siano fumetti che costano meno di 30 euro. Che piacciano o meno a noi vecchietti, è poi un altro discorso.
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C’è la Cosmo per esempio, Casa editrice della quale per ora non leggo nulla, sempre per la serie che tutto non si può leggere/comprare, ma che sta comunque “invadendo” le edicole con prodotti, se non sbaglio, di buona qualità (qualcun* conferma?) quindi: evviva!
C’è Disney-Panini, che sta inondando le edicole di, secondo me, ottime ristampe (me le sto proprio godendo, detto tra noi!).
Marvel e DC Comics sono tutt’altro che scomparse dalle edicole e, pregiudizi a parte, alcune delle storie proposte da questi due colossi americani sono tutt’altro che disprezzabili! (Certo: per saperlo bisogna leggerle, quelle storie. Oppure possiamo continuare a lamentarci che l’Uomo Ragno non è più quello di quando avevamo 12 anni e tenere il broncio; come ci pare.)
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Ci sono i manga della Star e di altre case editrici, c’è Bonelli e chissà quanta altra roba mi sto dimenticando!
Tornando un momento alla Cosmo: che sia “materiale francese non recentissimo” che importanza ha? Non amiamo noi per primi i fumetti “vecchi”?
E se queste “storie non recentissime” riuscissero a contagiare altri lettori e lettrici, non sarebbe una bella cosa?
Perché lamentarci che non si trovano i fumetti “vecchi” e contemporaneamente lamentarsi perché, invece, si trovano, mi pare un pochettino contraddittorio.
Sappiamo che i fumetti, ora come ora e anche per quanto detto fin qui, non sono più tutto questo giro di affari da centinaia di migliaia di copie vendute, quindi ci piaccia o no sono diventati un genere di lusso, non certo una cosa popolare alla portata di tutt*.
Ecco allora che i generi di lusso vengono giustamente venduti nei negozi di lusso. E' così, è l'economia, è la crisi, è il capitalismo, è quello che volete, ma per ora non se ne esce.
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Fumetteria
I fumetti sono diventati costosi, dice Salvatore nel suo scritto (attenzione a dove fai questa affermazione! In certi “forum” o blog dire che i fumetti costano troppo equivale a farsi lapidare pubblicamente ricevendo nel contempo minacce di morte! Pensi che stia esagerando? Prova di persona, poi mi dici…) ed è vero. Infatti tutto ciò che non è prettamente “popolare” diviene costoso.
Sui volumi "di lusso", caro Salvatore, posso capirti benissimo.
Figurati che in un mondo dove per la maggior parte delle persone conta solo il denaro, io hoscelto di fare il part-time e quindi di avere lo stipendio diminuito di duecento euro al mese, figurati quindi se non capisco la questione denaro-ce-n'è-poco risparmiamo almeno sui fumetti!
Però alcuni (moltissimi a dire il vero) di quei “volumi da 30 euro” che fanno arrabbiare Salvatore, sono semplicemente bellissimi e mi fanno godere come nessun "Piripacchiolino" potrebbe mai fare.
Per ora io mi tengo volentieri i volumi da 30 euro (quando posso...) e spero anche in una rinascita e/o ristampa decente di "Piripacchiolino",certamente, anche se la vedo dura assai.
Però tieni conto che oggi come oggi, prezzo escluso, il volume da 30 euro è "di nicchia" né più né meno di "Piripacchiolino".
Perché il fumetto non è più popolare, appunto.
Non può esserlo.
“Popolare” è un qualcosa che tutti conoscono e che moltissime persone amano (e comprano, o meglio consumano). Ma non è, a mio avviso, garanzia automatica di qualità (anzi, personalmente penso che spesso sia proprio il contrario…). Le telenovelas brasiliane sono popolari, per dire.
E comunque, ripeto, nonostante la crisi e la torta piccola e i volumi costosi e tutto quel che si vuole, le fumetterie traboccano di fumetti bellissimi! Manga, bedè, supereroi, storie autoconclusive, ristampe, storie serissime, tristi, allegre, horror, profonde, sciocchine, albi, albetti, volumi, volumoni, volumetti e tankobon… ecc. ecc. Dire “ce n’è per tutti i gusti” non è un azzardo né retorica, ma la pura verità.
Non posso far finta che tutto questo ben di dio, spesso sceneggiato benissimo e altrettanto benissimo disegnato, non esista.
Per tacere dei prodotti underground e/o di piccole o piccolissime Case editrici, spesso bellissimi e che, magari con un po’ di insistenza, si possono ordinare anche tramite la propria fumetteria di fiducia. Fumetti ben presenti nella realtà fumettistica italiana, ma dei quali si parla ancora troppo poco.
Non posso, però, ignorare che molto spesso è proprio nei momenti di crisi che “il prodotto” subisce un’impennata nell’offerta. Non sempre sostenuta dalla domanda. Non sono economista né sociologo, quindi non azzardo previsioni, non so come andrà a finire. Ma un qualcosa mi dice che, con buona pace di tutt*, tra non molto i fumetti cartacei diverranno da un lato prodotti di super-nicchia e ancora più costosi di adesso, dall’altro, con la proliferazione dei fumetti sul web, incredibilmente più diffusi, anche se con una concezione radicalmente diversa da quella che noi vecchi babbioni diamo ad essi.
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Dei fumetti per bambini e bambine sono egoisticamente poco preoccupato, non ho figli/e, i miei nipoti (figli di fratelli e sorelle) si avviano tutti verso la quarantina; inoltre non sono un fanatico della perpetrazione della specie ad libitum, quindi …
No, ok, scherzavo, dai. Sono perfettamente cosciente del discorso sui lettori del futuro ecc. ecc. Sono d'accordissimo. Evviva i fumetti per bambini. Ce ne fossero…
Dice Salvatore che Adventure Time e Spongebob dovrebbero trovarsi in edicola e non a prezzi esorbitanti in fumetteria. E questo suo desiderio potrebbe essere largamente condiviso. Sempre che detti fumetti abbiano una chance di sopravvivere in edicola, però. E sempre che – e su ciò ho qualche dubbio – siano davvero fumetti per bambini. (Il fatto che i due sopra citati a me piacciano moltissimo è in effetti una prova a sostegno che siano veramente fumetti per bambini…)
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Momento autobiografico: io da bambino leggevo i fumetti dei bambini e quelli degli adulti e la mia comprensione arrivava fin dove arrivava, ma sono dannatamente convinto che l’aver passato così tanto tempo a leggere volumetti o strisce o intere riviste delle quali capivo poco o nulla sia stato tutt’altro che tempo “sprecato”. Capivo quel che potevo capire, o quel che volevo capire: era la mia fantasia a fare il resto. Non sono così convinto che ai bambini e alle bambine bisogna per forza dare prodotti ad hoc.
A parte robe di sesso o troppo macabre o troppo cupe, io non negherei a bimbi e bimbe nessun fumetto. Ma, appunto, non ho né bimbi né bimbe cui far leggere i miei fumetti.
Comunque, preoccupatevene voi che avete figli, a me la cosa non riesce a preoccupare più di tanto.
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Personaggi/e che “bucano” o del perché non “bucano”
Del perché oggi nessuno riesca oggi a creare un personaggio/personaggia che "buchi" è colpa di molti fattori. Prima di tutto dei tempi.
Non esiste più l’ "andare a bottega", quindi praticamente chiunque, purché con un ottimo seguito sui social o sul proprio blog, può sperare di diventare un Grande Autore. E vendicchiare quel poco che basta a montarsi la testa, tanto i "fan" (termine che non necessariamente coincide col termine “lettori”; non sempre “fan “ e “lettori” sono le stesse persone) saranno sempre dalla loro parte e li supporteranno per l'eternità. O almeno fino a che non scopriranno dei fumetti migliori. O finché non si faranno la fidanzata. O il fidanzato.
L’andare a bottega è stato sostituito con i corsi di fumetto: ce ne sono ovunque in tutta Italia. In alcune di esse, si vocifera, insegnano persone che mai in vita loro hanno pubblicato un fumetto per una vera casa editrice. Ma certamente saranno tutte malignate messe in giro da gente invidiosa. O dalla concorrenza.
A mio parere un’altra importante causa dell’attuale impossibilità a creare un/a personaggio a fumetti che “buchi”, è dovuta al “clima” generale che investe totalmente l’immaginario collettivo (e di conseguenza individuale).
Cerco di spiegare cosa intendo: molto del fumetto “dell’Epoca d’Oro”, quello che ha fatto (o per lo meno ha iniziato) La Storia, derivava da un clima generale proiettato verso il futuro, un clima in un certo senso di speranza e di ottimismo. Erano “sensazioni” grandemente imposte, certamente, ma pur tuttavia ben consolidate nell’immaginario collettivo del principale Paese produttore di personaggi più o meno immortali dei fumetti: gli Stati Uniti d’America.
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Nella Golden Age del fumetto erano più o meno ancora vive determinate atmosfere ed epopee: la Frontiera, il West, il Futuro, la Conquista, la Fantascienza e, contemporaneamente, una gran voglia di ridere o, all’opposto, di terrorizzarsi con forti emozioni.
Ciò a mio parere ha favorito la creatività e la conseguente creazione di vere e proprie icone a fumetti che sopravvivono ancor oggi.
Restando più vicini alla nostra realtà, comunque inizialmente più che influenzata da quella statunitense, i meccanismi furono un po’ diversi: negli Anni 60 infatti furono principalmente gli intellettuali (di sinistra) a rendere il fumetto (americano in primis) fenomeno culturale degno di attenzione, di studio e di stima, oltre che fonte di piacere estetico ed emozionale.
Ma a parte ciò, l’atmosfera italiana, fino a poco dopo gli Anni del Boom economico poteva essere più o meno paragonata a quella americana.
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Oggi?
Avete presente “l’atmosfera” odierna?
Oggi che essere un po’ intelligenti e critici è una cosa da sfottere, quando non da disprezzare; oggi che conta solo l’avere e l’emergere a discapito altrui; oggi che qualsiasi valore che non sia quello da “furbetto del quartiere” (quando va bene) è considerato roba di cui vergognarsi; oggi che sotto sotto sentiamo tutt* – e probabilmente a ragione -di essere sull’orlo della distruzione; oggi che i “miti” durano il tempo di stufarsi dei “click” sui social network…
Ma quali “personaggi che buchino” pensiamo di poter creare, oggi?…
E'“colpa” anche del fatto che oggi la torta dei fumetti è sempre più piccola e affollata, le fette da spartirsi sono sempre più piccole e quindi la guerra non può combattersi sul fronte della qualità, ma di quello della quantità e della rapidità, visto che la nostra memoria storica è stata azzerata da qualche anno (per scopi ben precisi, ma lasciamo perdere la politica). Quindi vai di miniserie. Poche, maledette e subito. E – opinione personale - la maggior parte sono anche brutte. Non piangerò per il fatto che finiscono presto!
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Dice Salvatore: "L'ondata di miniserie pare confermare che neanche gli stessi creatori pensano che i characters della loro recente saga possano sopravvivere più di una decina di numeri." e concordo anche con le virgole! Oh eccome se gli autori/autrici sanno che di quei personaggi ce ne dimenticheremo in meno di due secondi! Come dicevo, l'importante è "pochi, maledetti e subito". E posso capire: avessi un'azienda, vorrei anch'io determinate garanzie.
Inoltre, come sopra, di autori/autrici veramente in gamba disposti a prendere 4 soldi a tavola non è che ce ne siano una valanga. Ed è anche normale che una casa editrice, con la crisi che c'è e le vendite che latitano, non sia disposta a pagare più di 4 soldi con zero garanzie in cambio!
Beh, magari evitiamo di trattenere il fiato mentre aspettiamo la creazione di personaggi/e che restino, perché non succederà, perlomeno non a breve e rischieremmo di morire soffocati.
Forse Rat-Man sarà l'eccezione, ma chissà...
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La colpa delle colpe
Ma alla fine delle fini, la colpa delle colpe, la colpa colporum qual è?
Dovrebbe essere tutto colpa della mancanza di lettori/lettrici giusto?
E di chi è la colpa della diminuzione di “consumatori” di fumetti?
Dovrebbe essere dei videogiochi, di internet, di youporn, della pirateria, dei dvd, dei blu-ray, della droga e della musica rock, giusto?
Io, onestamente, non so proprio di chi o di cosa sia la colpa. Però mi è venuto in mente questo pensiero: avete presente quegli aggeggi per la “visione stereoscopica”? Al Museo del Cinema di Torino ce ne sono un sacco, tutte bellissime. Molte facevano parte di collezioni private; certo, non erano magari un fenomeno così di massa, però c’era chissà quanta gente ci andava matta. E un giorno, o meglio pian piano, scomparvero. Ora si trovano nei musei.
Sono sparite perché ad un certo punto, forse, non avevano più motivo di esistere. Chissà quanta gente ci sarà rimasta male: allora non c’erano i social, altrimenti chissà quante pagine sarebbero state aperte “Per la salvaguardia degli aggeggi per la visione stereoscopica”, con tanto di petizioni da firmare online e blog dedicati. Chissà.
Eppure quegli aggeggi hanno semplicemente smesso di esistere.
Forse un giorno spariranno anche i fumetti. O forse spariranno i fumetti così come li abbiamo conosciuti noi perché saranno diventati un’altra cosa. Più bella o più brutta, chi può dirlo?
Nel frattempo, buone letture!
…a ancora grazie di cuore a Salvatore Giordano!
Note:
[1]…ma allora PERCHE’ non ho aperto un blog musicale???? PERCHE’???… Non lo sapremo MAI.
“Con brio, allegria, competenza e passione […] Fabio mi ricorda […] che devo ancora accogliere nei miei archivi mentali amici di carta ormai impazienti di essere conosciuti. […] E allora ti accorgi che questo libretto è una macchina del tempo, fatta appositamente per te […].”.
"Il fumettista Sam Zabel è in preda al peggior blocco creativo della sua vita. Odia le storie di supereroi che scrive. Un giorno trova un misterioso fumetto ambientato su Marte e tutto ciò che credeva di sapere ne sarà sovvertito."
[dalla quarta di copertina - Bao Publishing]
Zero e Uno Emilia
di Biro di Fabio Bonetti
vol. brossurato vol. brossurato
grande formato 29x21 con bandelle
32 pag., colori 64 pag., 4 colori
euro 12 euro 15
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Forse vi ricorderete che proprio un anno fa su queste stesse pagine vi parlavo della Casa editrice MalEdizioni, in termini abbastanza entusiastici.
Ebbene con queste due uscite della Casa editrice bresciana l’entusiasmo è ulteriormente aumentato. Parecchio, anche.
Ho scelto di parlare nella stessa pagina di Zero e Uno e di Emilia non perché questi due fumetti [1] o i loro autori debbano avere necessariamente qualcosa in comune, ma solo perché entrambi sono pubblicati dalla MalEdizioni, perché li ho letti a brevissima distanza l’uno dall’altro e perché entrambi mi sono piaciuti moltissimo.
(…e per sollevarmi un pochino dal senso di colpa che provo per non aver scritto niente da parecchi giorni…)
Zero e Uno
“Una fiaba nera e malinconica sull’emarginazione, l’amore mterno e il conformismo, che ci pone la domanda: fin dove siamo disposti a spingerci per farci accettare dagli altri?”
(Dalla quarta di copertina di Zero e Uno)
Lanciata la proverbiale moneta, comincio a parlarvi di Zero e Uno, opera di Biro, bresciano classe 1974 e con un curriculum extra-fumettistico decisamente notevole.
Infatti la caratteristica che mi ha più colpito in questo volume di grande formato è la straordinaria perizia tecnica di Biro, le cui vignette pare escano fuori per venire incontro ai nostri occhi. Il taglio tridimensionale dei disegni, la scelta di inquadrature inusuali e di prospettive da vertigine (letteralmente da vertigine sono la quarta e la quinta tavola della storia!) fanno capire che si tratta di un lavoro in cui nulla è lasciato al caso, profondamente meditato e voluto. La resa grafica infatti è perfetta e sfogliare il volume diventa una gioia per gli occhi. A cominciare da una copertina in cui si fondono disegno fumettistico e grafica, design; una copertina in cui non solo vengono presentati i principali attori della commedia nera che ci aspetta, ma che – riguardata a fine lettura del volume – dice molto più di quanto non sembri…
Lo stile di Zero e Unoè in un certo senso spiazzante, in quanto l’autore mescola in modo sapiente iperrealismo e personaggi rappresentati in modo cartoonesco: non voglio dire che questo tipo di commistione sia nuova o particolarmente originale, ma il modo in cui Biro abbina ad ogni personaggio una spiccata dualità, rende Zero e Uno un’opera, e una lettura, particolarmente intensa. Mi hanno inoltre colpito molto le ombre, curate da Biro con molta attenzione: esse sono parti importanti della storia e contribuiscono in modo determinante all’atmosfera nera e duale della storia.
Dualitàè per me una delle principali chiavi di lettura di questa storia così intensa, che vede coinvolti un bimbo, Geremia, la sua mamma, un inatteso trasferimento, una scuola nuova e dei nuovi compagni e insegnanti e un “dolcissimo cagnolino” che Geremia chiamerà Uno.
Dualità, perché in questa fiaba nera e malinconica nulla è (solo) ciò che sembra, ogni cosa, ogni persona(ggio) nasconde un’ombra che solo leggendo fino alla fine si potrà scoprire se nera e malvagia o candida e pura o ancora disperata in un eterno bilico.
Geremia, nonostante sia ancora troppo piccolo per farlo, dovrà effettuare una scelta dolorosissima, la scelta peggiore che si può chiedere a un bambino e nessuna delle conseguenze della sua scelta sarà minimamente prevedibile.
Zero e Unoè una storia che tocca nel profondo e tocca corde dolorose, ma è pur sempre una fiaba e conserva in sé il senso di meraviglia, stupore e desiderio che ogni fiaba riuscita deve avere e trasmettere. E’, questo, un volume da leggere e rileggere dopo qualche giorno non tanto per, come troppo spesso si dice retoricamente,“scoprire cose che non si erano viste/percepite alla prima lettura”, quanto piuttosto per scoprire dentro di noi che leggiamo, cose nuove, sentimenti e prese di posizione che alla prima lettura non abbiamo fatto emergere.
Volume consigliatissimo, stupendo.
Emilia
“Dodici microstorie sospese tra ironia e malinconia che mettono al centro il tema della cura tra generazioni”
(Dal risvolto di copertina di Emilia)
Emilia, di Fabio Bonetti, modenese nato nel 1981, è un volume composto da dodici microstorie che hanno per protagonisti una nonna, Emilia appunto, della quale è impossibile non innamorarsi immediatamente, e suo nipote.
Si potrebbe pensare: cosa c’è di meno attraente, cos’ha meno appeal di una nonna e suo nipote? Certo, c’è il precedente di Cappuccetto rosso, ma in quella fiaba, se ci pensate, la nonna ha più una funzione simbolica che altro (oltreché una funzione gastronomica per il lupo), ma in realtà non ha quasi parte nella celebre fiaba.
Emilia invece è una nonna, e direi soprattutto una donna, assolutamente vera e piena di cose, ricordi, sentimenti, giudizi, amore, rabbia e buonsenso.
Purtroppo per lei, Emilia non è esattamente in perfetta salute, ma ciò non le impedisce di esercitare sempre, comunque e in ogni situazione, la sua dignità e il suo essere persona.
Detta così, come ho fatto qui sopra, pare di trovarsi di fronte a un trattato politico sulla dignità delle persone anziane… e forse, in parte, è anche così, ma la cosa più importante è invece che in questo volume troviamo delle storie, brevi e bellissime, che si attanagliano al cuore e commuovono molto lasciandoci dentro un miscuglio intenso di sorriso e malinconia e tanta partecipazione.
Una delle cose che più ho apprezzato nel volume è stata proprio l’assenza di retorica (“sentimento” che nei confronti delle persone anziane è sempre in agguato ed è particolarmente odioso); niente retorica “buonista” né tantomeno cinismo cool, ma piccole storie piene di spunti, di allegria come di tristezza e soprattutto di vita.
Emiliaè anziana, certo, e non sta tanto bene e, come purtroppo spesso accade col sopraggiungere dell’età avanzata, non è sempre perfettamente “in ritmo” con ciò che le accade intorno, ma ha alcune fortune, certamente costruite con affetto nel corso del tempo: un nipote che non si dimentica di lei e moltissimi ricordi, alcuni dei quali pieni d’amore.
Emilia, inoltre, possiede una certa cosa che in talune situazioni – ad esempio nell’età avanzata e nella malattia – si dimostra indispensabile per non soccombere completamente alle asperità e alle durezze della vita: quella certa cosaè l’ironia.
Certo l’ironia – e ancor più l’autoironia di cui Emiliaè dotata - non nascono da sole, sono sempre il frutto di un lavoro che le persone fanno su se stesse. E possederle aiuta, ma certo non basta a scacciare quei brutti momenti di malinconia e di stanchezza, e talvolta di umanissima volontà di morte, che ogni tanto fanno capolino.
Ogni microstoria ci fa capire che Emilia ha avuto e ha una vita in cui i sentimenti sono importanti e tenuti in considerazione, più delle malattie, più della consapevolezza del proprio stato di debolezza.
Una delle prove di questo è l’affettuosa presenza del nipote, un giovanotto anch’egli spiritoso e del quale non sappiamo molto se non che è tanto affezionato ad Emilia e non solo la ascolta, ma le parla, le racconta a sua volta delle cose e le fa domande.
Perché, guarda caso, per qualcuno è ancora importante interessarsi alle persone più deboli ed essere loro vicino, nonostante in questo momento storico l’interesse per le persone deboli pare essere diventata una cosa della quale vergognarsi, anzi della quale non interessarsi proprio quando addirittura non si arrivi al disprezzo per le persone deboli.
Tornando al fumetto: le microstorie non hanno necessariamente un “inizio” e una “fine”, spesso si tratta di situazioni nelle quali ci troviamo proiettati/e in media res (proprio come accade nella vita), ma tutte, tutte nessuna esclusa ci strappano un sorriso – quando non una risata – e talvolta uno stringimento al cuore per la commozione.
Tutto questo Fabio Bonetti ce lo racconta usando uno stile di disegno essenziale ed efficace, usando solo quattro colori e, talvolta in alcune vignette, le tonalità del grigio.
L’autore rappresenta i personaggi con una particolarità, ossia sembra quasi che essi indossino una maschera (come si può vedere dalle immagini a corredo di questo scritto: quasi sempre la linea del volto lo circonda per intero, dando appunto un “effetto maschera”) e questo mi ha colpito molto, perché – invece - non ci sono personaggi meno “mascherati” di questi: Emilia, il nipote, i medici, le altre persone che compaiono nelle dodici microstorie, sono appunto più persone che personaggi. Chissà se quest’ultima è solo una mia impressione o se le “maschere” sono realmente volute dall’autore…
Ad ogni modo anche per questo volume il mio spassionato consiglio è quello di acquistarlo e leggerlo. L’effetto non potrà che essere profondamente intenso e occhi, mente e cuore ne beneficeranno.
Note:
[1] La MalEdizioni ha il CORAGGIO di chiamare i fumetti… fumetti! Non “grafic nobelz”, non “ventisettesima arte”, non “danza classica disegnata” o altri simili, inutili, colpevoli/zzanti neologismi. Per questo motivo ai miei personalissimi occhi acquisisce ulteriori “punti” di stima.
Giorgio è morto oggi e noi gli volevamo bene, perché lui è stato importante per noi.
Gli voleva e gli vuole bene chi l’ha conosciuto personalmente e sicuramente gliene ha voluto anche chi l’ha conosciuto tramite le sue storie e i suoi disegni, i suoi bellissimi fumetti che hanno deliziato tantissime persone, piccole e grandi.
Scrivo queste righe per me, perché a Giorgio oramai non servono più.
Forse gli sarebbero servite prima, fino a ieri.
Ma si sa… gli impegni, le tante cose da fare, quell’assurda paura di “disturbare” che mi aveva fatto diradare le email che gli scrivevo.
Giorgio probabilmente aveva cominciato a fare un po’ più di fatica a scrivere, perché le ultime email che mi ha scritto, oramai tanti mesi fa, erano più laconiche, più stanche.
O forse io ero così noioso che non sapeva che dirmi.
Ho visto Giorgio alcune volte, l’ultima delle quali ormai già tre-quattro anni fa, e mi ha sempre regalato qualcosa: un disegno col mio nome, un volume delle sue raccolte.
Era così difficile capirlo, sussurrava, non poteva parlare più forte né poteva camminare. Ma sorrideva paziente ai miei stupidi racconti e si scherniva quando lo chiamavo Maestro.
Ma io gli dicevo “Maestro, ma lei è un maestro, lo accetti!” e si rideva.
Per me è stato un onore e soprattutto un piacere averlo conosciuto. E mai lo dimenticherò. Spero che, per quel poco che conta, sapesse quanto lo stimavo. E’ un egoismo mio, certo. Tutto si fa per noi che restiamo.
Ciao Giorgio.
orlando
di Toni Alfano
vol. brossurato
136 pag., bicromatico
(b/n + rosso)
euro 17
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“Durante l’estate del 79 d.C. Pompei fu sommersa da una marea scura di lapilli… […] Quanto segue non è la rievocazione di un fatto del passato, ma il racconto dei nostri giorni, dei nostri drammi individuali e sociali, attraverso quel simbolo.”
(Pompei, pag. 7)
Finalmente.
E’ bellissimo leggere fumetti che piacciono (tautologico, I know…), è stupendo leggere fumetti che oltre a piacere fanno anche pensare.
Invece leggere fumetti che ti prendono a sberle in faccia, cos’è?
Vediamo, magari ci arriviamo dopo, magari no.
Comincio dall’inizio.
Ci sono dei fumetti con una copertina che urla direttamente ai miei sensi – e alla mia avidità – e pur senza sapere alcunché di quello che sta “sotto” la copertina, Voglio Assolutamente Avere quel volume
Nel caso specifico: Pompei, di Toni Alfano.
Chi segue Fumetti di Carta sa bene che non c’è molto di “razionale” nel modo in cui scelgo le mie letture e non è raro che le mie scelte siano dettate da questioni tutt’altro che ponderate.
Ebbene, non voglio arrivare a dire che la copertina di Pompei“valga da sola il prezzo del volume” (ché, oltretutto, sarebbe offensivo nei confronti dell’autore, che oltre la copertina ha prodotto altre 136 pagine, ognuna della quali degna di essere letta/guardata, ma ci arriviamo dopo), ma dichiarare che questa cover ha un fascino enorme ed è stata “la molla”, quello sì, lo dico.
Penso che un’opera una volta finita tra le mie mani sia proprio “mia”, posso cioè farne ciò che voglio e la leggo/guardo/ascolto (= interpreto) come voglio, come posso e come so. Come sento, insomma.
Certo, il “rischio” (per chi?) è quello di “travisare”, in parte o completamente, gli scopi originari dell’autore, ma in definitiva – pare brutto dirlo, ma io la penso così – l’autore non ha più voce in capitolo. La voce ce l’ha già messa nella sua opera [1], è quella e solo quella che parla per lui/lei, se ha altro da dire non ha che da realizzare un’altra opera. Oppure farsi ospitare da un talk-show, che comunque io non guarderò.
Su questo blog parlo solo di ciò che mi è piaciuto e Pompei non sfugge a questa regola.
Solo che, in questo caso, il termine “piaciuto” è decisamente inadatto, e incompleto, per (cercare di) definire le sensazioni, e la sensazione generale, che quest’opera mi ha provocato.
Perché certo, eccome se m’è piaciuto, ma mi è ha anche provocato sofferenza. Non è stata una lettura semplice e indolore, specie la seconda rilettura, che mi ha permesso di penetrare ancora più a fondo l’opera e soprattutto di affinare la mia personale interpretazione.
Da cui la domanda iniziale: “cos’è” un fumetto che ti prende a sberle in faccia?
La questione posta in modo così semplicistico, ne sono consapevole, non significa nulla; d’altronde non è facile (cercare di) spiegare determinate sensazioni, che sono così personali, intime e in un certo senso “pericolose” da sciorinare pubblicamente.
Ma ci tengo (molto) a segnalare quest’opera a fumetti, quindi mi ci provo, con la coscienza che non so bene dove andrò a parare: sto improvvisando!
Non sempre rileggo immediatamente un’opera a fumetti, ma nel caso di Pompeiè stato quasi inevitabile, visto che la prima lettura mi ha lasciato addosso stupore, meraviglia e confusione.
Andiamo avanti.
Pompeiè formato da cinque capitoli e, credevo durante la prima lettura, non racconta una storia. Non in modo lineare, perlomeno.
Il primo capitolo – Io non esisto - è introdotto da un versetto dell’Uttara Gita: con questo Toni Alfano si guadagna la mia istintiva simpatia (la mia prima e primeva passione è la cultura Indiana antica, credo di averlo ripetuto sovente).
Il titolo del capitolo dice molto ed è da questa terrificante asserzione che l’autore comincia a indicare la via per un viaggio attraverso una spirale cosmica che si concluderà nell’ultima pagina. Ma il percorso sarà, ripeto, tutt’altro che lineare.
“Sei nato senza volerlo […] Hai impiegato la tua bellezza in qualcosa in cui non credevi. Qualcosa che ti ha consumato fino a renderti inoffensivo. Qualcosa che ti ha impedito di divenire te stesso.”
Da questa asserzione, comincia il viaggio, rituale, iniziatico, di vita, di morte, di consapevolezza, di passione. Di amore anche.
Potrebbe sembrare che le immagini si susseguano senza una catena logica, ma i testi pur nella loro complessità, nel loro essere talvolta quasi ermetici, si fondono con le immagini e raccontano non tanto una storia, ma forse un archetipo di storia. Non aspettatevi, come sempre, ma stavolta a maggior ragione, alcun tipo di “riassunto”. Non tenterò nemmeno di provarci, mi spiace.
Sono certo che, e ne ho avuto consapevolezza specie alla seconda lettura, Pompei nel suo susseguirsi di capitoli dai titoli così strani e complessi, parlasse “proprio” di me!
Toni Alfano prende delle figure e lavora sul loro significato, ci lavora intorno e dentro, le trasforma in qualcosa di originale e di straniante ma archetipico allo steso tempo: un effetto straniante che parla direttamente alla testa e contemporaneamente al cuore. Se si vuole ascoltare, s’intende.
Non è un meccanismo, un modo di comunicare inventato dall’autore, la sua originalità non sta in questo, dato che molti autori e autrici di fumetti underground, dagli Anni 60 in poi, hanno utilizzato questo tipo di “collage grafico-emotivo” (che termine orrendo… ma non so cos’altro usare, e soprattutto spero che le immagini qui inserite siano più chiare del mio balbettio…) per uscire dai rigidi schemi del fumetto. L’originalità dell’autore sta nell’arte di assemblare tutto questo, rendendo Pompei un qualcosa di assolutamente unico nel panorama fumettistico italiano attuale.
Certo: è un fumetto strano quello di Toni Alfano, non è facile, non “intrattiene”, non lo consiglierei “a chiunque” (come faccio molto spesso), può turbare – con me l’ha fatto – e probabilmente abbisogna di più letture per essere assimilato appieno. Tutte cose positive, a mio modo di vedere. Parlavo di sberloni: sono proprio quelli che provocano cambiamenti e soprattutto reazioni, non è vero? Pompeiè piuttosto spietato e non ha nulla di “carino”.
Parliamo di stile? O, in questo caso, non sarebbe forse meglio parlare di stili?
Nei cinque capitoli troviamo una variegata alternanza non solo di stili, ma di giustapposizioni di immagini e di immagini-e-testo ed è difficile per chi legge – o per lo meno lo è per me - stabilire un canone comune e definito: la mia sensazione è che l’autore, nella maggior parte del volume ed escludendo i disegni suoi realizzati all’uopo, prenda delle immagini e le lavori sino a farle diventare altro da quelle che erano in origine, caricandole magicamente di simboli e di senso.
Contorto?
Contorte sono le mie parole, non necessariamente il lavoro dell’autore.
“Sono stato a Pompei e ho avuto paura, perché la rabbia brucia i sogni di chiunque e carbonizza gli angeli appollaiati alla vita. Ho avuto paura.”
Il secondo capitolo è Trasumanar Riorganizzar, titolo che cita Dante e Pasolini, e mi sembra autobiografico. Dico questo perché è forse l’unico capitolo nel quale non mi sono riconosciuto, nel quale l’autore non parlava di me. Forse. Un flusso di coscienza? Ricordi e sensazioni legate ad eventi vissuti dall’autore? Comunque vi ho trovato citazioni e situazioni, se non mie, che posso pur sempre riconoscere, magari guardando un po’ dall’esterno, prima di farmi riassorbire dagli intensi capitoli successivi.
Onironautica, splendido titolo per il terzo capitolo, inizia invece con una delle frasi-simbolo (e mitiche) di Walt Disney e, contraddicendo tutto quello che ho scritto finora, possiede una sua linearità e i disegni mi sembrano opera della stessa mano. E’ forse il capitolo più immediatamente comprensibile ed è diviso in quattro parti, la seconda delle quali mi ha colpito come una sferzata in piena faccia. Disegni cupissimi e immagini di uno o più inferni che, a ben scrutare nel profondo, probabilmente conosciamo. Chi più, chi meno… Mentre la terza parte è quella più, se vogliamo, dolce, ci sono una mamma e un bambino, e poi la quarta parte, selvaggia, sensuale e sessuale… e alla fine del capitolo si comprende, io per lo meno ho compreso, che tutto era (è) collegato e faceva parte dello steso flusso.
Il quarto capitolo, Zeppelin, è poetico e simbolico e pare ambientato in un futuro che non è mai esistito, o forse che non è ancora esistito; un volo nel cielo con un mezzo inusuale – uno Zeppelin appunto; tanto testo, tante immagini, molti riferimenti alla paura e ritorna la citazione al mattone rosso che compare nel primo capitolo e forse altrove (mi attende, stasera stessa forse, una terza rilettura di Pompei) con un “finale” che… oh, non è possibile riassumere, mi spiace.
L’ultimo capitolo è Molok, La Sorgente. Anch’esso introdotto da una citazione (stavolta di Tolstoj). E’ incredibilmente intenso e per me è stato doloroso leggerlo e rileggerlo.
“…la consuetudine umana […] non tollera il paradosso. Non sopporta che “questo” sia al contempo “quello”. “
E’ in quest’ultimo capitolo che si chiude il cerchio, o che si giunge all’estremo della spirale. E’ in quest’ultimo capitolo che l’autore abbandona per un momento la comunicazione esoterica per lasciarsi andare a dichiarazioni essoteriche [2], come questa:
“Avevamo finalmente capito una cosa: in quel percorso infinito, la strada giusta era semplicemente “fermarsi” […]”
Sono, stavolta, persone, due persone riconoscibili a compiere l’ultimo tratto di strada, a – in qualche modo – spiegare quello che fin lì è accaduto. Sino a giungere al devastante finale, catartico, magnifico e terrificante. Perché, essendo ora l’opera “mia”, quel finale così dolce e poetico mi ha spaventato e turbato quasi fino alle lacrime, perché ha dilatato una ferita che è profonda e forte in me, ma che è presente in ogni creatura umana sin dal giorno della propria nascita.
Pompeiè un’opera di straordinaria intensità e che in modo straordinario mi ha colpito. Un viaggio da fare, comunque, prima o poi. Complimenti sinceri all’autore. E grazie.
Note:
[1] Intendo anche le scelte stilistiche, la scelta editoriale, il formato, le modalità di vendita e distribuzione: insomma ogni scelta e situazione direttamente collegata all’opera.
[2] Quella “s” in più cambia tutto, non dimentichiamocelo. Oppure, come ebbe a dire un giorno una specie di filosofo buddista da salotto:“Tutto ciò che è esoterico, è essoterico”… ?
“Che vuol dire che non ci capite niente?!…
Non percepite l’angoscia che prende tutti?!…
Dev’essere eliminata subito!” (Soil)
di
A. Romagnoli, N. Tonelli,
G. Valletta, E. Menini,
B. Concordia, A. Gentili,
F. Barbera
feat.A. Baronciani
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one shot
vol. brossurato cm 10,5x15, 192 pag. b/n su carta rosa, stampa in offset
euro 7 - richiedibile QUI
Leggere Ricci d’amare, oltre alle numerose e intense emozioni provate, è stato come ritrovare vecchi/e amici/che. Fuor di retorica e senza piaggerie: sono sinceramente affezionato alle autrici e agli autori del collettivo Incubo alla balena, questa è la loro terza autoproduzione che leggo e che mi entra nel cuore dandomi una grande soddisfazione estetica, fumettistica ed emotiva. Quello che mi aspetto e che sempre spero da un volume a fumetti, Ricci d’amare me lo regala raddoppiato.
Delle autoproduzioni del collettivo ne ho già parlato con affetto QUI e QUI, scritti che – non certo per loro merito – vi invito a leggere per farvi una prima idea di cosa ci si può aspettare da una produzione Incubo alla balena.
Siccome il volume di cui vado a parlare non si trova esposto in bella vista ad ogni edicola nazionale, ma è necessario richiederlo agli indirizzi linkati accanto al titolo lì in alto, l’intenzione dichiarata di questo scritto è quella di convincere a fare quella piccola “fatica”, quel minimo sforzo (per altro ottimamente ripagato) che consiste nel procurarsi un volume a fumetti che non si trova in edicola o in fumetteria.
Ogni uscita del collettivo Incubo alla balena è sempre stata contrassegnata da una specifica tematica: l’incubo la prima uscita, la rabbia la seconda, mentre in questo terzo, di nuovo splendido volume – o meglio fanzine, come la chiamano le autrici/gli autori - si parla e si racconta d’amore.
Sette storie d’amore, inframezzate dalle belle tavole di Alessandro Baronciani, presentatore non-neutro e autore egli stesso di una “storia tra le storie”, la cui protagonista è una ragazza che potrebbe rappresentare ognuna/o di noi che leggiamo, con ospite d’onore un certo Ratigher…
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La prima storia della fanzine, senza titolo, è di Alessandra Romagnoli[1].
Grazie ai suoi suggestivi e bellissimi disegni “a carboncino” ci si ritrova immediatamente in un’atmosfera non completamente definita, “nebbiosa” in un certo senso, certamente magica e romantica. E straziante.
Chiunque al mondo, senza esclusione, può identificarsi coi dubbi e i sentimenti della protagonista, o di uno/a qualsiasi dei personaggi della storia. Personaggi che non si limitano alle persone, perché Romagnoli con i suoi disegni sceglie di far parlare ogni oggetto, ogni elemento della natura che compare nelle sue tavole. Inquadrature, particolari, volti, alberi e, sì, persone, non hanno bisogno di molte parole per farci entrare in uno stato d’animo che sta a metà tra un’estrema malinconia e una specie di distacco, come un osservare dall’alto per subito reimmergersi in un’atmosfera di coinvolgimento. Magia, come ho già detto e un finale che apre infinite possibilità per altre infinite storie che starà a noi decidere se vivere o meno. Le parole-chiave della storia di Alessandra Romagnoli, per quello che mi riguarda, sono atmosfera, e ricordo.
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La seconda storia, intitolata Week-End, è opera di Niccolò Tonelli. Una storia ambientata in estate, anche se di spiagge ed ombrelloni non ne vediamo l’ombra. Una storia d’amore tra improvvisi turni di lavoro, amori dichiarati e/o solo immaginati, con due punti di vista che si alternano e, anche, si contraddicono. Quotidianità e sogno. E’ una storia un po’ a spirale e dalle molteplici interpretazioni. Non sono così tutte le storie d’amore?
I disegni di Tonelli sono duri e graffiati, definiti in ogni loro linea, semplici da un certo punto di vista, cartooneschi, non per questo meno espressivi. La sua scelta è nella maggior parte dei casi quella della splash-page, forse anche per questo i disegni e i personaggi sono così penetranti.
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Il titolo della terza storia, quella di Gianluca Valletta, è Niente. Storia breve non tanto per il numero di pagine di cui è composta, quanto per la secchezza, la durezza e la velocità di cui è permeata. Pare che finisca in un attimo, ma nelle dodici tavole di Niente c’è molto, invece.
Uomo e corvo e una donna in lontananza, un ricordo di donna che è però ancora una presenza importante che fa dire all’uomo, e poi al corvo, frasi dure che alternano colpe e dolori e ricordi d’amore. Il corvo è un simbolo molto potente, così come lo è il segno di Valletta.
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Mareaè la storia, la quarta del volume, di Elisa Menini.
Lei, che potrebbe sembrare la protagonista di un manga con quegli occhioni grandi e lo chignon, è una ragazza decisa e dinamica e ha un sorriso che conquista; lui ha una maglietta dei Devo (cosa, questa, che me lo rende immediatamente simpatico) e molta voglia di accontentare, o assecondare, lei. Una giornata estiva – di nuovo: l’estate… – e voglia di andare a pesca.
Amore e pesci, una dolcezza struggente di fondo, il mare ingannevole, qualche lacrima, una ferita (non grave!), insieme in scooter e una delle dichiarazioni d’amore più originali.
I disegni di Menini mi ricordano un po’ certi manga, non solo per la presenza massiccia di retino (digitale, suppongo) ma per l’espressività dei personaggi a metà tra realismo e cartoonesco. Mi sono molto piaciuti e la storia mi ha intenerito moltissimo. Anche se sono contrario alla pesca :)
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E’ poi la volta di He di Beatrice Concordia, autrice che già mi aveva tanto colpito nei precedenti volumi de L’Incubo alla balena.
Tanti disegni, o meglio tanto disegno, e tante parole per un racconto tra donne in cui ci sono un amore mancato e un amore presente e probabilmente rivalutato. Certe volte, così ho capito/interpretato io, l’amore non è necessariamente un fuoco che divampa di passione sfrenata, ma può essere altro. Meno intenso? Chi lo sa. Come si misura il grado di intensità di un amore?
Cos’è una “occasione mancata”? La storia, bella, intensa e divertente, mi ha fatto pensare anche più di quanto avrei voluto.
Mi affascinano incredibilmente i disegni di Concordia con quel tratteggio a un tempo delicatissimo e potente, realistico, espressivo e contemporaneamente simbolico, pieno di particolari e dettagli che mi fanno scorrere lo sguardo più e più e più volte su ogni tavola, ogni vignetta. La prima vignetta è una semplice tazza di tè con una teiera accanto: beh, mi ci sono perso dentro per interi minuti! Il suo fitto tratteggio rende la realtà come fosse ovattata e circondata da una ragnatela sottilissima e impalpabile, ma la sua storia è così terribilmente… reale e comprensibile, straordinaria pur nella sua “normalità”. (L’ho scritto così, su due piedi…).
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La penultima storia è di Annamaria Gentili e si chiama Non preoccuparti.
E’ una storia che mi ha colpito molto. (Ok, oramai l’avrete capito che tutte le storie contenute in Ricci d’amare mi hanno colpito molto). E’, questa, la storia di un amore che si rompe o meglio che si blocca sul nascere, è la storia di un’indecisione e di un cuore strappato (e poi restituito) e di solidarietà amicale.
E’ romantica e triste e crudele, ma anche così comune – e proprio per questo così ficcante e, in un certo senso, disturbante. Le ragioni di lui e di lei sono messe a nudo e non c’è tifo per l’una o l’altra parte anche perché la quantità di sofferenza è probabilmente equamente distribuita. O forse no, in amore non c’è mai nulla di “equamente distribuito”. La tristezza è palpabile e il finale è aperto, ognun* di noi lo immaginerà come più gli/le piace. I disegni di Gentili sono deliziosamente fumettistici, nel senso migliore del termine ovviamente; molto simbolici e con dei volti incredibilmente espressivi e la sua costruzione della tavola si differenzia da quella delle altre autrici e degli altri autori presenti sul volume: sceglie infatti spezzettamenti d’immagini e inquadrature mai banali, anche su dettagli apparentemente poco importanti, ma invece fondamentali per l’equilibrio, delicato, della storia.
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Chiude il volume la storia di Flavia Barbera che si intitola Lo Scimmiotto – Ricordi di Rachele. Devo essere onesto: sin dalla prima uscita di Incubo alla balena mi sono sentito in qualche modo legato a Flavia, in sintonia. Adoro il tratto che ha scelto di usare in Incubo alla balena e in La rabbia del canarino e non faccio eccezione per questo Ricci d’amare: il suo tratto è così potente, sfacciatamente “underground”, espressivo e libero che proprio non posso fare a meno di amarlo.
Trovo il tratto di Barbera– sempre, ma forse maggiormente su questo lavoro - sontuoso e sensuale, straordinariamente comunicativo e, per quanto mi riguarda, emozionante. Non vedo l’ora di poterla leggere su una distanza un po’ più lunga (o anche molto più lunga) perché mi piace davvero il suo stile.
Lo Scimmiottoè una storia d’amore, certo, e di sesso. Lo Scimmiotto è, forse, un simbolo del sesso come gioia ed espressione, godimento, piacere. Questo non necessariamente elimina la componente romantica, che c’entra? Sesso opposto ad una concezione sessuofobica e colpevolizzante della vita. Ci ho visto troppo?…
Il giovane Scimmiotto incontra la giovane Rachele, passano dieci anni e ciò che resta sono i ricordi ed essi non sono solo “sentimentali”, ma anche e soprattutto carnali. Il tempo passa, certo, ma restiamo donne e uomini di carne e sangue (e peli) grazie al cielo, e la carne è importante come l’anima (l’una perlomeno sappiamo per certo che esiste!). I disegni di Barbera, la costruzione della tavola, lo storytelling, mutano con l’avanzare della storia: l’autrice sperimenta segni diversi, anche molto diversi tra loro, il tutto all’insegna di una palpabile libertà espressiva che si preoccupa di narrare e comunicare in modo personale e, di nuovo, libero. Vero Fumetto, un mare di emozioni. (E grazie Flavia, grazie a te!).
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Infine: su Alessandro Baronciani cosa si può dire se non che disegnasse anche la lista della spesa sarebbe comunque un’emozione leggerlo? Baronciani, come accennavo poco sopra, è narratore partecipato alle storie, i suoi intermezzi legano le storie l’una all’altra dando loro una continuità narrativa che va al di là dell’essere tutte nello stesso volume. La ragazza legge, ascolta, giudica, si emoziona, e noi con lei. E col suo Ratigher…
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Con questo volume si entra in un mondo e in un modo di fare fumetto diverso, autentico, profondamente emozionale ed emozionante e si godere di un piacere che non si trova facilmente ad ogni angolo. Se ragionassimo a stellette saremmo a cinque su cinque.
Buona lettura!
di Lee, Thomas,
Colan, Drake, Heck, Ayers, Friedrich, Springer, Colletta, Goodwin, Kane,
Adkins, Boring, Wolfman, Sutton, Conway
contiene storie edite in USA dal Dicembre 1967 al Novembre 1972
cartonato con sovracc.
colore, 530 pagine
euro 55
“Dai lontani recessi dello spazio è giunta un’astronave con il compito di studiare il pianeta Terra in segreto!
Un membro del suo equipaggio alieno travestito da terrestre deve testare le difese del nostro mondo… da solo!”
(Capitan Marvel n. 6 – Ottobre 1968)
Ho conosciuto Capitan Marvel moltissimi anni fa, precisamente alla fine di ottobre del 1971: il capitano della flotta interstellare Kree divenne il comprimario della testata dei Fantastici Quattro, con il numero 15. L’albo, così come tutti gli altri fumetti della Marvel, erano editi in Italia dalla mitica Editoriale Corno, direzione editoriale di Luciano Secchi e con la cura editoriale e le traduzioni affidate per la maggior parte a Maria Grazia Perini, colei al quale questo blog è dedicato.
Non mi piaceva Capitan Marvel, non mi piacevano quei disegni così pieni di ombre, scuri, cupi, disegni nei quali in molti volti non si vedevano gli occhi, tutto quel nero… e i volti e i corpi dei personaggi erano così diversi da quelli di Jack Kirby! Le linee di questo “decano” Gene Colan (all’epoca non avevo la minima idea di cosa significasse “decano”…) erano meno definite, più sfumate di quelle del Re, i volti dei protagonisti e delle protagoniste erano così… adulti!
Il salto dalle – da un certo punto di vista – “scanzonate” avventure dei Fantastici Quattro a quelle così “serie” di Capitan Marvel non era indolore: per me era come passare da un fumetto (i FQ) pensato e creato per me e per i ragazzini come me, ad uno (Cap Marvel) creato e pensato per gli adulti e dunque di più difficile comprensione. Ok, lo ammetto: spesso l’ultima parte dell’albo, quella con Cap Marvel, non la leggevo proprio…
Le mie impressioni di ragazzino erano ingenue, ma avevano un fondo di verità: nello stesso albo venivano infatti proposte due tipi di storie un po’ differenti tra loro e temporalmente “distanti” (nei fumetti quattro anni possono essere un’eternità…); le storie di Capitan Marvel erano realmente un po’ più cupe e “adulte” e i disegni del “decano” Gene Colan– che di lì a pochissimo tempo sarebbe sarebbe diventato uno dei miei disegnatori preferiti (e lo è tutt’ora) – erano davvero diversi rispetto a quelli del Re Jack Kirby.
Ci volle quindi qualche anno perché potessi apprezzare in pieno le storie di Capitan Marvel, personaggio dalla vita editoriale frammentaria, ma non per questo meno ricca, ed estremamente variegata, che ha avuto molte incarnazioni e del quale si sono occupati molti autori.
E finalmente esce l’Omnibus delle sue prime avventure…
COSA CONTIENE CAPITAN MARVEL OMNIBUS
La base di partenza della storia, cominciata da Stan Lee e affidata già dal secondo numero a un giovane Roy Thomas– figura destinata a diventare di primissimo piano all’interno della Marvel– forse non è il massimo dell’originalità, ma è drammatica e coinvolgente.
Mar-Vell, questo il vero nome del protagonista, è l’aitante capitano di una delle flotte imperiali Kree, popolo imperialista altamente tecnologizzato che domina su un’immensa galassia. La missione di Mar-Vellè pericolosa: gli umani sono riusciti a sconfiggere la potente Sentinella Galattica 459 (un gigantesco robot semi-senziente), che i Kree avevano piazzato sulla Terra secoli addietro.
Il Capitano deve verificare come un popolo debole come quello terrestre abbia potuto sconfiggere la potente Sentinella ed eventualmente punirlo.
Ma in realtà la sua missione è manipolata dal perfido colonnello Yon-Rogg, “innamorato” della bellissima dottoressa Una, fidanzata di Mar-Vell.
Il malvagio Yon-Rogg spera di provocare, senza risultarne ufficialmente il colpevole, la morte di Mar-Vell e quindi di conquistare il cuore di Una. Quest’ultima e Mar-Vell sono però al corrente dei veri piani di Yon-Rogg…
Le prime avventure del “più grande dei nuovi supereroi” (così lo strillo di copertina del numero di Marvel Super Heroes n. 12 del Dicembre 1967 su cui compare la prima storia di Capitan Marvel) sono quindi incentrati, oltre che sulle violentissima battaglie di Mar-Vell, ribattezzatosi nel frattempo Capitan Marvel e diventato subito un eroe per i terrestri, su questa drammatica contraddizione tra il vero scopo di Mar-Vell (punire i terrestri) e la sua sempre maggiore affezione al nostro pianeta con la conseguente, tragica solitudine dell’eroe.
Oltre a questo c’è la tragedia degli amanti crudelmente separati dalle malvagie macchinazioni di Yon-Rogg. Ci sono cioè tutte le premesse per la costruzione di avventure appassionanti e ricche, per l’epoca, di sfumature psicologiche.
L’assioma di base della Marvel di Lee e Kirbyè rispettato: supereroi con superproblemi.
Ossia la metafora di una crescente potenza ostacolata dai problemi e dagli ostacoli che il mondo e la propria interiorità pone di fronte ai supereroi, definiti come non solo come “superumani”, ma anche come “più umani degli umani stessi”. Sentire di poter dominare il mondo, ma non riuscire a ottenere quanto si ha di più caro. Ossia… l’adolescenza!
“Per gli abitanti della Terra– pensa un disperato Mar-Vell nella prima vignetta della sua sesta avventura – il nome di Capitan Marvel è quello di un eroe! Ma solo io […] conosco la sconvolgente verità… che un giorno potrebbe essere mia la mano a dare il segnale d’attacco contro questo mondo ignaro… che potrebbe essere la mia voce a decretare la sua totale distruzione! [Capitan Marvel Omnibus, pag. 110]
Come ogni supereroe che si rispetti a maggior ragione se alieno, anche Mar-Vell si premunisce di fornirsi di un’identità fittizia ed ecco che, senza il suo elmetto e il costume bianco e verde, diventa il dottor Walter Lawson, esperto in missilistica e reclutato nella base del Capo alle dipendenze del bonario generale Bridges e nella quale lavora come responsabile della sicurezza Carol Danvers (quest’ultima rivestirà una certa importanza nel Marvel Universe negli anni a venire…).
[Una nota personale sul costume: a differenza di quanto scrive Roy Thomas nell’introduzione al volumone, io ho sempre trovato il costume di Capitan Marvel uno dei più fichi dell’intero panorama supereroistico!]
A proposito di Carol Danvers: è l’unica persona ad avere fortissimi sospetti sulla segreta identità terrestre di Mar-Vell, quel “dottor Lawson” che il suo intuito le dice non essere chi dichiara di essere.
Il “triangolo” che si viene a formare tra Mar-Vell, Una e l’intraprendente Carol Danvers permette agli autori di sfruttare un altro cliché abusato, ma evidentemente irrinunciabile e gradito a lettori e lettrici dell’epoca, ossia quello della ragazza che s’innamora dell’eroe in maschera ignorando che sotto quella stessa maschera si trova la persona che ella più detesta al mondo, proprio come Peter Parker/Spider-Man e Gwen Stacy, Hal Jordan/Lanterna Verde e Carol Ferris e i precursori di tutto ciò: Clark Kent/Superman e Lois Lane.
L’introspezione psicologica cui accennavo è differente da quella che possiamo trovare nei fumetti moderni: in Capitan Marvel si tratta di un sottotesto usato per aumentare parossisticamente la drammaticità, ma che è presente in misura molto minore delle violente e onnipresenti scazzottate.
Nei primi numeri del fumetto assistiamo a una formula ripetitiva, per quanto efficacissima all’epoca: il combattimento tra il Capitano e il nemico di turno, e meglio ancora se tra i due, oltre alle botte, si frappongono dei fraintendimenti, vedi ad esempio la battaglia con Sub-Mariner o con l’orrendo e tragico Metazoide di “oltrecortina” (cortina di ferro: siamo pur sempre in piena Guerra Fredda).
Interessante, e un po’ inquietante, l’incontro col primo super-villain già noto: Quasimodo, un computer vivente creato dal Pensatore Pazzo, un abituale nemico dei Fantastici Quattro perché nella storia – datata Novembre 1968 - si parla di un “collegamento in rete di più computer”, si parla cioè di… Internet!
“Aspetta pazzo! Abbiamo usato una rete di computer lontani collegati tra loro! Questa è solo una frazione della rete!”
”E tu li collegherai di nuovo… così potrò assorbire tutte le loro emissioni energetiche!”
Le prime avventure del Capitano sembrano collocarsi al di fuori, o ad un limite estremo dell’Universo Marvel più conosciuto, in quanto ad eccezione del breve e violento incontro con Namor il Sub-Mariner, nei primi numeri della serie non s’incontrano altri supereroi della Casa delle Idee.
Questa situazione in realtà è una caratteristica comune ai nuovi personaggi che la Marvel lancia continuamente sul mercato negli Anni 60 e 70: lo stesso iniziale “distacco” dal resto del popolatissimo universo Marvel, così come accadde per Thor, Ant-Man, Ghost Rider ecc. ecc.
E così come accade agli altri personaggi, anche il nostro Capitano ad un certo punto comincia ad interagire con gli altri character di proprietà dell’editore newyorchese fino a diventare parte integrante della Continuity, meccanismo irrinunciabile per ogni universo narrativo supereroistico che si rispetti.
Ciò va di pari passo con un frenetico alternarsi di autori che di volta in volta prendono le redini della testata.
Le storie di Roy Thomas e Gene Colan durano sei splendidi numeri; quindi il timone passa allo sceneggiatore Arnold Drake e ai disegni di un Don Heck in ottima forma. I due mantengono le storie sul binario originario, con forzutissimi nemici, sempre dalle fattezze mostruose e i piani del Colonnello Yon-Rogg sempre più malvagi, così come viene mantenuta quella leggera e gradevole componente da “spy story”.
Gli autori si susseguono com’è tradizione Marvel e così per un paio di numeri troviamo alle matite un Dick Ayers un po’ legnoso e non particolarmente ispirato. Anche Tom Sutton niente male fa parte del club dei disegnatori di Capitan Marvel
Ma è con Gary Friedrich ai testi e Frank Springer ai disegni che il nostro eroe entra in un vero e proprio “trip” a-la Dottor Strange, con splash-page roboanti zeppe di colori accesi, forme astratte e scenari cosmici e “mistici”.
Qualche grosso buco di sceneggiatura non impedisce di godere di uno dei cicli più fuori di testa dell’intera produzione Marvel di quegli anni.
Ammiriamo Rad-Nam, la città natale del Capitano, raffigurata con una fantasia ingenua e lontana anni luce da quelle che diventeranno in seguito le più seriose e drammatiche raffigurazioni della mitologia e degli scenari Kree.
Per chi come il sottoscritto ama il fumetto “vintage” questo Omnibus offre emozioni e divertimenti impagabili!
Arriviamo al 1969 e grazie all’arrivo di Archie Goodwin ai testi e il ritorno di un Don Heck sempre più in forma e a suo agio assistiamo alla comparsa dell’Intelligenza Suprema, figura che ancor oggi a venticinque anni di distanza ha un ruolo importante tra le grandi “Entità” Marvel.
C’è anche un epocale cambio di costume che dall’originario bianco e verde passa a una bellissima e aderentissima tuta che – con gioia di Roy Thomas che lo dichiara nell’introduzione – contiene i colori primari rosso e blu, con un piccolo tocco di giallo. Eccolo qui sotto.
…e proprio Roy Thomas torna a scrivere le gesta di Mar-Vell coadiuvato da un meraviglioso Gil Kane ai disegni. Le storie prendono subito un respiro più moderno e dinamico. Dialoghi e didascalie entrano di prepotenza nei Seventies e inizia quel lungo ciclo nel quale Mar-Vell sarà legato al giovane Rick Jones, ex amico di Hulk, ex “spalla” di Capitan America ed ex “quasi-Vendicatore”, benché sprovvisto di poteri.
Con una trovata narrativa a metà tra il geniale e il… beh, e il meno-geniale, diciamo, Capitan Marvel e Rick Jones si troveranno a dover condividere una sorta di doppia identità. Quando l’uno è sulla Terra, l’altro è confinato in una forma semi-ectoplasmatica in una Zona Negativa e viceversa. Per invertire il processo, far cioè riapparire sulla Terra chi è temporaneamente nella Zona Negativa, è necessario sbattere con forza i polsi ai quali ci sono due potentissimi quanto misteriosi braccialetti alieni impossibili da rimuovere, chiamati nega-bande. I due comunicano tra loro a livello telepatico e possono vedersi reciprocamente come degli “spettri”.
“E’ successo qualcosa quando ci siamo… scambiati gli atomi! Una specie di… fusione! E adesso lui è parte di me… come io lo sono di lui!” (Rick Jones)
“Rick Jones è un giovane terrestre straordinario! Quanti adulti sarebbero stati in grado di adattarsi alla nostra relazione così… unica? Una relazione che nemmeno io comprendo appieno! (Cap. Marvel)
Questo presupposto un po’ buffo permetterà di concepire una serie di avventure non banali e psicologicamente interessanti.
E siamo giunti quasi al termine del poderoso e coloratissimo volumone di oltre cinquecentotrenta (530) pagine, Capitan Marvel Omibus, che si chiude con due storie del 1972 entrambe con i disegni di Wayne Boring, per i testi di Gerry Conway la prima e di Marv Wolfman la seconda.
Due storie non esattamente memorabili (ma con due splendide copertine!).
Finisce così il volume e mi lascia una gran voglia di leggere altre avventure del Capitano, storie bellissime come “La vita” e “La morte di Capitan Marvel”, che credo proprio riprenderò volentieri in mano.
Capitan Marvel Omnibusè un fumetto vintage che non nasconde gli anni che ha ed è proprio questo uno dei motivi principali che me lo fanno amare così visceralmente. La concezione generale – storia, dialoghi, disegni, storytelling… – è molto diversa da quella attuale, né “migliore” né “peggiore”, semplicemente diversa, così com’era diverso all’epoca il fumetto super-eroistico e direi anzi tutto il fumetto nel suo insieme.
Non sono certo che questo Capitan Marvel possa facilmente piacere ai giovanissimi lettori e lettrici di oggi, ma sono sicuro che piacerà a chi apprezza il fumetto “antico” e a chi è sufficientemente duttile per immergersi in atmosfere retrò e lasciarsene beatamente conquistare. Io l’ho divorato in brevissimo tempo e il “pasto” è stato ottimo e abbondante. E un po’ nostalgico, ovviamente.
Buona lettura e buona scoperta o ri-scoperta!
Nota. Le illustrazioni a corredo dell’articolo sono di:
1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7 Gene Colan
8 e 9 Don Heck
10, 11 e 12 Gil Kane
13 Frank Springer
Topolino Platinum Edition
Storie eterne che sfidano il tempo scritte (e disegnate) da Casty
di Casty e AA.VV.
vol. brossurato con bordo argentato, colore, 370 pag.
.
euro 7,90
"DIRITTO AL GODIMENTO"
Così come il diritto di critica, anche di "criticaccia", è sacrosanto diritto di chiunque, altrettanto dev'essere per il "diritto al godimento".
Il "diritto al godimento" mi è venuto in mente oggi, durante la lettura di un post su un social network: "Quali sono le cose che non tollerate dei fumetti Disney?".
In genere questi post sono molto interessanti perché presentano spunti di riflessione e inoltre spesso contengono commenti anche molto divertenti.
La maggior parte o addirittura la totalità di chi partecipa a questi tipi di post è formata da super-appassionati/e, persone con gusti precisi, formatisi dopo anni di letture. Spesso la persona super-appassionata e quella super-esperta coincidono, quindi sciocchezze o carenze di argomentazioni non se ne leggono (tranne rare eccezioni).
Anche quando non condivido le cose dette, le giudico sempre molto interessanti e utili e, lo ribadisco perché è importante, piene di stimoli.
Stesso motivo per il quale lurko da molto tempo il bel forum dedicato alle produzioni targate Disney: il Papersera.
Non ho partecipato alla discussione di cui sopra, perché avrei fatto la figura di quello "acritico" o, peggio, del babbalone...
Perché la mia risposta alla domanda "quali sono le cose che non tolleri dei fumetti Disney?" sarebbe stata: "praticamentenessuna". [1]
Non sono un esperto (ed è per questo che il Papersera lo lurko soltanto…), ma come moltissim* italian* ho imparato a leggere – una cinquantina di anni fa - su Topolino e attualmente sono un soddisfatto acquirente e lettore di molti prodotti targati Disney; magari senza troppa assiduità e continuità, ma diciamo che almeno i “fondamentali” non me li lascio mai scappare. E così sono orgoglioso possessore dell’opera di Carl Barks uscita qualche anno fa in edicola per un totale di 48 meravigliosi volumi e dell’analoga iniziativa riguardante Floyd Gottfredson in 38 imperdibili volumi e sto prendendo, felice, sempre in edicola, i volumi con l’opera omnia di Romano Scarpa (51 i volumi previsti).
Mi piace poi comprare, e divorare subito, qualsiasi cosa di Silvia Ziche targata Disney, e poi I Grandi Classici e la nuova collana delle Topostorie, oltre a Pocket Love, praticamente gli shojo-Disney!
Non essendo, appunto, un esperto né un assiduo lettore del settimanale, che compro solo in occasioni speciali, non conosco ancora molto alcuni/e autori/trici dell’ultima o penultima generazione. Tra costoro c’è Casty…
Casty, per chi non lo sapesse, è lo pseudonimo di Andrea Castellan (QUI una sua bella intervista fatta dal Papersera), uno degli autori da qualche anno più amati da chi è appassionato/a Disney.
E a ben donde, direi, visto che ho appena terminato di leggere l’entusiasmante (a dir poco!) e splendido Topolino Platinum Edition, con sottotitolo "Storie eterne che sfidano il tempo scritte e disegnate da Casty" e posso, da oggi, considerarmi suo fan anch’io!
Il volume a mio parere è imperdibile non solo per chi appassionat* Disney lo è già (e in questo caso, neanche a dirlo, lo avrà già preso il giorno stesso della sua uscita), ma anche per chi ama semplicemente il buon fumetto, l’avventura, le storie intricate e complesse (a lieto fine, s’intende!) e che lasciano un meraviglioso gusto a un tempo disneyano e anche un po’… dark!
Non ho avuto alcun dubbio sull’acquisto del volume perché proprio qualche settimana precedente alla sua uscita, su Topolino n. 3077 era comparsa una storia intitolata Topolino e i 7 Boglins (sogg. e sceneggiatura di Casty, disegni di Enrico Faccini) che mi ha lasciato sconvolto! Un’avventura con protagonista il Topo più famoso del mondo, pubblicata su un “giornaletto per bambini” (?!?…) è riuscita a tenermi col fiato sospeso, a rendermi perfino leggermente angosciato e nervoso, fino all’ultima, liberatoria pagina! Una storia godibile da bambini e adulti, così come ogni buona storia Disney dovrebbe essere, con differenti livelli di lettura, inside jokes, citazioni nascoste; un giallo da cardiopalma che mi ha veramente entusiasmato! Ne consiglio molto caldamente il recupero e poi sappiatemi dire.
Non avevo quindi nessuna intenzione di farmi sfuggire un intero volume di ben 370 pagine interamente assemblato con storie scritte (e, alcune, anche disegnate) da Casty!
Casty riesce – come dice l’ottimo Enrico Faccini nell’introduzione al volume – a “ricreare il feeling delle storie […] dei maestri, da Scarpa a Gottfredson, con un occhio al presente […] e gli spunti dal sapore Twilight Zone, con richiami alla fantascienza anni Cinquanta…”.
La descrizione è perfetta. Spero che sia anche sufficientemente stuzzicante per far decidere chi è ancora indecis* a procurarsi il volume.
Le storie presente nel volume Topolino Platinum Edition sono otto e per questa volta vi risparmierò i miei asfittici “riassuntini-una-storia-per-una” lasciandovi il piacere di scoprirle da soli/e, specificando semmai come ulteriore “valore aggiunto” i nomi dei disegnatori presenti, oltre allo stesso Casty: Giorgio Cavazzano, Massimo De Vita, Marco Mazzarello, Enrico Faccini.
“Diritto al godimento”: mi sono goduto (e ri-goduto… nonostante le pile e pile e pile (ecc.) di “roba arretrata da leggere” mi sono ri-riletto questo volume già tre volte!) ognuna di queste bellissime, bellissime storie. Ognuna diversa dall’altra, con alcune caratteristiche in comune, come quella di avere sempre come protagonista Topolino, personaggio dalle immense potenzialità – come Gottfredson, tanto per fare un nome, ha ampiamente dimostrato - che soffre però suo malgrado della “sindrome di Superman”, cioè è considerato un “perfettino” “saputello” “sbirro”… e magari è anche tutte queste cose, sta di fatto che quando usato come si deve diventa un personaggio di gran spessore, ricchissimo, sfaccettato, molto più open-minded di quello che i pregiudizi potrebbero far pensare. E poi, ricordiamoci sempre chi è il suo migliore amico!
Nelle otto storie che formano il volume Topolino Platinum Edition, oltre al migliore amico di Topolino, abbiamo anche ospiti d’onore e d’eccezione: amici creati tantissimi anni fa e poco utilizzati come Atomino Bip Bip (creato da Romano Scarpa, di cui Castyè un grande ammiratore) e il Professor Enigm, o amici/amiche create proprio da Casty come Eurasia Tost ed Estrella Marina.
Ma, si sa, i personaggi più interessanti restano pur sempre i cattivi, i villains, come l’onnipresente Gambadilegno, il fastidiosissimo Topesio o Vito Doppioscherzo e altri ancora che scoprirete leggendo le storie.
Storie che hanno sempre grande originalità, atmosfere sempre diverse e intense, dialoghi al fulmicotone e spesso dotati di una comicità efficace (non così comune tra le storie Disney), dialoghi divertentissimi sempre e comunque; e ancora: caratterizzazioni strepitose e una fantasia scatenata e così ottimamente canalizzata da Casty da farci sperimentare un’immersione totale nella storia.
Dal giallo alla distopia alle cupe atmosfere dark – a questo proposito è da pelle d’oca Topolino e gli Ombronauti– dall’avventura marina a quella ambientata nella giungla, alle trame futuriste nella lunga e splendida Topolino e il mondo che verrà, degna conclusione del volume.
Sono molto felice di aver scoperto, seppure con mostruoso ritardo, l’opera di Casty (e di esserne immediatamente diventato un fan!) e spero che queste mie entusiastiche righe possano incuriosire, e perché no magari anche “contagiare” a loro volta, qualcun* che ancora non lo conosce.
Nota:
[1] Una cosa c'è ed è l’odioso “riadattamento-politicamente corretto” messo in atto talvolta con pesanti censure. Veramente insopportabile! Sostituire un divertente e innocuo “ti faccio a pezzettini!” con un patetico “ti prendo a ciabattate sul popò!”è, appunto, semplicemente patetico. Oltre che perfettamente inutile.
I disegni a corredo di questo scritto sono, nell’ordine, di Cavazzano, De Vita, Casty, Casty, Mazzarello, Faccini, Casty, Casty, Cavazzano.
Scrivo queste righe per un motivo molto semplice: ossia la vergogna di vedere, lì a destra, nell’elenco post di Dicembre, un solo titolo!
Almeno con questo saranno DUE e mi sentirò un po’ più in pace con me stesso!
…e sarà anche L’Ultimo Post dell’Anno, wow!
(segue)
Le mie amiche e i miei amici del noto social network blu, sanno già – lo sanno fin troppo visto quanto ho “rotto” ultimamente - che sono in mezzo a una sorta di “crisi” che in qualche modo mi blocca la scrittura di cose che abbiano un minimo di senso.
Questo è il motivo della mia assenza dal blog. Nient’altro.
Non pressanti impegni, non mancanza di tempo (voglio dire: quello, il tempo, manca sempre!), non carenza di lettura di cose belle (anzi! Mai speso tanto, e in modo soddisfacente, come in questo periodo!). Insomma, non starò qui a fare un riassunto, ma diciamo che questa “crisi” [1] mi ha proprio bloccato per benino, eh sì.
Non è certo la prima volta che mi viene una “crisi” di tal fatta [2], ma è la prima volta che arriva in modo così forte e prepotente: staremo a vedere cosa succederà e se sarò in grado di superarla o no.
Nel frattempo voglio dirvi quali sono le ultime cose che ho acquistato e delle quali mi piacerebbe parlare in modo un po’ approfondito in un vicinissimo futuro.
La prima è un volume unico di Elena de’ Grimani: “Rigel – Anedonìa”, edito da Panini Comics e uscito alla fine di Ottobre. (In realtà ho già cominciato da qualche giorno a scrivere le mie considerazioni su questo meraviglioso, intensissimo, profondo volume… sto cercando di “forzare il blocco”!).
Se non conoscete la bravissima Elena de’ Grimani potete farvi un’idea visitando la sua pagina facebook. Per ora non anticipo altro, ma spero di avervi messo sufficiente curiosità perché Elenaè un artista (chi mi conosce sa con quanta, quanta cautela uso questo delicato termine) di una bravura e di un’intensità uniche. La seguo da tempo e non smette di crescere e di migliorare, nonostante sia già a livelli elevatissimi.
Vorrei poi tanto parlare – e lo farò presto! - di un volume, un bel volumazzo grande e spesso, che mi ha incantato e mi ha fornito materiale per sogni e incubi per i prossimi lustri! Un volume spettacolare che aspettavo, anzi bramavo, da anni: si tratta di “Sock Monkey Treasury” del grande Tony Millionaire, meritoriamente e finalmente edito da Edizioni BD.
Di Bao Publishing ho preso un volume vintage obbligatorio per i/le fans di Jack“The King” Kirby! Si tratta della raccolta completa delle storie di Fighting American.
“Obbligatorio” perché è stupendo, neanche da dirlo, a maggior ragione visto che oltre a Jack Kirby c’è anche Joe Simon! Politicamente scorrettissimo se letto con gli occhi di oggi, deliziosamente retrò, potente e coloratissimo, con queste vignette che pare ti saltino agli occhi! Una perla da intenditori/trici che spero di presentare prima possibile!
Non parlerò dell’ incommensurabile “volume” (otto chili e trecento grammi in tutto…) che raccoglie tutto il Little Nemo di Winsor McCay, che ho acquistato qualche giorno fa spendendo una cifra che potrebbe essere considerata “alta”, ma che per me non lo è considerato il valore intrinseco che ha. Little Nemoè probabilmente il più bel fumetto di tutti i tempi, Winsor McCay uno dei più grandi e abili disegnatori che siano mai esistiti… come potrei permettermi di parlarne io, dai miei abissi di ignoranza e devozione?!? Su Little Nemo sono stati scritti innumerevoli saggi, libri, articoli… Volevo solo farvi sapere che l’ho acquistato e ne sono pazzamente felice, è una delle cose più preziose che possiedo, ma non ho altro da dire, non potrei azzardarmi.
Tornando al presente e a cose probabilmente più accessibili, anche economicamente, mi piacerebbe parlare del bellissimo La Guardia dei Topi di David Petersen (2 voll. per Panini Comics), un fantasy disegnato da dio con personaggi, appunto, topi. Un gioiellino.
Non riuscirò a parlare, per timore reverenziale nei confonti del Sommo Bardo di Northampton e perché è già stato detto di tutto e di più e io non potrei certo aggiungere nulla di rilevante, del capolavoro Miracleman di Alan Moore (che però sugli albi non può essere citato per contratto e viene indicato come “lo Scrittore Originale”) e disegnato da Garry Leach, Alan Davis, Rick Veitch (mostri sacri anch’essi). E’ IL fumetto che ha rivoltato come dei calzini i vecchi supereroi; è un fumetto per il quale i “gusti” non valgono: è oggettivamente bello, se non ti piace è un problema tuo. Capite ora perché non posso parlarne? Ma spero che lo compriate e lo leggiate. Albetti mensili, costano poco, Panini Comics.
Vorrei tanto raccontare qualcosa anche di alcuni manga che sto leggendo e che mi stanno piacendo, come Il Fiore Millenario di Kaneyoshi Izumi (Planet Manga) Natsume degli Spiriti di Yuki Midorikawa (sempre Planet Manga) e soprattutto del primo, immenso (in tutti i sensi) volume di Gen di Hiroshima di Jeiji Nakazawa (Hikari edizioni).
Sì, confesso che sto trascurando un pochettino i manga, e me ne dispiaccio molto… ma non essendo miliardario e amando tanti tipi di fumetti, ogni tanto qualche “categoria” deve cedere un po’ di tempo e spazio ad altre che in un dato momento mi sono più congeniali e sento di dover approfondire. Ma mi rifarò senz’altro prossimamente!
Mi piacerebbe raccontarvi di quanto continua a piacermi il ciclo di Amazing Spider-Man di Dan Slott (Panini Comics, albi mensili), anche se non ci ho ancora fatto l’abitudine al ritorno di Peter Parker quello vero: mi ero affezionato, ma parecchio!, al Superior Spider-Man duro e violento!
E sto seguendo con molto piacere anche le nuove avventure di Devil, di Mark Waid (Panini Comics) e vorrei parlarvi anche di quanto mi sta entusiasmando questa giovane autrice – Kelly Sue DeConnick - che ha preso in mano il personaggio di Capitan Marvel (Carol Danvers) e la sta caratterizzando in modo stupendo!
…e infine, ma non lo farò, vorrei avere il coraggio di dirvi quanto non mi sia piaciuto (è davvero un blando eufemismo…) “si dà il caso che” di Fumio Obata, che sto cercando di vendere (Bao Publishing). Il mio fumettaio mi dà sempre ottimi consigli: stavolta ha toppato alla grande. Ehi, capita anche ai migliori!
Ecco fatto. In realtà ho comprato e letto un sacco di altri fumetti che non ho nominato qui, e che mi sono piaciuti (RW Lion, Disney, GP Manga, Star Comics…). Se mi si “sblocca il blocco” magari parlerò di tutte queste bellissime cose da leggere. Lo spero tanto!
Per ora, e siamo davvero alla fine, Buon, anzi Ottimo 2015 a tutte e a tutti Voi!!!
Note:
[1] Continuo a mettere le virgolette al termine “crisi” forse illudendomi in tal modo di delegittimarla, di renderla meno reale. Ma, in confidenza, si tratta proprio di una crisi, senza virgolette. Se avvenisse in Casa DC Comics mo’ arriverebbero supereroi e supereroine, e parecchi/e villains, da questo e da altri mondi, ci sarebbe una super-mega scazzotata, qualcun* forse morirebbe (per poi risorgere qualche numero dopo) e la Crisi sarebbe risolta… salvo prepararne una immediatamente successiva mentre le ceneri della prima sono ancora calde, ma di questo parleremo magari un’altra volta.
[2]…ne sa qualcosa la pazientissima Acalia Fenders, cui ho rotto timpani e scatole diverse volte sull’argomento… “Chiudo il blog? Non lo chiudo? Perché non lo chiudo? Chi sono? Dove vado? Dio esiste? Questo è uno shojo o uno shonen? Quando esce il nuovo Kuragehime? …” ecc. …
L’immenso Stan Lee, che ha da poco compiuto 92 anni
di Elena de’ Grimani
vol. brossurato con sovracoperta
144 pag. b/n
euro 9,90
.
“Elena scrive e disegna in modo straordinario, meriterebbe di essere apprezzata in tutto il mondo.”
(Lillo [Pasquale Petrolo], dall’introduzione a Rigel – Anedonìa)
Rigelè tornata!
Nella prima pagina del volume autoconclusivo Rigel – Anedonìa la sua autrice Elena de’ Grimani ci regala una cosa importante e preziosa, che non ci era dovuta. Ma lei, Elena, è fatta così, un po’ come Rigel: si mette in gioco, rischia, cade, si rialza, cambia senza tradirsi né tradire.
In quel regalo che è l’introduzione c’è la chiave di lettura, o meglio una delle chiavi della sua scrittura; c’è una traccia, intensa e certo non indolore, che noi che leggiamo possiamo scegliere se seguire o meno.
Ma la vera chiave di lettura è quella personale di ognun* di noi: da chi leggerà e conoscerà Rigel per la prima volta (e ne resterà incantat*, sono pronto a scommetterci) a chi ne è fan da anni e attendeva con ansia che la vampira tornasse con una nuova storia.
Non ho grassettato a caso la parola qui sopra: “vampira”. E’ questo ciò che è Rigel. Mai però una di quelle creature sbrilluccicose e imbottite di una finta, e risibile, “drammaticità”. Rigelè sempre stata molto lontana dalla raffigurazione di un luogo comune. La sua autrice non segue le mode. Casomai le crea.
Dicevo che è questo ciò che è Rigel, una vampira… …ma Anedonìa[1] non è solo una storia di vampiri: è una profonda riflessione sul buio come elemento prevalente e permeante e sembra cambiare e mettere discussione un po’ di concetti fondamentali, tra i quali proprio “una” e“vampira”.
Dunque Rigelè tornata. E’ cambiata? Sì. No.
Elena de’ Grimaniè cambiata? Io sono cambiato? Tu che stai leggendo sei cambiata/o? La risposta, anzi le due risposte, sono le medesime per chiunque, Rigel compresa.
Sto affermando che la lettura di Anedonìa non è lineare né tantomeno semplice?
Sì, è il mio piccolo, impacciato, ma sincero modo di ringraziare Elena de’ Grimani per aver scritto questo splendido volume che mi ha artigliato il cuore, tra lei e Rigel me l’hanno anzi fatto sanguinare: leggere Anedonìa mi ha commosso fino alle lacrime. E difficilmente tutto ciò può accadere con una storia semplice e lineare.
Come spesso accade in una delle tante realtà che ci si trova a dover vivere (talvolta nostro malgrado), Rigel sta vivendo più vite e la sua coscienza – circondata da una bianca ondata di neve, una neve che ha più di una profonda, drammatica valenza simbolica – ne è scossa fin dalle sue stesse fondamenta. Sì, è pur sempre una vampira con tutte le contraddizioni che l’essere immortale e costantemente bisognosa di bere sangue umano comporta. Anzi, persino nel suo mondo Rigelè sempre stata una vampira del tutto speciale con poteri (e una storia) particolari e unici.
Contraddizioni? L’ho detto poco sopra che Rigel non è un luogo comune. Gli altri e le altre cacciano, bevono, dormono, stanno lontano dal sole, strillano quando vedono una croce.
Non è molto comune per i comuni vampiri ritrovarsi a “vivere” vite distinte e apparentemente inconciliabili tra loro, vite più reali di un paesaggio ghiacciato e/o più meta-fisiche di un… fumetto disegnato! Per certe vite i sogni sono reali e terribili tanto quanto lo stato di veglia.
La propria rinascita fa sempre qualche vittima. A maggior ragione la rinascita di una vampira. Solo che in Anedonìa le vittime sono meno scontate di quanto si potrebbe immaginare.
Le vittime di un mondo morto sono per questo meno vittime? Che c’è di male a morire se si è già morti…
Al di là delle tentazioni retoriche, che costano poco e tanto plauso raccolgono, vita e morte non sono due lati di una stessa medaglia; sono anzi opposti e inconciliabili; persino per una vampira.
Una vampira che non sa più chi è e vive in uno stato di anedonìa così forte che è disposta a sperimentare sofferenza estrema pur di sentire qualcosa, pur di sentire di nuovo.
Lily e Vuk– sì: non pensavate mica che Rigel fosse l’unico personaggio del volume vero? – ognuno/a a suo modo, ognuno/a per come può, ognuno/a per il destino che sente di portare addosso, sarà “vicino” a Rigel. D’altronde, come vedrete, neppure Lily e Vuk sono esattamente ciò che sembrano…
Sì, certo che ci sono altri e altre a recitare in questo volume, persone – e non-persone – che rendono la lettura una sorta di cerchio ipnotico, che segnano nella mente di chi legge dubbi, sorprese, e infine veri e propri colpi di scena.
Perché non pensavate mica che tutti questi miei panegirici zeppi di aggettivi si riferissero a un fumetto iper-cerebrale in cui ci si contempla l’ombelico e al di fuori di esso non accade nulla, vero?
Rigelè una presenza, invece, così concreta e piena di cose, che stupisce a ogni girar di pagina; Anedonìaè una storia in cui accadono molte cose, nessuna delle quali trascurabile, nessuna messa lì a caso o per fare numero. Come dicevo poco fa, qui si rischia, si cade, ci si rialza, ci si mette in gioco, si muore e si rinasce, si cambia, si seminano indizi e basi per il futuro. E sia detto en passant, Anedonìa ha un finale da brivido, sconvolgente e non per mero modo di dire.
Se si è fortunati come lo sono stato io, può capitare di commuoversi fino alle lacrime e di sognare Rigel la notte stessa…
(Sapete che non rovino il piacere della vostra lettura con trame e riassunti; sapete anche che tanto non sarei in grado di farne: a scuola, mille anni fa, ero pessimo nei riassunti. Per dire. Inoltre non sarebbe facile riassumere il plot di Anedonìa.)
Anche chi è già fan accanito di Rigel non potrà che ritrovarsi – piacevolmente/dolorosamente - spiazzato/a da questa storia, che non rinnega nulla del passato, ma semmai, appunto, pone delle fondamenta per storie future, le storie che spero ardentemente arriveranno presto.
Tutto quanto detto finora è disegnato con lo stile incantevole, e la tecnica sopraffina, di Elena de’ Grimani, stile e tecnica in continua e costante evoluzione (che è, in questo caso, sinonimo di miglioramento) sempre più personali e sempre meno riconducibili a eventuali “debiti d’autore” già ampiamente pagati – e superati – dall’autrice.
Ammiro tantissimo la grande raffinatezza del suo segno che resta comunque sempre leggibile; raffinatezza e anche potenza al servizio di uno storytelling fluido, ma impetuoso quando è il caso, efficace sempre, con una costruzione della tavola e delle sequenze sempre bilanciata.
Riassumendo: amo tantissimo i disegni di Elena de’ Grimani (se seguite il link capirete meglio cosa intendo) e consiglio col cuore la lettura di Rigel – Anedonìa a chiunque, ma innanzitutto a tutte le persone - meravigliose, voi sapete chi siete - con cui “parlo” quasi quotidianamente di fumetto.
Credo che Anedonìa abbia caratteristiche tali da poter piacere ed essere molto apprezzato anche da chi non ha mai avuto contatti con questo tipo di fumetto… e il fatto che, anche pensandoci su non mi viene in mente quale possa essere la classificazione per “questo tipo di fumetto”, la reputo una cosa estremamente positiva.
Non sono un fan della “originalità a tutti i costi”, ma non saprei dire a “cosa somiglia” questa storia. Anche questo vuole essere un complimento.
Non appena terminata la lettura di Anedonìa ho avuto un enorme desiderio di parlarne pubblicamente (qui sul blog, sul social network blu, alle persone che conosco…) proprio perché la lettura non è stata indolore e perché mi ha riempito di sensazioni profonde che faccio fatica a tenere per me… Però mi sono subito chiesto se sarei stato in grado di scrivere qualcosa di sensato e non una delle mie solite inutili tiritere a base di “stupendo!”, “fantastico!”, “meraviglioso!”.
Sarebbe facile per me – ne sono specializzato! – autoflagellarmi in uno dei miei soliti e noiosi attacchi di scarsa autostima scusandomi, con Elena innanzitutto, per non essere riuscito a dire nulla di sensato su Rigel – Anedonìa. Beh, questa volta non lo farò perché, a differenza di molte mie sequenze di parole che compaiono su questo blog, ciò che ho scritto sin qui ha senso, ha un profondo senso per me. Spero che chi leggerà Anedonìa potrà capire, anche se spero che nessuno e nessuna si trovi mai, o mai più, in un mondo coperto di neve.
“Si rinasce urlando”
Note:
[1]“incapacità di provare piacere…”
di Joe Simon
e Jack Kirby
recupero disegni e nuovi colori diHarry Mendryk
vol. cartonato, colore, 200 pag.
euro 20
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Fighting Americanè un supereroe creato dalla penna di Joe Simon e dalle matite di Jack Kirby nel 1954 e pubblicato originariamente negli Stati Uniti da Crestwood Publications.
Questo lussuoso, e tutto sommato economico, volume della Bao ne pubblica l’intera produzione, per un totale di sette numeri usciti negli Stati Uniti tra il 1954 e il 1955, un numero uscito nel 1966 e due storie inedite.
Come dice Joe Simon nell’introduzione da lui scritta nel 2011, solo due mesi prima di morire:
”Il volume che tenete tra le mani contiene tutte le storie di Fighting Americanche abbiamo prodotto […] Qui avete la collezione completa”
Il plot di base di Fighting Americanè sfacciatamente simile a quello del ben più noto Capitan America, creato nel 1941 – tredici anni prima di Fighting - dai medesimi autori: anche qui un mingherlino, ma patriottico cittadino americano, accetta di sottoporsi a un esperimento per cambiare definitivamente il suo debole corpo che sarà trasformato da scienziati del Governo in una macchina da combattimento.
La “mente”, l’essenza vitale del patriottico e mingherlino Nelson Flagg viene “inserita” nel robustissimo, agilissimo, potenziato corpo del suo stesso fratello Johnny Flagg giornalista e “mezzobusto televisivo” noto per il suo entusiasmo nel difendere l’American Way of Life, “ucciso” da agenti comunisti infiltratisi negli Stati Uniti:
“Non abbia paura… E’ semplicemente scienza, non magia nera! Vogliamo che lei abbia quel corpo! Vogliamo che lei sia suo fratello! Ciò significherà la fine dell’uomo che lei è oggi!”
E’ quindi sotto i panni di un redivivo, temerario e potenziato giornalista Johnny Flagg (miracolosamente “risorto”…) che l’America acquista il suo nuovo eroe pronto a rischiare la sua stessa vita per difendere i valori della democrazia, della libertà e del “sogno americano”, che cominciano le avventure di Fighting American – e del suo sodale Speedboy- durate sette numeri e in questo volume integralmente raccolte.
Mentre per Capitan America, creato in tempo di guerra (Seconda Guerra mondiale) i cattivi erano principalmente i nazisti e i Giapponesi, in questi tempi post-bellici il nemico sono invece i “Rossi”, i comunisti, infiltratisi ovunque e decisi a spazzare via con la violenza, l’inganno e l’omicidio la libertà, la felicità e il Sogno Americano.
Come nella più semplice e abusata dicotomia, i cattivi, i comunisti, sono i mostri, sia moralmente che fisicamente: questa caratteristica del nemico mostruoso, deforme, brutto oltre ogni limite verrà mantenuta da Kirby quando qualche anno dopo lavorando con Stan Lee darà vita all’era della Marvel Comics.
Buono/Eroe = bello; malvagio/villain = brutto.
Questa la semplice, leggibilissima dicotomia che presuppone una chiara e semplice operazione di immediato riconoscimento dei Buoni e dei Cattivi.
Uniche, parziali eccezioni saranno La Cosa dei Fantastici Quattro, per il quale la bruttezza costituirà certamente un ostacolo per la vita del roccioso eroe, ma sarà parimenti un elemento di ricchezza psicologica che darà la base per la costruzione di storie memorabili e intense come la mitica “Questo Uomo, Questo Mostro!” (S. Lee, J. Kirby, J. Sinnott, su Fantastic Four n. 51 del 1966; in Italia per la prima volta su I Fantastici Quattro n. 47 del 9 Gennaio 1973) [1] o Hulk, per il quale il confine Bene/Male sarà sempre sfumato, e ambiguo, oppure la Bestia degli X-Men.
Ma al di là di poche eccezioni, nel suo lavoro per la Marvel così come per la DC, per Jack Kirby il Bene ha sempre coinciso con la rappresentazione del “Bello” e il Maleè sempre stato mostruoso, ripugnante, deforme, come se le caratteristiche morali avessero superato il confine psicologico per plasmare somaticamente i corpi [2].
Verrebbe da pensare che potrebbe essere anche il contrario, ossia che un corpo deforme non possa far altro che abbracciare il Male per “vendicarsi” della sfortuna toccatagli in sorte (gli esempi sono numerosi: dall’Uomo Talpa a Due Facce al Dottor Destino… anche se in realtà per quest’ultimo la deformità è stata più una scelta, un ulteriore modo, quasi mistico, per distinguersi dal volgo, dalla massa…).
Comunque, senza scomodare Cesare Lombroso, questa particolare “fisiognomica a fumetti” non è un invenzione del Re, bensì il proseguimento di una tradizione forse inaugurata da Dick Tracy, il detective creato da Chester Gould nel 1931 (e da allora pubblicato senza soluzione di continuità negli Stati Uniti): mentre il detective dall’impermeabile giallo è bello e aitante, con tanto di mascella volitiva, i villains sono invece caratterizzati da spiccate deformità che danno loro il nome. Abbiamo così Testapiatta, Facciadiprugna e tutta una serie di criminali malvagi e deformi orribili a vedersi.
Bisogna dire però che i nomi dei villains presenti in Fighting American sono decisamente più spiritosi: come potrei rinunciare a leggere un’avventura in cui i cattivoni si chiamano Poison Ivan, Hotsky Trotsky, Invisible Irving o Space-Face!?
Certo come nome, e anche come assurdità della storia, nessuno batte Super-Khakalovitch, il supereroe comunista (“Hero of the People”) che possiede il superpotere più devastante: quello della puzza! La sua stirpe non fa un bagno da oltre tremila anni, ed ecco perché Super-Khakalovitch ha acquisito il suo – apparentemente – invincibile superpotere: nessuno, neppure Fighting American e il suo pard Speedboy, possono stargli vicino senza un’adeguata maschera antigas!
A parte il nonsense più azzardato, una delle storie più emblematiche, vero e proprio statement degli autori (o di chi commissionava loro le storie), è la breve, impagabile Lettera dal paradiso, lunga solo due tavole: in essa un ragazzino che vive al di là della “Cortina di Ferro” scrive una lettera a Speedboy, il giovanissimo sidekick di Fighting American. E’ una lettera apparentemente piena di insulti, nella quale il ragazzino, che ovviamente si chiama Vladimir (e come poteva chiamarsi altrimenti?!?) descrive quanto inutili e frivoli siano i “privilegi” vissuti dai suoi coetanei americani e quanto invece sia solida la realtà collettiva al di là della “Cortina di Ferro”. La particolarità della storia, che la rende un capolavoro di umorismo (nero), è la differenza tra le parole scritte da Vladimir e la descrizione grafica che vignetta dopo vignetta viene spietatamente – e ironicamente - esposta al lettore [3]. E’ certo una storia che oggi risulta faziosissima, “politicamente scorretta”, imperialistica ecc. ecc. Tutto giusto, ma questa storia è soprattutto un piccolo, corrosivo gioiellino umoristico ed è lo specchio di come una parte dei “combattenti” vedesse e vivesse la Guerra Fredda.
“Quindi vai in malora Speedboy… Tu e quel babbeo con i mutandoni che chiamano Fighting American! Vorrei dirti di più, in faccia, ma scommetto che non hai il fegato di venire al 3160 di via Falce e Martello vicino a piazza Miserlou nel villaggio di Paskutzva… (bussa due volte e chiedi di Vladimir)”
… ed è ovvio che Speedboy e il “babbeo in mutandoni” andranno a liberare Vladimir e la sua famiglia dall’oppressione comunista, trasferendoli in America e facendo loro assaporare il sapore della libertà. Un breve e divertentissimo saggio di “psicologia inversa” quasi commovente in quella sua fanatica integrità morale e fumettistica. Assolutamente da leggere.
Un’altra caratteristica delle storie di Fighting Americanè il loro essere talmente “eccessive” in quel rozzo manicheismo di cui sono permeate, da diventare spesso ultra-reazionarie, spacciando triti luoghi comuni come fossero Verità divine (“I vagabondi non cambiano: a loro piace essere come sono!”– Z Food, FA n. 3 dell’agosto 1954); ma è proprio quell’essere ottusamente reazionarie a renderle comicamente irresistibili, divertenti e leggendole sortiscono quasi l’effetto contrario, come a dire: “Ma dài, Jack e Joe non potevano dire sul serio!”.
O forse erano serissimi, ma sta di fatto che ad un certo punto le storie di Fighting American e del suo giovane partner Speedboy cominciano a prendere una piega assurda, tra il fantascientifico e il nonsense… Le battute (anche le battutacce grevi, talvolta) si sprecano e non c’è quasi tavola che non contenga almeno un paio di gustosissime assurdità, sia a livello di storia che puramente grafiche:
“L’Invisibile Irving… e la sua cella… S-sono scomparsi nel nulla!”
”Perché gli avete lasciato leggere quelle riviste di viaggi?”
Inside jokes, citazioni da altri famosi comics dell’epoca e una fantasia scatenata che miscela azione pura, ideologia e ironia – quando non addirittura caustico sarcasmo – oltre a tutto quanto detto finora, fanno di Fighting American un fumetto imperdibile per chi è già appassionato di “cose kirbyane”.
E chi non è appassionato/a di “cose kirbyane” perché dovrebbe leggere questo volume, pieno di storie datate, contenenti concezioni e ideologie lontane dalla nostra realtà?
Beh… perché sono storie di Joe Simon e Jack Kirby, piene di azione al fulmicotone e di disegni che ti saltano letteralmente addosso, con colori che più pop non si può e un gran mestiere nella sceneggiatura e nella costruzione della storia che dettò legge per lustri, senza un solo “buco di sceneggiatura”; storie che scivolano golosamente l’una dopo l’altra e procurano un divertimento raffinato, per intenditori e intenditrici; come si suol dire: una festa per gli occhi!
E’ e sarà sempre una gioia perdersi negli stupendi disegni di Jack “The King” Kirby, seppure talvolta un po’ “frettolosi”, ma non di meno sempre epici, dinamici, efficaci, spettacolari, con inquadrature sempre nuove ed ardite.
La cifra stilistica di Kirby e di Simon resta riconoscibile sempre, anche nei lavori cosiddetti “minori” o semplicemente meno conosciuti al di fuori degli Stati Uniti.
Una nota merita la vivacissima e divertente traduzione di Francesco Vanagolli: credo che non sia stato semplice riprodurre nel nostro idioma un vecchio fumetto pieno di slang, frasi idiomatiche passate di moda da decenni, scherzi verbali e filastrocche dimenticate. Francesco è riuscito a far calare chi legge nell’atmosfera dell’epoca e questo è indice di un lavoro accurato svolto, oltre che da un esperto, da un vero appassionato.
Jack“The King”Kirby e Joe Simon restano e saranno sempre dei Miti nella storia del Fumetto mondiale; è dunque molto meritorio il lavoro delle Case editrici come la Bao che indipendentemente da mode o “periodi” propongono opere, forse “di nicchia”, che meritano comunque di essere diffuse e conosciute e di stare nelle librerie degli appassionati accanto alle opere più note e blasonate.
Note:
[1]Una storia che, ancora oggi, mi commuove fino alle lacrime…
[2] Il fenomeno è esplicitato nella maniera più chiara e inequivocabile nella saga kirbyana del Quarto Mondo: i Nuovi Dei, cioè le stesse divinità, sottostanno a questa dicotomia di buono/bello, cattivo/brutto.
[3] Chissà perché, ma dubito che Fighting American avesse un gran numero di lettrici… ma magari sbaglio, eh.